In questo primo week end dicembrino ho letto Gli sdraiati (M. Serra, Feltrinelli, 2013)
Best seller che contende a Volo la cima delle classifiche di vendita (e già questo offrirebbe spunti di riflessione).
Lo stile dell’autore è quello che conosciamo e non delude le attese, tagliente, ironico.
Con un di più: è accorato.
Si tratta di monologo/lettera/confessione di un padre al figlio adolescente. Una disamina del rapporto intergenerazionale all’alba del terzo millennio. Il tema del libro è infatti la straordinarietà di questa generazione, degli adolescenti di oggi, affatto diversi da quelli di ieri e forse di sempre.
Il padre narrante, percependo distintamente la distanza e l’incomunicabilità con il figlio e i suoi coetanei, nutre il sospetto che non si tratti della classica difficoltà a capirsi e comunicare fra vecchi e giovani che esiste da che mondo è mondo, ma che sia in corso una separazione definitiva fra il passato e il futuro degli umani.
Egli si sente come l’ultimo anello di una catena spezzata, tale è la cesura fra il ‘suo’ mondo, fatto di attenzione per l’ambiente circostante, la bellezza della natura, del mare, della montagna; cura della casa, il suo ordine, la sua pulizia e la sciatteria e trascuratezza che per contro il figlio vi riserva.
A questi giovani pare interessare poco ciò che esula da quei due metri scarsi che occupano nell’universo; per contro sono concentratissimi sulla propria persona, sull’abbigliamento (molto istruttivo l’episodio del negozio di felpe ‘speciali’) e soprattutto (qui penso sia il punto nodale, il discrimine fra l’oggi e il passato) sono sempre connessi.
Credo che questa generazione, a differenza delle precedenti, non abbia mai sperimentato davvero la noia, le ore vuote. La noia è una grande levatrice, ma non ne scoprirai mai le virtù maieutiche se sei sempre connesso, quindi, in definitiva, sempre distratto.
Talché sembrerebbe superflua anche una ‘Grande Guerra Finale’ per dominare una simile gioventù di debosciati, bastando una piattaforma digitale ben congegnata.
E’ proprio vero che l‘amore naturale che si porta ai figli bambini non è un merito. Non richiede capacitàche non siano istintive. Il difficile viene dopo.
Dal mio particolare punto vista, di futuro padre di adolescenti (fra una decina d’anni) leggo con sgomento che il figlio di un borghese illuminato, raffinato intellettuale, indubbiamente sensibile e intelligente, che non ringrazierò mai abbastanza per Cuore (quella boccata d’ossigeno settimanale indispensabile per riuscire a respirare nei mefitici anni ’80/90) insomma proprio il figlio di Michele Serra non sembra distinguibile, quanto a maleducazione in senso lato, dal figlio di un cafone, ignorante, evasore, arricchito. Inesorabilmente omologato dal processo di narcisizzazione di massa.
Ciò dà la misura del ‘peso’, nell’educazione di una persona, che ha assunto la società, ‘questa’ società dei consumi e del parossismo mediatico, rispetto alla famiglia (non parliamo della scuola, poveri insegnanti…).
E’ come combattere a mani nude contro un moloch.
Poi Serra ci mette del suo, in una sorta di autoanalisi circa le sue difficoltà ad interpretare l’auctoritas (e qui il mio sgomento cresce perché potrei sottoscrivere riga per riga), a stabilire regole e a farle rispettare, con tono convincente e convinto… mamma mia!
Se è la società che riesce più efficacemente ad educare, se la famiglia conta così poco, resterebbe solo da sperare che fra dieci anni sarà cambiato il mondo, forse una guerra, una carestia, il collasso finanziario globale, insomma qualcosa che spazzi via questa società del “benessere” che si incarica di così ‘ben allevare’ i giovani. Oppure niente di così catastrofico, basterebbe uno shock petrolifero tipo quello del ’73, le domeniche a piedi, l’austerity… e poi il ’77… sono stato adolescente nel ’77, in quel clima culturale, non so se mi spiego, e sono venuto su benissimo, modestia a parte.
Nel finale del libro, allorché il padre riesce a convincere il figlio a condividere la mitizzata salita sul Colle della Nasca, si cerca di dare un messaggio di speranza: questi giovani non sono arretrati, ma sono già oltre. Incarnano un’inedita forma di snobismo, di superiorità; sono poco curanti. Con le loro scarpe, col loro fuso orario, col loro passo, insomma ‘a modo loro’ raggiungeranno comunque quelle mete che in passato sono state conquistate tramite vetusti protocolli fossilizzati nel tradizionalismo. Mah, sperèm…