In questo week end referendario ho letto Indignatevi! (S. Hessel, Add, 2011).
Poderoso e voluminoso best seller (60 pag. comprese le appendici!) di un vecchio partigiano francese che al termine del suo cammino sente il dovere di ricordare due o tre cosette alle giovani generazioni. Quelle spagnole lo hanno incredibilmente preso alla lettera, dando vita al movimento degli indignados.
Dico incredibilmente perché è tale e tanta la letteratura in materia che mi sorprende che un libello dal contenuto tutto sommato scontato e espresso in forma così succinta possa aver fatto da detonatore a quella pacifica rivolta, ma è la conferma che spesso gli incendi originano da una scintilla casuale. Pare che anche in Italia, a Roma e Bologna mi pare, si stia organizzando qualcosa di analogo, benché attualmente ignorato dal circuito massmediatico, boh vedremo …
Condividendo l’assioma che l’indignazione è il motore della Resistenza, tuttavia giudico l’esortazione del titolo da un lato pleonastica e dall’altro velleitaria, soprattutto con riguardo alla popolazione italiana.
Non voglio essere eccessivamente pessimista (e spero di essere smentito con l’affluenza ai referendum odierni, nel qual caso davvero dovremmo prendere atto che un cambiamento storico è in corso) ma credo che la maggior parte degli italiani non si indignerà mai a sufficienza. Sono persone capaci di digerire di tutto, indifferenti alle più macroscopiche ingiustizie; non vedono a un palmo dal loro naso, se non per consolarsi guardando a chi sta peggio, vincitori di una patetica guerra fra poveri.
Un’altra critica la indirizzerei all’abuso del termine speranza. Come diceva Monicelli, la speranza spesso non alimenta la rivoluzione, ma la allontana. La speranza rimanda a una dimensione metafisica, trascendente, che richiama quasi un’attesa di un aiuto esterno. Serve invece un approccio laico, pragmatico, materialista. Se mi propongo di andare da Milano a Roma, non ’spero’ di arrivare. Mi do da fare, mi organizzo affinché il viaggio sia efficace (raggiunga lo scopo) ed efficiente (lo raggiunga del miglior modo possibile, ottimizzando il rapporto costi/benefici).
I potenti non ’sperano’ di conservare il potere, ma si organizzano per conseguire il fine con ogni mezzo, violenza compresa, e ci riescono.
E qui veniamo all’altro punto debole, a mio avviso, della tesi di Hessel: la non violenza. Questa può riuscire a strappare qualche concessione al potere, ma quando si arriva al cuore del potere, alla zona rossa, allora il potere si militarizza. Gli stessi partigiani francesi, o italiani, non avrebbero dato connotati di efficacia ed efficienza alla Resistenza con la non violenza.
Andrà indagato ciò che successe a Roma il 14 dicembre scorso, con la sollevazione rabbiosa non certamente non violenta contro la zona rossa dei palazzi che varavano il governo Berlusconi-Scilipoti.
Combattere è resistere. Resistere è combattere.
P.s. Non è vero, non date retta. Non abbracciate la logica di mercato (costi/benefici). La rivoluzione si concretizza nella rivoluzionizzazione delle logiche (anche grammaticali)
(recensione dell’ex Khorakhaneker Pococurante)
Nicola scrive:
La non violenza sarebbe un punto debole?
Non mi metto nemmeno a contestare tale affermazione, spero sia solo una provocazione.
Mah, non lo so. Cosa dici, è una provocazione?
La non violenza mi pare che sia oggi meno studiata, ma più scontata.
È una scelta forse più pragmatica che ideologica, ma molto più diffusa
Credo che per questo rappresenti un punto di forza eccezionale e con possibilità di essere ancora più efficace se ben alimentato.
Contrariamente alla percezione riduttiva sulla debolezza della non violenza in situazioni di conflitto è nell’approccio pragmatico, paziente, costante, partecipato e un po’ anarchico della governance, che la non violenza ( implicitamente accettata) sta ottenendo risultati più duraturi di quelli della mito rivoluzionario della preda del potere.
Un tema da approfondire e discutere per capirne limiti e prospettive, ma che ci riguarda tutti
Ugo Biggeri Presidente Banca Etica