In questo clima di promesse pre-elettorali e dubbi insormontabili sto leggendo una certezza: Follia Maggiore, di Alessandro Robecchi, 2017 edizioni Sellerio.
Da una parte pensi che per uno come Robecchi sia facile fare un bel bel libro, come lo è questo “Follia Maggiore”, bella forza è il quinto delle storie di Carlo Monterossi, dall’altra pensi che riuscire a non ripetersi, a non essere una puntata di DonMatteo o CrazyLove, anche per quelli bravi come Robecchi, dopo quattro libri belli belli e di successo, deve essere, cazzo, complicato.
Poi ti trovi a quasi metà del suo nuovo libro e di come va a finire ti accorgi che, paradossalmente, non è che ti interessi poi tanto, ti interessa certo, è un giallo!!, ma quello che ti sta prendendo, ed è una presa che ricordi c’era anche per quelli prima, è come la narra la storia, le storie, le vite, i posti, le emozioni e pure i rimorsi Robecchi.
Ti senti lì anche tu sotto la stessa pioggia che non smette mai, a un passo dietro Oscar Falcone, ti senti Katrina con la sua madonna sul frigo, ti viene quasi da pensare un attimo prima cosa penserà un attimo dopo CarloMonterossi e il sovraintendente Ghezzi, poi fa nulla che Robecchi non fa mai la cosa che ti aspetti e lo sai che il bello è anche questo qui.
E poi nello stesso tempo di questo tempo che sei dentro come un subacqueo nelle pagine e nelle storie, non ti accorgi mica che la tua fermata del treno dove dovevi scendere è passata quel poco per imprecare e quel tanto per dirti chissenefrega scendo alla prossima e leggo ancora un po’.
Lo dicono quasi tutti gli autori e tutti i cantanti: “Quest’ultimo lavoro è quello che sento più mio”, “Questo lavoro è il migliore che abbia mai fatto”.
Io da semplice lettore posso dire che come gli altri 4 che sono belli belli davvero, questo nuovo è bello quasi ancor di più. Il primo “Questa non è una canzone d’amore” era bello e straricco di tutto, quasi pantagruelico; il secondo “Dove sei stanotte“ era bello anche per la sua continua capacità di miscelare ironia e racconto, la storia, l’Expo, il terzo “Di Rabbia e di Vento” aveva la bellezza di tenerti attaccato alla pagina, la capacità di scrittura e la valorizzazione dei personaggi minori, che minori così non lo erano più, il quarto, quello dello scorso anno “Torto Marcio”, per me il migliore, spumeggiante, una critica sociale, una Milano e la storia gialla narrata come una prova d’orchestra magnifica, perfetta, tutti gli strumenti singolarmente e assieme in un suono meraviglioso, in una letteratura impareggiabile. E ora, appunto, questo bello davvero, una partitura più asciutta, i suoni ancor più distinti, una pulizia che non sottrae ma esalta l’orizzonte, il quadro, i particolari. Una scala musicale armoniosa. Un’opera forse addirittura più matura.
Non sono nessuno io, non ho studiato niente di attinente alla letteratura, non ho studiato niente in realtà, leggo molto si, mi informo e basta ma, e sottolineo ma, riesco ancora a illuminarmi lo sguardo sia quando qualcuno mi parla di libri che non ho mai letto, di autori bellissimi che non conoscevo. Di un’aria d’opera che una giovane soprano canta a un matrimonio come fosse alla Scala di Milano, così come adesso quando leggo un libro bellissimo, un autore bellissimo che già conoscevo.
E poi così ci sono delle cose che mi sono capitate e mi stanno capitando ora che mi fanno riflettere non poco: io i libri li scelgo o sono loro che scelgono me? Perché è un giallo avvincente come dovrebbero essere tutti i gialli, ma non tutti lo sono, perché racconta la società senza fare la morale. Con intelligenza e ironia.
Perché è un libro che ti tiene addosso alle pagine, per vedere come va a finire, e ti tiene addosso alle pagine per non vederle finire.