AVVISO DI INSURREZIONE parte XXII: La società dello spettacolo e la falsa violenza

Frizzante serata ieri alla taverna dei draghi cattivi di ritorno da Roma, dove si rinveniva il solito tizio piuttosto alterato avendo assaggiato per la prima volta una bevanda denominata spritz.

Ogni volta mi stupisco. Mi stupisco della sproporzione fra la ‘situazione’ congiunturale socio-economica e la reazione violenta degli esclusi, degli sfruttati, degli oppressi. Ma come? Giovani che si vedono scippato il futuro, ma davvero. Senza prospettive di miglioramento, anzi con la certezza di peggioramento rispetto alle generazioni dei loro padri. Che subiscono quotidianamente sulla loro pelle, nella carne, ma davvero, la violenza del sistema. Ebbene, fra questi, solo poche centinaia si lasciano andare, non si trattengono, sfasciato tutto. E gli altri? Si indignano, certo. Scendono in piazza, benissimo. Ma come se andassero a una gita. Festosi, colorati. Non vedete una sproporzione?

Perché così pochi sono davvero indignati, incazzati al punto di voler spaccare tutto? Sgombriamo il campo dalle dietrologie e dal complottismo. Degli infiltrati ci saranno anche, come ci sono sempre stati, ma sono superflui. Non sono loro che hanno determinato il tutto. Dunque chi sono questi ‘violenti’? Abbiamo già risposto: sono gli oppressi. Perché lo fanno? Perché sono cattivi, cinici, egoisti e superficiali? Se avessero queste peculiarità sarebbero ben inseriti in questa società che non richiede altro che queste ‘qualità’. Scriverebbero editoriali su Libero, dirigerebbero Il Giornale o Il Foglio.

Non possiamo sfuggire al tema fondamentale del nostro tempo, anzi di ogni tempo, da che mondo è mondo: la narrazione. Nella vita pubblica, come nella vita privata di ognuno, tutto dipende da come ce la raccontiamo.

Chi ci racconta come vanno le cose? Cosa si risolve spaccando due o tre bancomat, incendiando cinque o sei auto, sei o sette cassonetti? Niente. Cosa si risolve con un oceanico corteo pacifico, colorato e festoso? Niente. Cosa si risolve con un corteo oceanico davvero indignato e incazzato, che spacchi ogni bancomat, incendi ogni banca? Beh, mi sbaglierò, ma secondo me qualcosa anche nella narrazione di regime cambierebbe.

Se vogliamo dire un’ovvietà, che è tanto ovvia quanto esatta, diciamola: la violenza fa schifo. Ma chi decide ciò che è violenza e ciò che non lo è? O meglio, chi decide qual è vera violenza? La risposta, la chiave di lettura risiede in un testo fondamentale che dovrebbe conoscere ogni telespettatore prima di sedersi davanti ad uno schermo della tv: La società dello spettacolo di Debord. Mi rendo conto che si tratta di tesi ostiche, soprattutto a seconda delle traduzioni…

Il fatto che sia così facile per i detentori del potere far passare nelle mente di ognuno il meme, l’inoppugnabile validità della falsa dicotomia fra violenti/non violenti deriva (anche) dalla mancata conoscenza e comprensione di quel testo da parte del 99% dei telespettatori.

Per cui si ha gioco facile nel dividere il mondo fra buoni e cattivi e spingere il grosso dell’opinione pubblica nella direzione voluta. La vera dicotomia non è fra violenza e nonviolenza, ma fra vera violenza e violenza farlocca. La vera violenza è ciò che i mezzi di comunicazione in mano ai detentori del potere non mostrano. È la violenza delle operazioni belliche in Libia e Afghanistan, delle deportazioni nei cie. Dell’informazione asservita e manipolata, della menzogna. Del clima costante e quotidiano di minaccia e intimidazione sui luoghi di lavoro. Dei pestaggi quotidiani (quotidiani) di fermati e detenuti (Cucchi, Aldrovandi, Uva non subirono un trattamento ‘eccezionale’) Delle lettere della Bce. Dei martellanti quanto suadenti spot televisivi.Delle vetrine di boutique e banche in centro non ancora infrante. Delle auto di lusso ancora intatte. Quella è la vera violenza. Il resto è parodia, caricatura della violenza.

Che dire di più, il nostro ex khorakhaneker Pococurante ci dona questa ennesima lectio che proprio perchè tale non potrete mai leggerla su Repupplica o il Corriere. Giù il cappello, in segno di stima non di sottomissione.

2 pensieri su “AVVISO DI INSURREZIONE parte XXII: La società dello spettacolo e la falsa violenza”

  1. Ti ho letto sette volte e ti ho dato ragione sette volte.
    Mi sono bevuto sette bicchieri di vino per capire prima, senza dover leggere sette volte Debord.
    E ho capito tutto guardando una volta solamente la foto de “Er pelliccia”.
    La cintura dei pantaloni più bassa dei coglioni e il tatuaggio, che bisogna averne nessuno per essere tatuati veramente…oggidì!
    Puro concentrato di ciò che non si è.
    Frutto di ciò che si vuole si sia, specialmente violenti, quando fa comodo la violenza.
    Ci vuole fantasia anche nella violenza, spaccare sempre e comunque lo stesso giocattolo serve unicamente a riassumere la stessa storia senza raccontarne mai una di nuova.
    Non mi interessa quanti bancomat sono stati sventrati, sarebbe più interessante sapere se chi spaccava il bancomat ne avesse avuto uno in tasca e presumo di si.
    Per questo mi posso solo permettere di caricarli, i bancomat, io.
    Bello spettacolo, comunque.
    E adesso leggi speciali, telespettatori indottrinati, che non serve mai abbastanza.
    Intanto, mentre chi picchia e chi le prende, chi spacca e chi aggiusta, chi va in galera e chi fa la guardia, chi indigna e chi si indigna un altro mondo parallelo gode, prospera ed impera.
    Quelli che hai detto tu: i veri violenti.
    Non leggerò Debord, la bottiglia è vuota, non mi serve più.
    Leggerò Pasolini,
    Sette volte:

    È triste. La polemica contro
    il PCI andava fatta nella prima metà
    del decennio passato. Siete in ritardo, figli.
    E non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati…
    Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi
    quelli delle televisioni)
    vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio
    delle Università) il culo. Io no, amici.
    Avete facce di figli di papà.
    Buona razza non mente.
    Avete lo stesso occhio cattivo.
    Siete paurosi, incerti, disperati
    (benissimo) ma sapete anche come essere
    prepotenti, ricattatori e sicuri:
    prerogative piccoloborghesi, amici.
    Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
    coi poliziotti,
    io simpatizzavo coi poliziotti!
    Perché i poliziotti sono figli di poveri.
    Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
    Quanto a me, conosco assai bene
    il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
    le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
    a causa della miseria, che non dà autorità.
    La madre incallita come un facchino, o tenera,
    per qualche malattia, come un uccellino;
    i tanti fratelli, la casupola
    tra gli orti con la salvia rossa (in terreni
    altrui, lottizzati); i bassi
    sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
    caseggiati popolari, ecc. ecc.
    E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,
    con quella stoffa ruvida che puzza di rancio
    fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,
    e lo stato psicologico cui sono ridotti
    (per una quarantina di mille lire al mese):
    senza più sorriso,
    senza più amicizia col mondo,
    separati,
    esclusi (in una esclusione che non ha uguali);
    umiliati dalla perdita della qualità di uomini
    per quella di poliziotti (essere odiati fa odiare).
    Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care.
    Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia.
    Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!
    I ragazzi poliziotti
    che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
    risorgimentale)
    di figli di papà, avete bastonato,
    appartengono all’altra classe sociale.
    A Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento
    di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte
    della ragione) eravate i ricchi,
    mentre i poliziotti (che erano dalla parte
    del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,
    la vostra! In questi casi,
    ai poliziotti si danno i fiori, amici.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *