DOVE VA LA COSA GIUSTA?

Forse conviene fermarsi un attimo e parlare di noi, noi che è un poco di più, molto di più, di esserevento.it, ma ha lo stesso dna, gli stessi occhi, lo stesso sguardo, la stessa direzione forse, però, sembra, non gli stessi modi per arrivarci. Anche in rete qualche sussulto sta già emergendo, qualche domanda si fa avanti.

E noi è proprio a queste domande, anche nostre, che vogliamo dare cittadinanza, per elaborare risposte. Dove sta andando “Fa la Cosa Giusta”? Nello scorso fine settimana, dal 15 al 27 marzo, si è svolta, a Milano, infatti, la decima edizione di questa Fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili. Ormai ci vanno tutti. A visitarla. E quasi tutti a vendere i loro prodotti. E’ cresciuta enormemente negli anni scorso arrivando, lo scorso anno, ad oltre 67.000 visitatori, più di 700 giornalisti accreditati e altrettanti 700 espositori.
Si direbbe che l’Economia Solidale, l’economia altra, abbia vinto.

Ha vinto: l’attenzione collettiva lo dice, i numeri lo dimostrano, gli incassi lo certificano. Sulla quantità è una sfida, una vittoria, raggiunta per ko sullo scetticismo. E la qualità? Con queste quantità, impensabili solo 5-6 anni fa, la qualità, le attenzioni, le scelte possono essere ancora dello stesso livello? L’unica economia etica, solidale, possibile è un’economia che fa delle scelte e si dà delle priorità, giusto? Ed allora osservando, anche con poca attenzione, gli sponsor, i produttori che utilizzano la Fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, per promuovere il loro brand, i loro affari, i loro fatturati, i loro dividendi, le loro quote di mercato, qualcosa sembra non fare somma.

Perché si sa, oggi, lo dimostra appunto il boom di questi anni della Fiera Fa la Cosa Giusta, la fascia di popolazione che crede al biologico, allo sviluppo ecosostenibile, al naturale, all’equosolidale e via dicendo, è sempre più ampia e quindi le imprese ci si buttano a pesce. O direttamente andando alla fonte, come in questo caso, o producendo linee “etiche”, come i fondi responsabili delle banche. Perché alla fine il consumatore deve sempre comunque fare i conti con i soldi che ha in tasca per poter arrivare a fine mese. E le economie di scala, i capitali a disposizione, le posizione di privilegio, il marketing ruffiano, caspita ti fanno prima spalancar le porte e poi il portafogli.

Alcuni marchi, alcuni nomi, di economia solidale, locale e di piccolo hanno ben poco, quasi nulla. Le multinazionali che qui negli anni hanno veicolato i propri nomi, quotate alle Borse della finanza, Philips, Peugeot e Lindt e ancor oggi Novamont di un fondo private equity, di Ubs e banca Intesa, sacchetti che forse difendono l’ambiente prodotti da una banca che che sta facendo le grandi opere autostradali distruttive nella pianura padana. Per non parlare poi di De Agostini. Che è la padrona di Lottomatica. O di altre che di prodotti a KmO e produzione artigianale ormai non hanno più nulla, se mai l’hanno avuta. Poi, oltre a queste ci sono quelle aziende, quegli sponsor che del marketing etico fanno una bella strategia di comunicazione.

Su tutte La Coop con i suoi supermercati e centrali di acquisto oligopoliste, modelli mica tanto credibili in un percorso di sostenibilità. Sorge perciò spontanea una domanda: quali sono i criteri con cui gli organizzatori selezionano le domande di sponsorizzazione e dei produttori? Visto che mediamente ogni stand non costa pochino. 1500/2000 euro per 16mq? Ci si chiede se costi così cara l’organizzazione di una Fiera da questi numeri tanto da non poter selezionare più di tanto gli sponsor, e conseguentemente se ci si è domandati se bisogna crescere così tanto, in questo modo, se non c’è alternativa, se la decrescita non è applicabile.

E se, invece, la selezione c’è stata, si ritorna alla domanda precedente. Quali sono i criteri? Non vanno rivisti? Provocatoriamente, o forse no, alcuni attivisti dei Gas, si chiedono se la Nestlè chiedesse di partecipare con i suoi prodotti biologici come il latte per lattanti bio o i suoi cioccolatini e caffè fairtrade come sarebbe vista la cosa? Forse non sarebbe il caso di ripensare ad un nuovo modello di sviluppo di queste grandi manifestazioni che in questo modo rischiano di annacquare lo spirito iniziale per cui si pensava fossero sorte?

Dove sta andando “Fa la cosa giusta”?

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