Ieri ho lasciato la macchina(*) in un piccolo parcheggio appena a lato della strada provinciale di Malgrate, quando la strada finisce di salire e non è ancora diventata discesa.
Non vedi il lago e non lo senti nemmeno. Anche se è a un passo. Insomma, è come se si fosse in ogni posto. Ma quello non era nessun posto.
Sull’altro lato della strada un lunga cancellata di ferro grigio alcune case con vetri alti di uno stile sobrio ed elegante e un cancello, quel cancello di legno che guarda e abbraccia un prato e il vialetto che porta alle case.
Era lì che avevo un appuntamento per un aperitivo bio. Quegli aperitivi che oltre alle bollicine e alla fetta d’arancia han dentro un racconto, un racconto e un confronto, con il padrone di casa.
Ho scoperto una splendida struttura ricettiva, un fiore all’occhiello del territorio che sa di lago e di eleganza; quell’eleganza di classe, non ostentata. Funzionale, sobria e di gusto.
Il padrone di casa mi aspettava, mi ha accolto venendomi incontro, quei passi che non sono fretta, paura che tocchi qualcosa, ma propensione all’incontro, all’accoglienza.
Appena al di là del cancello di legno sulla sinistra c’è un prato tagliato di fresco, curato, ampio e, di lato, in fondo quanto basta per stare riservati ma non dimenticati tre divanetti e un braciere di legno circolare, ampio, anche arredante. In quel momento spento e coperto.
Saluto il padrone di casa che mi spiega l’idea della io architettura della casa, i vetri grandi dei locali a tutta parte, mi accompagna lungo il vialetto e girato un ingresso che non varchiamo si sente il profumo del lago e poi, come una meridiana con il sole e l’ombra lo vediamo, dall’alto. Quell’alto che non lo fa sentire lontano e se allunghi la mano senti il la Breva e il Tivano e sei già a Lecco.
Racconta, spiga l’impegno, la dedizione, l’attenzione e la cura. L’ospite e la sua importanza. E nel camminare sopra di noi le stanze sono carezzate dal sole che tramonta e la piscina ai piedi, intima, poco più di un lembo di acqua, bella e garbata, come tutto finora lì; non come quelle che ti perdi e galleggia il tuo ego.
Il legno grezzo e robusto diventa tavolo e salendo le scale, la cura dell’arredamento nei particolari, nei dettagli, accennato e curato nel gusto lo senti anche a occhi chiusi.
E’ la moglie che ha messo l’idea, lo stile e l’occhio competente.
Ci si ferma a parlare di come a Lecco bisogna pensare ad accogliere i turisti, a far conoscere i sapori nelle stagioni di mezzo, e non solo l’estate, che l’estate ci vengon da soli. Serve il tempo della cura. L’autunno con i suoi sentieri, le stagioni invernali con Bobbio ad un passo di sguardo. I pacchetti turistici
E l’idea che ha sempre avuto, i centri congressi, le fiere. I turisti d’affari, dei meeting. La stagione che va estesa. La necessità impellente di un coordinamento tra albergatori, operatori ancor più che di amministrazioni pubbliche. Quest’ultime dovrebbero solo fare sinergia con gli eventi di Milano, dell’area metropolitana che è appena poco fuori le nostre finestre. Essere partner di eventi che già abbracciano Milano. Bergamo
E tutto lì dentro e fuori è bellissimo, discreto ma di lusso.
Un’attenzione che è impegno. La clientela è sempre importante ma qui viene quella che è abituata a pretenderlo, a cercare l’attenzione. A volerla.
Esenti l’entusiasmo, le idee, il rigore, la forza e la passione del raccontare di questa sua creatura. Le fatiche e gli sforzi, la caparbietà e quasi la dedizione continua. Sembra avere tutto sotto controllo e ogni volta è un respiro, una cura maggiore.
Esco da lì, dopo oltre un’ora di visita, dove più che l’aperitivo ho gustato la bellezza del lavoro. La bilancia che ha il piatto della soddisfazione e dell’impegno più ampia di quello della fatica, del tempo sottratto ormai tutto alla politica.
Ed io, mentre torno alla macchina e esco da quel profumo di lago ed eleganza, per tornare in quel parcheggio che non è nessun posto, penso forte e convinto che più che La Casa sull’Albero, questo il nome di quel gioiello dietro quel cancello di ferro e legno, ho scoperto soprattutto il suo pittore, il suo direttore d’orchestra, il suo sarto.
Fabio Dadati.
Ho scoperto che è una bella persona. Da quando si è tolto l’abito illudente e illusorio – credo anche per lui – della politica e ha deciso, mi è parso di intuire definitivamente, di cucirsi, da solo, il suo abito su misura. Tutt’altro abito.
Molto, molto bello, davvero.
(*) in realtà mia moglie io non ho la patente, ero solo il passeggero.