Stasera sotto il palco sanremese l’intiera comunità italiana lì convenuta, richiamandosi al fondamento della nostra Repubblica, parla di…
lavoro
“Auspicavo che la faccenda del torcicollo della valletta dal nome impronunciabile fosse tutta una scusa – si rammarica Everardo – Speravo che desse l’esempio di una clamorosa diserzione, che alla fine si rifiutasse di salire sul palco, invece già alla seconda serata è ‘rinsavita’…Anche lei contaminata, infetta, corrotta, ormai persa a soli 19 anni…”
“Invece è proprio da ammirare – si compiace Eufronio – proprio perché a quella giovane età ha dimostrato carattere, ha tirato fuori le palle e ha trovato il coraggio di affrontare quella prova!”
“Tirare fuori le palle? – si turba Esedra – Prova?!? Sanremo è una prova? Apparire in televisione?”
“E’ pur sempre un lavoro – afferma convinto Eufronio – e dei più remunerati…”
“Eh già – interviene Esichio – la monetizzazione della prestazione è la misura per valutare il valore del lavoro. In questo senso Sanremo è il perfetto apologo dell’attuale sistema economico: se guadagni tanto significa che vali, che il tuo lavoro serve…”
“Infatti i broker di Wall Street guadagnano molto perché svolgono un lavoro utilissimo…” – fa del sarcasmo Everardo.
“Ma scusate – si scalda Eufronio – chi siete voi per giudicare se un lavoro, anche intellettuale, è utile o meno? È il mercato che decide!”
“Kant diceva – cita Everardo – che l’intellettuale è colui che porta la lampada, non chi segue il re. L’intellettuale non cerca di ‘stare sul mercato’, ma lo combatte, il mercato. La diserzione (di Sanremo, del sistema capitalistico obbligatorio, di ‘questo’ lavoro) è doverosa, e perciò per un attimo avevo sperato che disertasse, quella modella… come si chiama?”
“Il lavoro è per sua natura l’attività asservita, inumana, asociale, che dipende dalla proprietà privata e la crea” – cita a sua volta Esichio.
“Ma vi rendete conto – si scalda Eufronio – che se tutti disertassero il lavoro si finirebbe in vacca? Il lavoro, il fare, l’homo faber sono imprescindibili. Senza lavoro non c’e vita; è la natura che ha deciso così. Se ci pensate bene, il bene deriva sempre e solo dal fare. Mentre il male arriva subito e facilmente se non si fa. Se non ti procuri cibo non mangi. Lo stesso lattante al primo giorno di vita ‘lavora’, fatica per imparare a suggere la mammella. Se non mangi muori. Da vecchio se non ti muovi arriva la noia, il rincoglionimento, per non parlare delle piaghe da decubito. L’inedia porta solo morte. Ed è giusto così: si chiama meritocrazia”
“Certo che è così, ma è il lemma stesso di lavoro che è stato corrotto – precisa Esedra – Si intende lavoro solo quello meritevole di monetizzazione, mentre esiste un’infinita varietà di lavori non spendibili sul mercato, ma molto più utili di quelli salariati o comunque remunerati. La diserzione per es. esige un precedente lavoro di meditazione molto più duro e difficile rispetto all’obbedienza bovina ai dettami del mercato. La meritocrazia poi … in sé sarebbe anche una bella cosa, ma anche qui occorrerebbe intendersi sul significato della voce. Qui vige la pretesa che il merito si premi con i soldi in più, non con il prestigio, la stima e la considerazione conquistati per saper svolgere un lavoro utile (es. se sei un bravo medico devi farti pagare tanto, altrimenti non sei un bravo medico). Il sistema corrompe e rende meschini: la soddisfazione del proprio merito consiste nella difesa dei privilegi (materiali), nel ‘piacere’ di perpetuare le disuguaglianze (es. i miei figli potranno studiare, i tuoi no poiché non sei ‘meritevole’)
Queste dunque le bislacche elucubrazioni degli italiani, fra una canzonetta e l’altra.
Pococurante VM