AVVISO DI INSURREZIONE parte XII: Da ciascuno secondo le sue possibilità

Consueto scambio di auguri natalizi l’altro ieri alla taverna dei pessimi rituali, dove il solito tizio ha tenuto un non breve ma pacato fervorino, corroborato da abbondante vin brulè, prima della messa celebrata dal cappellano militare.

Lo spettacolo penoso di un potere tremebondo rintanato nei suoi palazzi, dove va in scena uno psicodramma che si consuma fra peones venduti, fra dilettanti allo sbaraglio improvvisati presidenti del Senato, fra crisi isteriche e servi che si improvvisano pianisti, è l’immagine plastica di una svolta, di uno spartiacque nel cambiamento in atto, anzi, chiamiamo le cose con il loro nome, nel processo rivoluzionario. Il movimento sta prendendo spazi e forme in grado di incidere nella realtà fattuale.

Da parte mia non si tratta di salire in cattedra, non voglio certo passare per chi vuol dare buoni consigli perché non può più dare cattivo esempio. Ogni singolo proletario che prende coscienza diviene protagonista e stratega della rivoluzione necessaria e sa da solo cosa fare. Troverei altrettanto volgare essere considerato un’autorità in questa società quanto nella prossima che verrà. Si tratta piuttosto di fornire un contributo critico intellettuale (da ciascuno secondo le sue capacità, non ho più l’agilità di un tempo per scendere in piazza e oltretutto ora porto gli occhiali) rispondendo per es. a chi si prodiga nella stucchevole geremiade del “ci risiamo, siamo tornati ai famigerati anni ’70”…. No signori miei, non è come gli anni ’70. La Storia non si ripete mai. In breve sintesi elenco le differenze abissali rispetto ad allora : dal punto di vista politico è mutato completamente il contesto internazionale (non esistono più i due blocchi contrapposti usciti dalla seconda guerra mondiale, l’accordo di Yalta è scaduto da un pezzo).

Dal punto di vista economico non ci troviamo in una crisi congiunturale come quella determinata dallo shock petrolifero, ma in una crisi strutturale, paragonabile (e forse peggiore) a quella del ’29.

In Italia non c’è più l’ammortizzatore politico come fu il Pci di Berliguer che fece da cuscinetto, o meglio da barriera, fra le istanze del movimento e il potere democristiano ormai cotto. Sarà compito degli storici appurare se questa posizione del Pci derivasse dal timore di farci fare la fine del Cile.

Non c’è più l’ammortizzatore economico del welfare: i governi nazionali non hanno più autonomia di spesa pubblica dato che la politica economica viene decisa a Bruxelles. Dunque rispetto a 30 anni fa è sparita sia la mediazione politica che la mediazione socioeconomica. Ora dovrebbe essere chiaro a tutti che non esistono margini per le tanto invocate ‘riforme’, qualunque sia il colore del governo in carica. Ora dovrebbe essere chiaro a tutti che il sistema non si riforma, si abbatte.
Poi verrà il tempo di costruire un sistema più equo, umanamente sostenibile, ma prima, ora, è il momento di distruggere. Distruggere soprattutto la sovrastruttura che determina un atteggiamento culturale e di mentalità corrente che trovo francamente sconcertante. Ma vi pare possibile che il sogno frustrato di un giovane d’oggi sia quello di non poter accedere a un mutuo? Ah, come vorrei indebitarmi per i prossimi trenta anni … Distruggere la mitopoiesi del lavoro. Bisogna liberarsi dal lavoro. Il lavoro non serve, non lo dico io, lo dice l’evidenza empirica di un sistema consacrato alla sovrapproduzione che grazie ai progressi della tecnica già oggi può benissimo fare a meno di impiegare i ¾ della popolazione, figuriamoci quando si dovrà produrre e consumare meno. Come diceva Heidegger, l’essenza della tecnica non è la tecnica stessa, ma ciò che essa smaschera. Non serve il lavoro, serve il reddito. Serve un reddito di cittadinanza, un salario sociale che consenta di vivere dignitosamente senza lavorare. Blasfemo, eh? ma la rivoluzione è innanzitutto culturale o non è. Da ciascuno secondo le sue capacità.
Certuni affermano “amo il mio lavoro”. Qualcuno sarà senz’altro sincero: ama il suo lavoro anche se sganciato dal profitto, penso a certi medici, insegnanti, scienziati, ricercatori, bancari perfino, ma anche lavoratori manuali, carpentieri, artigiani. A costoro nessuno certo impedirà di lavorare. Allo stesso modo non si potrà obbligare a dedicare le proprie energie, tempo creatività al lavoro chi ha di meglio da fare nella vita. Spiacente per quei frustrati dalla propria esistenza che nel lavoro vedono solo la realizzazione di potere e denaro, poiché potere e denaro saranno equamente distribuiti fra i cittadini. Distruggere il mito della crescita. Questo pianeta, ancor prima di questa umanità, non se la può permettere. La decrescita e la sobrietà sono la via maestra per il futuro. E poi filiera corta, km. zero. Mi rendo conto di aver messo troppa al carne al fuoco. Sono argomenti che meritano approfondite riflessioni. Tuttavia questi sono temi che non sfiorano neppure l’anticamera del cervello dei nostro governanti, la cui unica preoccupazione è di mantenere il potere purchessia. Purtroppo, temo che per mantenere il potere siano capaci davvero di tutto. La Storia non si ripete mai, ma come ammoniva Camus, il germe della peste può risvegliarsi dopo lunghi anni. Nel nostro Paese la peste si chiama fascismo; i segnali di risveglio si fanno sempre più frequenti, e la sua voglia di rivincita sempre più prepotente. La Storia non si ripete mai e non è scontato che anche questa volta ci sarà un lieto fine. Tuttavia ognuno si chieda qual è il suo dovere e continui, o inizi, a farlo. Non si tratta di salire in cattedra, ma di ricordare che nonostante tutto due più due fa sempre quattro (cfr ancora Camus).

Fischia il vento, urla la bufera, scarpe rotte eppur bisogna andar …

Dal genio del nostro lampadiere Pococurante

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