BOZZA DI UN PROGRAMMA AMMINISTRATIVO: LA TUTELA DEI NEGOZI DI VICINATO E I G.A.S. NEI QUARTIERI
E’ evidente la crisi dei piccoli negozi “di prossimità” che da tempo sta colpendo la periferia dell’agglomerato urbano cittadino – pensiamo ai quartieri di Lecco, ma anche ai piccoli comuni valsassinesi e della valle san martino – e che quindi merita oltre appunto ad una denuncia anche delle possibili soluzioni. Non ci sottraiamo quindi insieme a una necessaria premessa la GDO. La grande distribuzione, con la sua voracità territoriale e l’impatto omologante sugli stili di vita è il modello principe – insieme alle banche – nel rappresentare bene l’ingordigia e le distorsioni del nostro mondo opulento. La GDO non consente, infatti, grandi risparmi, ma comunica una sensazione: si sta facendo un affare. Si sta fregando qualcuno. Nei supermercati si ha poi la sensazione di disporre di una miriade di oggetti, che nei fatti, mai compreremo. Ma l’obiettivo è raggiunto. Il “senso critico” del consumatore va a farsi benedire paralizzato dalla proposta di “un’occasione eccezionale”. Imperdibile. Ecco è qui che dovrebbe intervenire la nostra forza di cittadini consapevoli. E’ da qui, quindi, secondo noi che dobbiamo partire per salvare i quartieri, la vita delle periferie e dei piccoli comuni che rischiano altrimenti di spopolarsi e cioè che chi vi ci abita – e chi li amministra – faccia la propria parte.
Bisogna evitare che si spengano e si chiudano come l’ultimo negozio ormai divorato dalla concorrenza impari dell’iper. Bisogna creare relazioni sociali stabili. Per questo proponiamo di valutare insieme ai cittadini dei singoli quartieri di istituire in queste realtà di vita quotidiana Gruppi di acquisto solidale – i GAS – una struttura, quindi, alternativa ai soliti canali distributivi oggi appunto dominati dai grandi centri commerciali.
Con un vantaggio: questi progetti creano esperienze di autogestione tra eguali.
Il GAS diventa un bene comune, collettivo che necessita di tempo stabile, strutturato e condiviso. Che necessita di partecipazione. Queste realtà di acquisto collettivo dal produttore, andrebbero a rispondere non solo a problemi locali e svolgere un servizio sociale che dovrebbe essere incoraggiato dalle amministrazioni comunali.
L’autogestione collettiva dei propri bisogni costa e non è facile.
E’ più semplice e “conveniente” mettersi in una posizione subordinata, accettare gerarchie, che stare assieme e decidere insieme. Decidere insieme cosa produrre e come e cosa consumare. E’ meglio trovare deciso tutto da qualcun altro. Ed essere solo esecutori. Restando soffocati dalle decisioni di altri. Condividendo la spesa, gli acquisti dei generi alimentari, per la casa, sostenendo, dove possibile, prodotti e produttori locali, azzerando, il più delle volte, intermediari e ricariche di prezzo, controllando la filiera di ciò che mangiamo e ciò che compriamo, in termine di costi e di qualità probabilmente permetterà di salvare e di rivitalizzare non solo il quartiere, la comunità, ma anche la socialità, l’economia del territorio. In fondo basta poco: un piccolo locale, partecipazione tra eguali, volontà e consapevolezza del proprio valore. Il resto lo si creerà con il tempo, quel tempo che oggi, con l’ultima saracinesca abbassata ci vogliono togliere.
Il Comune di suo, può sostenere o reperire locali, fare accordi, dando garanzie, per agevolare la nascita di esercizi di ritrovo e distribuzione della spesa dove non ci sono più i piccoli negozi di prossimità, dio vicinato o, ove vi fossero ancora, per sostenerli a continuare l’attività, incentivando l’introduzione di prodotti locali, prodotti con un’alta qualità e calmierando i prezzi così da sostenere economicamente anche i consumatori.
Tutti i terreni pubblici disponibili per la coltivazione dovranno essere messi a disposizione dei cittadini che desiderano coltivare un orto e similari (che è anche un messaggio culturale) o essere oggetti di un piano di rimboschimento generalizzato con un progetto imponente in termini di quantità.