La mattina del 15 dicembre ero in piazza del Duomo a seguire i funerali. Non l’avevo mai vista così gremita e la cosa più impressionante era il silenzio. Quel silenzio rabbioso sospeso sopra le teste di centinaia di migliaia di persone rendeva ancora più cupa quella giornata nebbiosa.
Avevo agevolmente superato il servizio d’ordine delle tute blu giunte dalle fabbriche di Sesto San Giovanni. Quella valigetta ventiquattrore che portavo non aveva insospettito nessuno, del resto non ero l’unico ad averla. In piazza sostavano tanti impiegati, uomini d’affari, vestiti come me che dopo le esequie sarebbero tornati in ufficio.
Mi avevano detto che ci sarebbe stata ressa, ma non immaginavo così. D’accordo i parenti e amici dei morti, d’accordo quelli che si interessavano di politica, ma lì sembrava che ci fosse venuta tutta Milano. C’era quella vecchietta col cappotto sgualcito che mi fissava, assomigliava a mia nonna, anzi avrei giurato che fosse lei se non avessi saputo che era morta tre anni prima. E poi quel bambino sulle spalle del papà, proprio come mi issava mio padre per vedere lontano quando c’era tanta gente. Certo che bisognava essere deficienti per portare fuori i bambini in quei giorni. E poi, quanti anni avrà avuto? Sei anni, a sei anni bisogna essere a scuola la mattina. Però poteva averne anche cinque.
Mi pervase una sottile inquietudine, inspiegabile se si pensa che si trattava di una missione ‘aleatoria’, come le chiamavano noi. Aleatoria nel senso che probabilmente non sarebbe successo niente, che il segnale non sarebbe arrivato. Non come venerdì, quando ero andato a colpo sicuro. Massì, me ne sarei tornato a casa tranquillo, sciamando fuori dalla piazza insieme a tutta quell’umanità dolente. Mi convincevo di questo man mano che passavano i minuti. I feretri stavano già uscendo dalla cattedrale, ormai era finita, per oggi avevano deciso così. Del resto avevo intuito che c’erano ancora discussioni, qualche generale era ancora recalcitrante, forse i tempi non erano ancora maturi …Del resto io di politica non ne masticavo molto, eseguivo e basta.
Un senso di sollievo, altrettanto inspiegabile, mi colse. Credevo di essere tetragono ormai a certi romanticismi. Ma proprio mentre mi accingevo ad allontanarmi, ecco quel suono sinistro, il messaggino.”ok, ora !”. Eh no, cazzo ! No e poi no ! Vaffanculo ! Scagliai il cellulare a terra e me ne andai bestemmiando con la mia ventiquattrore. La piazza si svuotò mestamente ma senza sangue, budella e cervella a imbrattarne il selciato.
Come dite, che nel 1969 non esistevano i cellulari? Ma certo, questo è un racconto di fantasia. Perché, sono mai esistiti stragisti con crisi di coscienza?
il nuovo racconto di POCOCURANTE