Il mercato, contrariamente a quanto detto negli ultimi 30 anni non garantisce la piena occupazione. Ci vuole l’intervento compensativo del pubblico. Il mercato da solo non basta.
Questa è la base da cui partire per riscoprire tutta la parte della costituzione legata ai rapporti economici. È compito della repubblica quindi garantire il diritto al lavoro. Come reddito e soprattutto come autorealizzazione della persona.
Ci sono le crisi. Questa crisi. Che sarà una crisi di lunga durata. Forse la crisi definitiva del capitalismo. Nel senso sempre attuale di o socialismo o barbarie. Se non ne usciamo c’è solo la ristrutturazione verso il degrado entropico: Un sussulto verso il peggio. Se non si esce dal capitalismo. Piccole riprese. Ristrutturazioni. Aumento di disoccupazione.
Serve quindi. Per rispondere alle urgenze un fondo di solidarietà. Ma da solo non può bastare. Un fondo che si attiva con risorse private e comunali, con risparmi oculati di spesa, con la solidarietà cittadina.
Sappiamo che bisogna tendere a un reddito garantito. Un reddito di esistenza a prescindere dai lavori. Siccome non se ne uscirà subito dal capitalismo, siccome la flessibilità, intesa come precarietà, dal punto di vista dei lavoratori sarà la regola, è necessario che tutti possano disporre di un reddito decente per vivere, e studiare, per “stare nel mercato del lavoro” in modo, ahimè, competitivo, ecc.
Ma un comune, adesso tantopiù che non può garantire un reddito che risponde a politiche più generali può e deve sicuramente garantire servizi reali nel maggior numero possibile.
E a più alta qualità.
Da quelli più fondamentali. Casa, istruzione e salute. Nonché alimentazione e vestiario.
Ma siccome il mercato non è autosufficiente un comune deve diventare un atelier dei lavori possibili per dare risposte a bisogni concreti.
Il comune deve avere un piano del lavoro. Un consiglio del lavoro. Che è il consiglio dei consigli dei lavoratori occupati e disoccupati. E diventare il luogo dove si promuove, si programma la piena occupazione territoriale. Altro che camere di commercio.
Non è niente altro, o poco più dell’economia mista, con cui abbiamo convissuto per decenni, dal new deal in avanti.
E per sostenere le imprese ed i lavoratori che ne danno gambe, forza e vita, insieme alle rappresentanze conosciute bisogna costruire reti di responsabilità, di solidarietà, di supporto.
Per le fiere, per la promozione del prodotto, per l’approvvigionamento della materia prima, con al costruzione di un marchio a hoc.
Bisogna produrre non imprenditori individuali. Ma imprenditori collettivi. Imprese grandi o piccole che si autogestiscono, si autogovernano. Consigli autogestiti di produttori e consumatori. Senza prendere il potere. Ma qui e adesso partendo dai bisogni reali. Nuova imprenditoria. O forse meglio è una imprenditoria dei bisogni concreti (valore d’uso) e non dei bisogni astratti (valore di scambio). E allora atelier municipali. (provinciali)
E allora i gas – gruppi di acquisto solidali – come sostituti rimpiazzo di un piccolo commercio periferico autogestito. C’è un mercato dell’altra economia che può crescere, che deve crescere e togliere spazio all’economia del mercato capitalistico in tutti i settori. Altro che compagnia delle opere. Un altro mercato. Non capitalistico. Un mercato sociale
Il Comune si fa imprenditore laddove il mercato non basta, non ce la fa non può farcela. Non con l’obiettivo del profitto e dello sfruttamento ma della piana occupazione dei propri cittadini che vi abitano
Più tempo per il lavoro sociale. Attività di autoproduzione e soprattutto di relazione. Il benessere è dato dalla qualità delle relazioni più che dalla quantità di beni. Allora, pronti banca del tempo, gas, e tutto diventerà nel divenire, nel crescere un’altra sicurezza. Ovvero un curarsi dell’altro. E insieme un curarsi del sé. E della propria crescita spirituale. O semplicemente umana e culturale.