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AUTOGESTIRE LA FABBRICA (LEUCI). PER SALVARLA

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UN nostro intervento di inizio 2008, buono ancora adesso anche per la Riello e, purtroppo, x100 altre (scrivemmo il 28 aprile 2008 e ancor prima il 2 gennaio 2008 su la provincia di lecco)

Il 2008 va iniziato con la prospettiva che sarà come lo faremo. Io ho una proposta per rispondere all’allarme lanciato dai lavoratori della Leuci sulla volontà padronale di chiudere la fabbrica. Con volontà di discussione, da approfondire per chi lo vorrà, esplicito la mia proposta. “ L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, c’è scritto sulla nostra Costituzione. I lavoratori della Leuci di Lecco hanno invece paura, leggendo i segnali ambigui della Proprietà e il silenzio – di fatto – della città, che molto presto, non potranno più esserlo. Più per calcoli speculativi degli azionisti che per un’effettiva crisi di produzione. Di mercato.  In Italia, più di quanto non succeda altrove, molto spesso i provvedimenti vengono assunti sulla base dell’onda emotiva, dell’impulso, senza che vi sia dietro una riflessione e senza che vi sia un’idea di dove, dopo questi provvedimenti, si andrà a finire. In molte occasioni, si opera con l’intento di distruggere quello che è stato fatto in precedenza. Non vorrei che la città, i sindacati, gli Enti pubblici e tutti quanti, decidessimo di intervenire quando ormai è tardi. Quindi propongo di appuntarci una data. Il 1° maggio 2008. Una data simbolo.  E da oggi sino a quella esortare e soprattutto sostenere i lavoratori a non accontentarsi solo di lottare per la democrazia sindacale e miglioramenti salariali, ma “a lottare per togliere ai capitalisti della Leuci il possesso dei mezzi di produzione” che stanno depauperando. La determinazione che mostreremo con i lavoratori al riguardo è ciò che definirà la possibilità di celebrare “un altro primo maggio”, “un altro movimento operaio”. Ora i lavoratori della Leuci, quelli che rimangono, da una parte hanno il sindacato che dice testualmente: “la fabbrica chiuderà perché quelle lampadine saranno messe fuorilegge” e dall’altra la solita ordinaria lotta di sfruttati contro sfruttatori. E’ quindi necessario, credo che vada almeno discussa e ragionata se i lavoratori vorranno, la necessità di essere uomini senza padroni. Di autogestire la Leuci di Lecco. Esperienze, positive e di successo, ci sono. Non è necessario andare fino in Argentina, dove la rinascita si è rimessa in moto dopo il crack economico. Là ora ci sono oltre 200 fabbriche in questa situazione che danno lavoro a più di 15.000 lavoratori. Basta stare in Italia a Pedavena, Belluno con una fabbrica di birra o, ancor più vicini a noi, a Bollate con la fabbrica tessile, tintoria Syntess ex Timavo. La tintoria di Bollate è un’esperienza paradigma perché è autogestita dai lavoratori, senza più padroni, e perché aveva molti operai, 80, e ci sono ancora tutti. La proprietà un mattino se ne andò stracciando l’accordo che aveva sottoscritto la notte stessa, con cui si impegnava a restare. Che fare? Ci si guardava sgomenti quel mattino: operai, sindacato, Provincia, Sindaco. Presto detto: “la fabbrica la facciamo funzionare noi!”. Una sfida al limite dell’azzardo. I lavoratori ci hanno messo il TFR e tanta ma tanta passione. La Provincia ci ha messo gli stessi soldi (pochi) che avrebbe destinato per il famoso “outsourcing” a fabbrica chiusa, solo che questa volta ce li ha messi per tenerla aperta. E il lavoro è ripartito e si sono riconquistati i clienti che Timavo nel frattempo aveva perso. E oggi resiste. Resiste, pur accerchiata dai vecchi padroni che mantengono la proprietà dell’area e dei macchinari. Perché non si può autogestire anche la Leuci? In un progetto in cui si saldano, come soggetti promotori, lavoratori con il Sindacato, Provincia, Comune e noi tutti cittadini solidali che possiamo sostenere e sostenerci? Forse bisognerà pensare di svegliare la città con l’occupazione della fabbrica, con il blocco delle merci da parte degli operai, insieme alla pressione istituzionale, convincendo così i vecchi proprietari a firmare i contratti d’affitto dell’area e dei macchinari per continuare la produzione. Perché l`Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Ed è ora che al fianco dei lavoratori si vada a prendersi (e far ripartire) i mezzi di produzione.

OGGI 29 SETT di Leuci si parlacome una storiadata per persa. Vale la pena di ragionarci su? Autogestire la Leuci. Per salvarla

UNA MOTOguzzi DI LAVORO

moto-guzzi-logoSono contento per la riuscita della manifestazione di sabato a Mandello e del ventilato accordo che Colaninno dalle pagine del Sole24ore ha lasciato intendere di perseguire con la promessa di ritiro della cassa integrazione e del mantenimento e il rilancio della Guzzi in quel di Mandello. Anche se le subordinate a cui vincola le sue ipotesi sono legate a piani di ristrutturazione e agli incentivi governativi. Ristrutturazioni che con un linguaggio meno felpato si possono sempre tradurre in tagli all’occupazione. Così come i mancati incentivi si possono tradurre in cassa integrazione (quando va bene) o chiusura. Continua la lettura di UNA MOTOguzzi DI LAVORO

BASTA PENSIONI

altan_sulle_pensioniDal nostro ex khorakhaneker inviato nel mondo dell’economia Federico Due luoghi comuni dominano la presunzione che la previdenza contributiva sia necessaria: la spesa pensionistica italiana superiore alla media europea e l’incremento dell’età anagrafica che renderebbe insostenibile il sistema.

 

La spesa pensionistica dell’Italia somma il 51.7% della spesa sociale mentre la media europea totalizza 41.3%.

In proporzione al pil è il 12.7% contro il 10.9% della media europea. (fonte:Eurostat).

Dalla spesa pensionistica però è necessario eliminare il TFR che, in altre nazioni europee può essere equiparato a prestazioni sociali per il sostegno alla disoccupazione, istituto inesistente in Italia. Seguendo le indicazioni di Eurostat, al netto del TFR, la spesa pensionistica si riduce al 45.7% del totale e all’ 11.2% del PIL.

Inoltre, le rilevazioni Eurostat sono effettuate a lordo. In Italia il reddito da pensione è tassato alla stesso modo del reddito da lavoro mentre nella maggior parte delle nazioni europee sono applicate agevolazioni. Calcolando le quote al netto, si renderebbe giustizia della disparità fra spesa pensionistica italiana e del resto d’Europa.

 

Con la Riforma Dini dell’95 il sistema retributivo è stato modificato diminuendo, nei fatti, l’importo delle pensioni future ed aumentando nel tempo l’anzianità di servizio. 

Il comma 1 articolo 1 della legge di riforma del 1995  ha come unico obbiettivo la stabilizzazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL. Dato l’incremento della quota di anziani sulla popolazione, questo significa, banalmente, riduzione dell’importo delle pensioni e aumento dell’età lavorativa. 

Questo  elemento è fortemente gonfiato dallo stato di precarizzazione del lavoro dei giovani Continua la lettura di BASTA PENSIONI

PIU PELLICCE MENO ACCIAIERIE top allegato

lavoratori In pieno regime di “disinformazia” si è felicemente conclusa la vicenda INNSE. Il merito di un epilogo positivo per i lavoratori è tutto frutto della loro lotta determinata, incessante che li ha visti uniti, solidali, indisponibili a cedere di fronte alla necessità di difendere una giusta causa. La vicenda INNSE è una delle tante storie che purtroppo succedono nel nostro paese che preferisce le giostre alle fabbriche. Avvoltoi travestiti da imprenditori hanno spesso gioco facile, con la complicità dei politici, a portare in rovina aziende sane per trarne diversamente profitti maggiori in spregio ai diritti dei lavoratori che ci consumano le proprie vite.

Dopo un doveroso grazie ai lavoratori della INNSE, mi permetto di ALLEGARE QUI una storia della vicenda, l’ho assemblata pescando in rete informazioni da documenti ufficiali. Ritengo siano molto interessanti e raccomando di prestare molta attenzione alle date in qui sono stati prodotti. grafico-aedes-spa SOCI AEDES

LIBERAZIONE DAL LAVORO

helmetPer una volta non vorrei fare il saputello che esprime certezze granitiche ma vorrei condividere alcune mie perplessità sul tema del lavoro. Sembra che volga a positiva conclusione la vicenda Innse, mentre altre lotte operaie sorgono altrove in Italia (es. la Cim di Marcellina).

Il caso della tentata chiusura della Innse era reso ancora più paradossale dalla presenza di ordinativi, insomma non era un’azienda in crisi. Si voleva esclusivamente realizzare un’operazione di speculazione edilizia, che sembra fortunatamente scongiurata grazie alla tenacia della lotta di quei lavoratori.

Gli operai chiedono il lavoro, il mantenimento in vita della fabbrica. Su youtube un operaio della Innse si mostrava critico nei confronti di forme di autogestione della fabbrica, poiché, diceva, per far rispettare i tempi di consegna di una commessa, occorreva un padrone che controllasse. E dato che in caso di un’autogestione i controllori sarebbero dovuti essere più numerosi, tanto valeva avere un padrone unico, preferendo evidentemente lo sfruttamento all’autosfruttamento. Insomma volevano, vogliono il padrone.

Sembra ancora lontana, complice un certa sinistra operaista nostalgica, Continua la lettura di LIBERAZIONE DAL LAVORO

INNSE Lambrate, la forza della dignità

        

Facevo una considerazione federalista.

E’ cronaca di questi giorni la resistenza di 49 lavoratori del nord per salvare la loro fabbrica, la INNSE di Milano Lambrate appunto, supportati solo da sindacati e giovani dei centri sociali.

Mi domandavo dove fossero i leghisti. Poi ho notato con onestà che i i leghisti non sono indifferenti alla vicenda Innse,

non è mica gente che sta con le mani in mano.

Un leghista a suo tempo condannato per resistenza a pubblico ufficiale (aveva morsicato la gamba a un poliziotto) e ora messo a capo del gabinetto degli Interni ha fatto schierare le forze dell’ordine per tutelare lo smontaggio dei macchinari di quella fabbrica con conseguente chiusura della stessa e perdita del posto di lavoro per 49 operai e relative famiglie del nord e consegnare quell’area del territorio di Lambrate alla speculazione edilizia.

Ecco mi rimane un dubbio, oltre a questi leghisti del gotha politico, la base dov’è?

Che so non si può dare alla Sicilia 3,800 miliardi € (al posto che 4) per la Banca/Cassa del Mezzogiorno e il resto usarli per salvare le fabbriche e gli operai del nord? Padroni a casa nostra, si può prima dello sfratto? dossier-12-marzo