LETTI PER VOI (recensioni a perdere) 9

In questo week end elettorale di ritorno dai seggi ho letto La solitudine dei lavoratori (G. Airaudo, Einaudi, 2012).

Un agile resoconto della vertenza Fiat ancora in corso raccontato con prosa piana e chiara (non sindacalese, insomma) da un rappresentante Fiom ora candidato alle politiche, impegnato a sostenere il progetto Ibc.

La tesi di fondo è che ogni forzatura, conflitto sollevato, disconoscimento delle conquiste passate dei lavoratori è un pretesto, da parte del ‘cattivo’ del libro (nominato sempre con la sigla Ad) per guadagnare tempo, per perseguire il progetto di trasferire altrove il core business dell’azienda e sganciarsi dal morente mercato automobilistico europeo.

Si passano in rassegna le vicende degli ultimi anni, i referendum ricattatori, i licenziamenti discriminatori, il mancato rispetto dei patti circa gli investimenti, la sovraesposizione mediatica dell’Ad che grazie all’inazione del governo, al defilarsi della proprietà (eredi Agnelli), assume un inaudito ruolo politico, e anche filosofico, imponendo la ‘sua’ visione del mondo. Una visione che poi non è ‘sua’, ma propria del sistema capitalistico. L’Ad non è cattivo (e qui veniamo al mio commento), è giusto. Fa molto bene il suo mestiere di padrone che consiste nel fare tutto ciò che gli si lascia fare, senza autolimitazioni. L’unica autolimitazione consentita, in quella logica, sarebbe il danno d’immagine al marchio Fiat determinato dall’antipatia dell’Ad presso l’opinione pubblica, ovvero i consumatori. Tuttavia evidentemente quel danno non viene valutato cruciale per l’andamento delle vendite (anzi magari qualche pirla si sente in sintonia viaggiando in Freemont e indossando maglioncini). La strategia dell’Ad sarebbe quindi di dimostrare l’ingovernabilità degli stabilimenti italiani (e dell’Italia tout court) per giustificare l’espatrio.

Si diceva, dunque, che l’Ad non è cattivo, ma fa il suo mestiere di nemico di classe; e lo fa bene, accanitamente. Tanto quanto specularmente dovrebbero essere accaniti nella difesa dei lavoratori i sindacati,che invece (con l’eccezione di Fiom e Cobas) risultano corrivi.

L’Ad ha ben compreso che il capitalismo in questa fase di declino mal si concilia con i diritti e la democrazia. Il capitalismo, come un qualunque prodotto industriale, segue le fasi che vanno dall’introduzione (rivoluzione industriale), sviluppo (fino alla metà del xx secolo), maturità (fine xx secolo, appena prima della globalizzazione) e declino (i tempi nostri). Le conquiste dei lavoratori sono un sottoprodotto della 2° fase, appena sopportabili nella 3°, ma inconciliabili con la 1° fase e la 4°, quella attuale. I nodi vengono al pettine, giù la maschera! Il vero volto del capitalismo è quello ‘cinese’, dello sfruttamento intensivo dei macchinari come delle persone, della mercificazione di diritti e dei sindacati, e anche delle regole (cfr pag. 42 accordi ‘segreti’ con il governo serbo). Le sentenze della magistratura vengono vissute come tradimento, lesa maestà, e le tangenti non sono altro che ‘commissioni’ (già sentita) per sviluppare gli affari; basta con questo tafazzismo tutto italiano!

A fronte di questa marcia ineluttabile del capitalismo verso il suo declino, appaiono inezie e stonano le lagnanze degli operai costretti a correre in mensa per riuscire a nutrirsi rispettando la pausa, preoccupati di ‘imbarcarsi’ se non reggono i nuovi ritmi alla catena. Sarà un mio limite ma non riesco a scorgere orgoglio e dignità umana nell’avvitare centinaia di bulloni dalla mattina alla sera; non mi sembrano Tempi moderni. Quel mondo del lavoro è un mondo destinato a scomparire, come le auto alimentate a derivati di petrolio.

Ne travaillez jamais stava scritto sui muri del maggio parigino.

La sfida è immaginare il mondo che necessariamente dovrà venire. Un mondo che, a mio parere, dovrà prescindere dalla mistica del lavoro, superando la credenza che il lavoro sia indispensabile per la dignità degli umani. Immaginare la via per affrancarsi e non dipendere da questo morente capitalismo. E per condannare i padroni alla solitudine.

Kraus Davi

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