Giusto ieri ho visto Gli equilibristi (I. De Matteo, 2012)
Diciamo subito che forse la cosa meno azzeccata del film è proprio il titolo (almeno al plurale), mentre per il resto niente da eccepire. Magistralmente diretto e interpretato, anche dai giovanissimi attori. L’avrei intitolato piuttosto “la caduta” oppure “il telefonino”, poi vedremo perché. La trama è presto detta: un matrimonio in crisi, la separazione, il dramma prima umano e poi economico.
Premetto che le mie analisi circa questo duplice aspetto del film, umano familiare e socioeconomico, potranno risultare scomode, impopolari, ciniche (?).
Sotto il profilo intimista, la vicenda prende le mosse da una “cazzata”, come la definisce il protagonista maschile Giulio (V. Mastandrea), una scappatella con una collega. Imperdonabile, certo. Soprattutto perché viene scoperta; lascia tracce, messaggini nel telefonino (il minimalismo del lessico sembrerebbe riflettere la piccineria della cosa). Tuttavia ciò viene vissuto come grave tradimento da parte della moglie (una gelida B. Bobulova). Che non perdona. Oltretutto quei messaggini disvelati le procurano comprensibilmente grande sofferenza. Dunque, che fare per uscire da questa sofferenza? Entrare in una ancora più grande, per sé, per il marito ‘spinto’ fuori di casa (ancora innamorato della moglie tanto che rifiuta l’ospitalità dell’amante) e soprattutto per i figli. Ben fatto, applausi per questa Mme Bovary au contraire. Niente più del sentimentalismo uccide l’amore.
Giulio , pur avendo un lavoro da impiegato in comune, scende rapidamente i gradini della scala sociale raggiungendo il rango di clochard, pasto alla caritas e notte in auto. Se prima, da integrato nella classe piccolo borghese dimostrava una qualche sensibilità umana (l’episodio in cui accetta le pizze a domicilio disguidate), ora da pezzente ha perso pure quella (episodio allo sportello dove maltratta l’utente che ha perso la madre). Insieme al denaro sembra necessario perdere proprio tutto, perfino l’interesse nei confronti della figlia (una bravissima Laurenti Sellers) che appare l’unica capace di mantenere l’equilibrio (rendendo onore al titolo), risoluta e alla fine risolutiva.
Dal punto di vista sociale, il messaggio viene ben sintetizzato dalla battuta “il divorzio va bene solo per i ricchi”, e ad una visione superficiale la morale del film sembrerebbe essere: basta non tradire, in senso lato, e non si diventa poveri. Personalmente ravviso la vera protagonista, la vera traditrice, nel film come nella realtà, nella società dei consumi, che prima ti blandisce, ti illude. E poi di depreda, ti bastona.
Solitamente il cinema ha virtù profetiche, anticipa e prefigura ciò che accadrà. Mi piace pensare che la caduta nella povertà di un lavoratore, che pure continua ad essere salariato, sia solo accelerata dalla separazione. Che in un futuro molto prossimo, e le avvisaglie ci sono tutte, chiunque scivolerà nella povertà, io per primo beninteso.
Più la contingenza è negativa e meglio si chiarisce la situazione, meglio si distingue il vero dal falso. I veri bisogni da quelli indotti, i veri amici da quelli falsi (il kapo al mercato ortofrutticolo che prima sfrutta Giulio e poi, quando alza la testa, lo mette a tacere con “non sei nemmeno capace di mantenere la famiglia”). Non sei nemmeno “capace”, come se fosse colpa sua, come se questo sistema fosse davvero fondato sull’homo faber fortunae suae. E chi cade in disgrazia finisce col crederci davvero, che sia solo tutta colpa sua, perché questo modello sociale atomizzato, visceralmente individualistico, così educa e indottrina il corpo sociale, così come ammaestra i ‘vincenti’ a convincersi che sia tutto merito loro…
E’facile immedesimarsi in Giulio, e chiedersi “che farei nei suoi panni?” Personalmente mi rispondo che andrei a rubare, lo troverei più dignitoso. E perfino etico, se derubassi chi ha più di me (e in quella situazione non è difficile trovarlo).
Secondariamente, d’istinto, la preoccupazione è “che non capiti a me!”. Sbagliato. L’errore sta proprio nel voler restare aggrappati con le unghie a questo modello sociale. Deve invece capitare a tutti, e tutti insieme. Solo così sarà possibile uscire dalla mentalità individualista (e pecorona del così fan tutti, dall’andare dall’avvocato per la separazione all’acquisto di merci superflue) che è vera causa dell’attuale stato di cose. Auspico un azzeramento generale e generalizzato, non per poi ‘ricominciare’, ma per restare a zero.
Zero di che? Serve fare l’elenco di ciò che ‘serve’ in questa bella società dei consumi?
Zero telefonini, tanto per fare un esempio, per citare la punta dell’iceberg (non come Giulio che lo brandisce fino alla fine. Cacchio, sei alla fame, vendilo sto cellulare!).