In questo tiepido week end ottobrino ho terminato la lettura di Resistere non serve a niente (W. Siti, Rizzoli, 2012)
Ultimo romanzo di Siti, il primo che ho letto, e che mi costringerà a leggere i precedenti ( e i prossimi). Diciamo subito che dal punto di vista della scrittura, inarrivabile, questo testo dovrebbe inibire (quasi) chiunque dal continuare a scrivere. Non ne leggo pochi di libri, ma raramente ho potuto riscontrare una prosa tanto intensa, efficace e rapitrice.
Fatta fuori brutalmente la questione del metodo, passiamo al merito del romanzo. La trama narra la biografia di Tommaso, uno squalo italiano contemporaneo del finanzcapitalismo (cfr Gallino). Concepito la notte in cui morì Pasolini (il genitore torna a casa trafelato e sporco di sangue ‘abbiamo dato una lezione a un frocio’), di estrazione proletaria, padre fuori e dentro il carcere, madre operaia prima, portinaia poi, vive un’infanzia e un’adolescenza straziante, soprattutto a causa di una grave obesità. Tuttavia la natura lo ricompensa fin da piccolo con un elevato quoziente intellettivo e un’innata passione e predisposizione per la matematica.
La svolta intorno ai 18 anni. Grazie all’interessamento di ‘amici’ di papà (poi vedremo che genia di amici) si fa operare, dimagrisce, va all’università e la sua bulimia dal cibo si trasferisce al denaro.
Siti ci illustra il male nella sua conturbante interezza. Ci porta dentro la testa di questo adolescente malcresciuto, la sua sessualità immatura che reclama ferocemente gli arretrati, il suo impaccio di parvenu a contatto col mondo dei nati ricchi. Descrive la mentalità di questi ultimi, ci spiega che il vantaggio dei soldi non è di fare, ma di sapere di poter fare. Il bello non è spendere soldi (come farebbero i miserabili) ma sapere di poter spenderli. Ci svela la fonte della corruzione materiale e morale della società occidentale, dove impera la mercificazione dei rapporti umani, non ultimi quelli sessuali, e la prostituzione ad ogni livello, fino al più abietto, viene vissuta come ‘naturale’.
Poi affonda il bisturi nella genesi dell’attuale sistema. Qui, nel penultimo capitolo, devo dire che il percorso narrativo perde un po’ di appeal, trovo un’incursione alla Gomorra, con tecnicismi forse eccessivi. Non vorrei che questa critica suonasse come un complimento, ma mi ricorda Moby Dick nel punto cui Melville infarciva pagine e pagine di nozioni cetaceologiche. Per farla breve, l’economia odierna è il risultato irreversibile di un esperimento di entropia, che non distingue più fra denaro pulito e sporco perché il denaro stesso è un pixel sullo schermo, che con un clic fa il giro del mondo in pochi secondi. La mafia di 2° generazione, di cui Tommaso fa parte, non indossa coppola, non impugna la lupara dietro i fichi di’india. Ha studiato nelle migliori università, veste in doppiopetto, usa iphone e jet privato; e tanto basta per renderla presentabile in società. Affonda sempre le sue radici nel sangue, e nel sangue perpetua la sua ricchezza. Tuttavia è un sangue che scorre lontano, in altri continenti, non imbratta le loro dita che si limitano a picchiettare su tastiere di computer. La medesima sovrastruttura che li copre e li protegge è quella che ora indirizza il rancore popolare verso i politici corrotti, lasciando credere che siano loro la causa dell’impoverimento della popolazione. Si offre un capro espiatorio per poter continuare a fare affari, se affari si possono chiamare trasferire pixel da un computer all’altro.
Se la situazione è questa, se le soluzioni che gli uomini di buona volontà propongono sono punture di spillo come la tobin tax (che giustamente uno speculatore interpreta come una prova che queste ‘anime belle’ si meritano di essere fottute) allora davvero non c’è via d’uscita. La tentazione e il sentimento che ci pervade è di sentirsi sollevati, deresponsabilizzati, senza alcuno obbligo verso un sistema siffatto. In effetti il proletariato non ha alcun debito nei confronti del capitale, semmai parecchi crediti. Tuttavia quando il credito è vantato nei confronti della mafia risulta di difficile (per usare un eufemismo) esigibilità.
Ma forse una via c’è, una via fatta di radicalità, di nuovi barbari, terrore delle idee, Robespierre. Una via c’è se cediamo a un altro sentimento rispetto al sollievo, un sentimento da riscoprire, coltivare e interiorizzare: un incorruttibile odio di classe. Se la realtà è questa, se non è tutto solo un romanzo, davvero resistere non serve a niente. Serve attaccare.
Kraus Davi