Per una volta non vorrei fare il saputello che esprime certezze granitiche ma vorrei condividere alcune mie perplessità sul tema del lavoro. Sembra che volga a positiva conclusione la vicenda Innse, mentre altre lotte operaie sorgono altrove in Italia (es. la Cim di Marcellina).
Il caso della tentata chiusura della Innse era reso ancora più paradossale dalla presenza di ordinativi, insomma non era un’azienda in crisi. Si voleva esclusivamente realizzare un’operazione di speculazione edilizia, che sembra fortunatamente scongiurata grazie alla tenacia della lotta di quei lavoratori.
Gli operai chiedono il lavoro, il mantenimento in vita della fabbrica. Su youtube un operaio della Innse si mostrava critico nei confronti di forme di autogestione della fabbrica, poiché, diceva, per far rispettare i tempi di consegna di una commessa, occorreva un padrone che controllasse. E dato che in caso di un’autogestione i controllori sarebbero dovuti essere più numerosi, tanto valeva avere un padrone unico, preferendo evidentemente lo sfruttamento all’autosfruttamento. Insomma volevano, vogliono il padrone.
Sembra ancora lontana, complice un certa sinistra operaista nostalgica, la maturazione di un pensiero davvero rivoluzionario orientato non alla liberazione del lavoro, ma dal lavoro. L’enorme progresso tecnologico degli ultimi anni, che ha coinvolto non solo la classe operaia ma anche quella impiegatizia (se pensiamo alla diffusione dei computer negli uffici), ha liberato la forza lavora da una serie di incombenze inimmaginabile fino a poco tempo fa. Tuttavia questo vantaggio è stato interamente capitalizzato, scusate il gioco di parole, esclusivamente dal capitale, lasciando i lavoratori ai margini del processo produttivo, aumentando la disoccupazione.
La mia domanda è: in caso di effettiva crisi di un settore (come può essere quello automobilistico) hanno senso le lotte finalizzate al mantenimento in vita di aziende (o rami di esse) senza alcuna prospettiva?
Non sarebbe il caso di prendere coscienza che il lavoro non c’è per tutti, perché non ce n’è bisogno e che questa è una fortuna? Mi rendo conto che sto mettendo in discussione l’art.1 della ns. Costituzione, ma credo che sia giunto il tempo per un profondo mutamento culturale riguardo al lavoro. Forse è il caso di ripensare, alla luce del progresso della tecnica, il ruolo del lavoro nella nostra vita, che spesso non nobilita né ‘rende liberi’, ma il più delle volte è solo lo strumento di dominio dei centri di potere. Forse per un sinistra moderna sarebbe il caso di andare a sviluppare alcune intuizione del movimento del ’77, di approfondire le tematiche della decrescita, del salario sociale, del reddito di cittadinanza.
dal nostro ex khorakhaneker Gustavo Schianchi