CAMBIARE PUNTO DI VISTA: quando la violenza contro le donne non la leggiamo nemmeno

teatro-esterno-doppIeri sera, all’interno delle numerose iniziative lecchesi per la sensibilizzazione contro la violenza sulle donne organizzate dal Fondo Carla Zanetti e dal Comune di Lecco – che continuano con la bella Mostra “Donna Arte” fino al 4 dicembre in Torre Viscontea – è andato in scena, in un gremitissimo Teatro delle Società, uno splendido racconto di Teatro civile.
“Doppio Taglio-come i media raccontano la violenza”. Sul palco l’attrice e autrice Marina Senesi in un esercizio disvelatore di come la stampa affronta la tematica della violenza contro le donne.

Con le immagini che scorrono parallele al racconto, scopriamo – spesso pur avendole già lette e non avendolo notato, ahimè, e sta qui tutta la gravità, quello che fa male, dovrebbe far male, far riflettere, lo spettatore – che la cronaca raramente si sottrae alla regola di una tradizione letteraria volta ad alleggerire la responsabilità dell’aggressore se si ritiene che la donna abbia varcato i confini imposti al suo genere.

Sul palco, infatti, viene decostruito l’impianto lessicale e iconografico dei molti, troppi articoli di giornale che fanno doppia violenza alla donna, mostrandone il taglio, ormai quotidiano, normale, sempre uguale, di quella modalità comunicativa che non è mai neutra.

Perché dove le violenze vengono derubricate attraverso stereotipi e luoghi comuni, che le classificano come raptus, gelosia, amore malato.
Che vengono distorte al punto tale da trasformare l’uomo, responsabile della violenza, nella vittima della situazione, e la donna in colei che in qualche modo se l’è cercata, è anche involontariamente un modo per costruire, legittimare, un appiglio per una giustificazione, un’attenuante.

Perché le parole, appunto, non sono neutre.

I mass media, man mano che lo spettacolo prosegue, si evidenzia come ci propongono immagini e racconti che rappresentano le donne dalla stessa visuale dei loro carnefici.

Perché se in un articolo si racconta la violenza subita da una donna sottolineando come era vestita o poco carina con il marito, se si insinua che, in fondo, se l’ècercata, se si parla di delitto passionale, se si umanizza l’uomo che si sfoga sulla moglie, nella cui vita si scava morbosamente per individuare aspetti che in qualche modo giustifichino la violenza perpetrata, è replicare nuovamente violenza ma anche nasconderla .
Perché, anche se involontariamente, costruisce, legittima, un appiglio per una giustificazione, un’attenuante. Un “se l’è cercata”.

Perché le parole, appunto, non sono neutre.

L’attrice si chiede, e ci chiede: “Una donna che si vede socialmente rappresentata così è incentivata alla denuncia? Perché mai dovrebbe fidarsi se sa che noi non stiamo dalla sua parte?”

Il risultato è di derubricare la violenza contro le donne a un fatto di costume e rinunciando a capire un fenomeno sociale dalla natura estremamente complessa. Il femminicidio è un fatto politico e culturale che riguarda i rapporti diseguali di potere fra uomini e donne. La violenza, e la violenza contro le donne in particolare, interpella il modo in cui ogni giorno siamo uomini e donne.
Interpella i nostri stereotipi, la nostra capacità di gestire il conflitto.
Cose che non si cambiano dall’oggi al domani, ma che almeno si possono iniziare a raccontare in modo diverso.

E “Doppio taglio” di ieri sera, ha provato a farlo, lo ha fatto.
Perché ci ha chiesto di “Cambiare punto divista”.

Perché sta lì, nel filo rosso dei rapporti diseguali di potere fra uomini e donne, il punto.  E i diversi modi di esercitare questo potere e questa violenza.  E’ nella quotidianità del nemmeno accorgersi di questa violenza, fisica e psicologica,che si annida la banalità del male. È dentro le parole d’uso comune,  veicolate dai mass media,  dalla ripetitività delle parole violente che perdono, solo apparentemente, la gravità, come lo è, invece, la violenza sminuita, banalizzata, non riconosciuta, il punto.
È una questione di linguaggio. E una questione culturale.
Perché le parole, appunto, non sono neutre.

E quel filo rosso, la vera causa di ogni femminicidio, non è che la libertà. Ci sono uomini che non perdonano la libertà di una donna di essere quella che vuole essere, la libertà di essere responsabile della sua vita.

E lo spettacolo chiude con un efficace volantino.
Un uomo colorato di azzurro consullo sfondo un castello fatato, un principe azzurro, che rivolto, in primopiano, verso ognuno di noi, sta alzando un pugno per picchiare.
Picchiare la donna e ognuno di noi.
E la domanda stampata grande che ci chiede: “ E’ il tuo principe azzurro?”
Una domanda rivolta alle donne ma, con evidenza, rivolta anche ad ognuno di noi.
“Vogliamo essere quel principe azzurro?” “Vogliamo giustificare quel principe azzurro?   

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