In questo week end nebbioso sto leggendo Intanto anche dicembre è passato (F. Abbate, Baldini & Castoldi, 2013) Premetto che trattasi di recensione anomala datosi che il libro non l’ho finito, anzi l’ho appena iniziato. Tuttavia avverto l’urgenza di scriverne. Perché?
Ieri mattina ricevo la convocazione per il pomeriggio stesso (venerdì!) alla riunione con capi, capetti e grande capo in sede a Milano. Grande incazzatura. Grande scoramento. Tentazione di addurre una scusa, che so motivi familiari, per non andare. Ma forse è proprio quello che si aspettano per poi restare in credito, quelli sono bastardi. Insomma, devo andarci. Poi dice che uno non legge più, non scrive più… per forza, qui ti rubano il tempo! E non solo quello.
Le prime volte queste convocazioni mi procuravano ansia, angoscia, timore reverenziale. Ora la sensazione è solo: pena. Grandissima pena. Queste riunioni sono penose e prevedibili come i pranzi natalizi coi parenti, come il festival di Sanremo. Adesso tutto, tutto il contesto mi sembra penoso e prevedibile. Ho bisogno di qualcosa di forte. Entro (no, non al bar; devo ancora guidare al ritorno) in libreria e chiedo l’ultimo libro di Abbate. Una rapida ricerca a video e “sì, ce l’abbiamo” – “davvero, ce l’avete? Lo compro!”. Ecco, ora lo stringo in mano l’imprevedibile.
Mentre mi dirigo in sede ne leggo l’inizio. Parla dell’ingaggio di un ‘particolare’ imbianchino per pittare casa. Hitler, per non infondati motivi, è assurto a brand del Male che ciascuno giustamente sfrutta ai suoi fini, che siano di tinteggiatura e/o letterari (fra l’altro dev’essere di prossima uscita anche il libro di un parente che sfrutta il medesimo brand, boh quello poi vedremo). Comunque, c’è questa scena dove il nonno cazzia Hitler, glielo fa a fette notando lo stato di non avanzamento dei lavori. Mi ha strappato un sorriso. Ed è con quel sorriso che entro alla riunione.
Tutti gentilissimi, i bastardi. Grandi strette di mano, pacche sulle spalle. Bastardi senza gloria. Si credono furbissimi. Gentilezza e affabilità come mimetismo, come depistaggio, per dissimulare i reali rapporti di forza. Come per tenerli a pelo d’acqua, i rapporti di forza. Ma in fondo questi sono poveri cristi. Guadagneranno solo il doppio di me (i capetti), forse il triplo (il grande capo).
Sono solo replicanti, volenterosi carnefici al servizio dei vertici, quelli che si pigliano 200/300 volte il mio stipendio. Anche questi penosi incontri sono repliche, scimmiottamenti delle riunioni che subiscono loro, dai ‘vertici’. I capetti iniziano a sciorinare la solita, patetica lezioncina sulla redditività, in attesa dell’intervento del grande capo. Il quale già un paio di volte si è avvicinato con nonchalace alla finestra aperta, dandole le spalle. Suppongo per rilasciare silenziose flatulenze.
Una finestra aperta. D’inverno. A Milano. Link chiama link. La mente ragiona come un motore di ricerca. E’ sempre stato così, ora ne abbiamo piena consapevolezza.
Dunque mi sovviene Calabresi, e poi Sofri (ma il figlio) che ha scritto un terrificante post sul suo blog. Terrificante perché temo tanto che abbia ragione.
La fine dei libri, argomentata con solidi indizi, anzi prove.
Parafrasando Pinelli (se è vero è la fine dell’anarchia) direi: se è vero è la fine di tutto.
Dice che è inutile scrivere libri, poiché nessuno ha più tempo di leggerli. Tutti ‘navigano’ in rete, sia in casa che fuori coi nuovi aggeggi elettronici. E ciò non solo porta via tempo (i giorni durano sempre 24 ore, non è data espansione di memoria) ma disabitua alla concentrazione, alla lettura di lunghi testi. Verissimo. Me ne rendo conto io stesso sulla mia pelle, benché non sia certo un patito del web. Ultimamente fatico a finire Il re pallido di Wallace. Pochi anni fa avevo letto Infinte jest che è il doppio.
Onestamente penso di essere uno dei pochi ad averlo davvero letto tutto fino in fondo, fino all’ultima microscopica nota.
Nessuno, da me interpellato, è in grado di dire cosa stava scritto in cirillico sulla maglietta di Pemulis (la vodka è nemica della produzione). Ironico. L’alcol è amicissimo della produzione, almeno quella letteraria; chiedete a Hemingway che suggeriva di scrivere ubriachi e correggere da sobri. Qui mi pare vi sia ben poco da correggere.
Divago.
Eppure Il re pallido è fenomenale, spiega tutto. Spiega come siamo arrivati ad essere carne da consumismo, dall’avvento di Reagan in poi. Tutto pianificato, come l’eccesso di informazione. Una volta non era così, avevi ‘il tempo’ di leggere, di ponderare. Oggi hai l’assillo di cogliere l’ultima esternazione di Renzi, di Letta, altrimenti se perdi una puntata non ti raccapezzi più. Il blogger dice che un post ha più lettori di un libro, e resterà, a differenza del cartaceo che finirà intonso al macero. Certo è più sintetico ma, dice Sofri, talvolta un pensiero che sta in poche pagine viene stiracchiato in cento per ricavarne un romanzo. Talvolta è così, d’accordo, ma come la mettiamo con Wallace, con Pynchon, con la felicità del narrare? Suvvia, sarà stata una provocazione.
Ecco a che penso mentre qui risuona incessante il mantra della redditività, meme ripetuto decine di volte. Redditività, redditività. Comincio a pensare che vi sia dell’altro, di torbido, di inconfessabile. Mandano avanti la redditività come cortina fumogena, non è possibile che ostentino così apertamente, oscenamente il loro vero desiderio recondito.La redditività come diversivo, depistaggio.
I capetti hanno concluso la loro prolusione, stanno per dare la parola al grande capo. Sembrano indispettiti dal sorrisetto che devo aver mantenuto sulle labbra per tutto il tempo. Sorrisetto in realtà determinato dalla consapevolezza di avere il libro di Abbate nella borsa. Non un post, non un sms, non un tweet. Un libro. Questi poveretti non sapranno mai perché sorrido, perché riesco a sopportare tutto questo, non sospettano evasioni patafisiche. Vabbè comunque in conclusione: questa (non) recensione resta incompiuta (come Il re pallido, del resto) perché il libro non l’ho finito.
(continua, forse…)
Kraus Davi alias Massimo Bagnato alias Pococurante alias ecc. ecc. e via via disperdendo la mia identità…