Autorevole orazione ieri sera alla taverna dei cattivi non violenti da parte dell’autorevole alcolista riguardo il controverso periodo storico che stiamo vivendo.
Cambiamento, cambiamento, cambiamento. Ormai se ne sono accorti tutti: viviamo in presa diretta un’epoca di trasformazione storica, che avrà importanti riflessi in ambito sociale, economico, politico. Sarà certamente interessante il compito degli storici che indagheranno le cause di questa metamorfosi, rintracciabili a mio avviso nel cedimento strutturale del sistema finanziario mondiale unitamente a quella straordinaria innovazione tecnologica, impensabile nelle sue funzioni virtuose fino a un decennio fa, che è il web. E’ tesi condivisa che questo mezzo abbia avuto un ruolo fondamentale nelle recenti svolte politiche come l’elezione di Obama (di per sé un’inattesa novità a prescindere dai successivi atti della sua amministrazione), le rivolte del maghreb e i sorprendenti risultati delle consultazioni italiane.
La società dello spettacolo per come l’abbiamo finora conosciuta, fondata sul predominio ultra controllato del sistema televisivo, attraversa la sua prima grave crisi. Il punto è vedere come ne uscirà. Credo che su questo punto molto dipenderà da noi, poiché per quanto riguarda ‘loro’, i detentori del potere, il pessimismo della ragione ci suggerisce che la reazione sarà esa-sperata, cioè senza speranza, cioè violenta.
Si tratterà di capire, con metodo, con un approccio non ideologico nè dogmatico, come rispondere all’inevitabile violenza che il potere morente ci riverserà addosso. Ritengo fondamentale che il dibattito intorno al metodo non violento che, ça va sans dire, è di gran lunga preferibile (a meno che non si sia sadici sanguinari) non sia inquinato da posizioni appunto dogmatiche, moralistiche.
L’arroccamento su posizioni intransigenti, la mancanza di flessibilità nelle decisioni da prendere volta per volta, caso per caso, in una fase complessa e mutevole sarebbe un imperdonabile vantaggio regalato agli oppressori. Questi non devono poter contare su certezze, tipo quella che la violenza non li sfiorerà mai. Nè che lo scontro sarà sempre e comunque sul piano militare. Piano quest’ultimo che li vede enormemente avvantaggiati, ma solo apparentemente, se consideriamo l’efficacia della guerriglia (come storicamente attestato dall’esperienza dei vietcong, dalla resistenza afgana, irachena, ecc.). La non violenza ha un punto forte/debole: gode di grande popolarità, di buona stampa come si dice, mette d’accordo molte anime, dai cattolici ai laici sinceri democratici ai banchieri etici, ma soprattutto risponde all’esigenza di chi mette in cima alle sue priorità la propria coscienza, che deve essere necessariamente ‘a posto’; fai quel che devi, accada quel che può. Il sovvertimento della società è una subordinata. Si tratta chiaramente di un retaggio filosofico, fra i più pesanti, della malefica cultura individualista.
Sgombriamo il campo dall’equivoco che all’infuori della pratica non violenta esista solo la lotta armata. Ritengo questa via davvero da evitare, non per motivazioni moralistiche, ma eminentemente pragmatiche in considerazione delle nefaste esperienze degli anni ‘70, quando le varie bande e cellule furono facilmente infiltrate ed eterodirette con finalità di stabilizzazione del regime. Figuriamoci cosa accadrebbe oggi con la tecnologia (intercettazioni, telecamere ovunque, satelliti) a disposizione dello spionaggio di stato. Una strada decisamente impraticabile. Diverso è il discorso relativo alla guerriglia urbana, più difficilmente controllabile dal potere. Pochi ricordano, e i più non sanno, che la polizia italiana sparò ad altezza uomo, non trent’anni fa, ma il dicembre scorso in occasione della rivolta popolare, studentesca contro il varo del governo Berlusconi-Scilipoti tutt’oggi in carica. Le relative foto hanno avuto lo spazio e la vita breve di un mattino su un giornale di infima tiratura. Non come quelle ormai entrate nell’immaginario collettivo del manifestante con passamontagna e p38, tanto sono state reiterate nei decenni su ogni mass media.
Spesso viene vantato dagli attuali governanti il merito di aver mantenuto la coesione sociale. La coesione sociale viene vista da loro come un valore. Rompiamo dunque questa coesione sociale. Coesione sociale significa che gli oppressi dormono.
Il sistema di potere al servizio degli oppressori ha diritto di detenere il monopolio della violenza e degli armamenti che legittimamente esercita attraverso la polizia, le forze armate, i servizi segreti.
Agli oppressi spetta il monopolio del bon ton e delle buone maniere, da esercitare nei modi e nelle forme della protesta pacifica, democratica e politically correct.
Qualcosa non torna.
(Per quanto pleonastico, ribadiamo che questi sono discorsi sconnessi di un avvinazzato perso uditi in una fiaschetteria di infimo ordine e pertanto non devono inquietare alcuno. Rilassatevi piuttosto ascoltando i ragionamenti dei personaggi sobri che abitano le tv)
Dalla lucidità forte, autorevole, illuminata e illuminante, necessaria e vitale a più di quanti già lo sanno e la colgono del nostro lampadiere Pococurante
Un pensiero su “AVVISO DI INSURREZIONE parte XVIII: Violenza non violenza”