“Giudice allora che vogliamo fare, verrò a casa sua per mangiare?” R. Zero, 1981
Stasera, pateticamente appagati per la cattura del pericoloso latitante Robin Hood che estorceva ai ricchi per donare a se stesso, si parla di…
carceri
“Grande soddisfazione – esclama Tiago – finalmente l’hanno preso! Che buttino la chiave adesso, sbruffone e arrogante che non è altro…”
“Concordo – concorda, appunto, Trifilo – sono piccole cose ma che danno grande conforto, sapere che noi stiamo fuori e lui sta dentro…”
“Vabbè, ma per due foto…” – cerca di minimizzare Trasea.
“Non me ne frega niente delle foto – si inalbera Tiago – è una questione di giustizia totale, globale, sociale! Uno così non deve cavarsela sempre e poi ghignarsela alla faccia del resto del mondo, convinto che sono tutti fessi tranne lui. E’ giusto che sbatta il muso, e che sia da lezione per tutti i palloni gonfiati come lui!”
“Magari fosse così – interviene Teopempio – in realtà i palloni gonfiati più pericolosi non si espongono ai riflettori della ribalta, non ostentano i tatuaggi, non si fanno odiare per come in effetti sono; essi sono furbi per davvero, e in carcere non ci finiranno mai.”
“E dai con il solito ‘benaltrismo’ – contesta Trifilo – intanto Corona non è una vittima del sistema, ma un personaggio pubblico con un suo rilevante ruolo e rilevantissima funzione sociale: perpetuare ed alimentare la sovrastruttura al servizio della religione dominante della struttura, ovvero servire mammona. Egli ha preso alla lettera il vangelo del sistema che prevede il dogma della massimizzazione del profitto, un precetto che prevale su ogni altra considerazione morale, sociale, umana. Rovino la gente per fare soldi, disse.”
“Tutto vero, tutto giusto – precisa Teseo – fino a ieri. Oggi è diverso, oggi Corona è al gabbio. E’ arruolato d’ufficio fra gli ultimi. Non è più il figo di corso Como: è un perdente incarcerato. E’ dei nostri, volente o nolente. Nessuno tocchi Caino.”
“Vabbé, non esageriamo – dice Trasea – è lì solo da due giorni, facciamo che fra un po’ di tempo…”
“Il tempo! – risponde Teseo – Già, il tempo… Il tempo lì dentro non è come qua fuori. Tortora disse che lì un minuto è un’ora, un’ora un giorno, un giorno un mese… Sofri disse che gli anni passano in fretta, sono certi pomeriggi che non passano mai.”
“Il carcere deve essere così – opina Tolomeo – inumano, invivibile, una fogna. E che si sappia! Ecco perché Pannella sbaglia, e infatti non gli dà retta nessuno, quando lotta per migliorare le condizioni dei detenuti. Tanto più con la fase più acuta della crisi economica (che è in arrivo). Sempre più gente farà un pensierino ad attività illecite per sbarcare il lunario, e quale deterrente migliore della consapevolezza che il rischio è di finire in un inferno?”
“E’ bene che si sappia che l’inferno esiste, ma esso deve essere vuoto. – spiega Tiburzio, il sagrista – Se l’inferno è pieno, sovraffollato addirittura, significa che il male assoluto (assoluto) esiste. E se esiste il male assoluto la vita non è degna di essere vissuta, né per chi sta dentro né per chi sta fuori.”
“Mah, la butto lì – dice Teseo – magari un deterrente più efficace sarebbe non aver bisogno di rubare perché si dispone di un minimo di sussistenza, chessò con un reddito minimo garantito… Costerebbe forse meno che mantenere e costruire nuove carceri…”
“Mi sembra di sentire Berlusconi che dava soldi a Ruby perché non si prostituisse. – risponde Tolomeo- Che vadano a lavorare piuttosto, che chi ha voglia il lavoro lo trova eccome! E i ladri, tutti dentro! E’ una questione culturale.”
“Certo che è una questione culturale – puntualizza Tussio – ma bisogna vedere chi ruba a chi. Per come è strutturato l’attuale sistema, rubare a chi è più ricco di te non è un furto, è un atto di giustizia sociale. E’ rubare a chi è più povero di te che è imperdonabile. E non sarà perdonato.”
Queste dunque le amene discussioni fra gli italiani ancora e sempre a piede (e cervello?) libero.
Pococurante VM