Archivi categoria: Lavoro

IO NON SCIOPERO a caso

Credo con evidenza che questo di oggi sia – è – uno sciopero di “cartello”.Una necessità più interna alla Cgil per potersi accreditare che necessità di tutela dei ceti medi/deboli. Utile a lei per dire che non si può non tenerla in considerazione nelle decisioni.Ma la Cgil, gli stessi che c’erano ieri e che convocano gli scioperi oggi, ha una responsabilità grave e incisa nella memoria e nelle tasche dei lavoratori, dei cittadini.La responsabilità di aver perso la credibilità. Il comportamento di questi anni di “era” Prodi. Sono lì come un macigno, una spada di Damocle, uno specchio non certo deformante. La pace sociale. E’ il peccato di questi anni passati. Gli imprenditori, per fare un esempio facile facile, dovrebbero votare sempre il centrosinistra.Garantisce politiche di destra (il precariato per esempio deriva in primis dal pacchetto Treu) con in più la pace sociale. Non poco. Oggi la Cgil, gli stessi che c’erano ieri e che convocano gli scioperi oggi. mi chiede 100 euro per farsi bella, per poter dire che lei si è mobilitata.No grazie basta. Il 12 invece – altro che mobilitazione di massa – sarà una bella batosta. (anche se non me lo auguro. Anzi) Io dico che la gente non ha voglia di lasciare 100 euro per…. già per cosa? Tira brutta aria Ma è così difficile proporre una protesta che non svuoti le tasche di chi la fa? Che senso politico ha il mio rinunciare a 100 euro, metto in difficoltà qualcuno? Continua la lettura di IO NON SCIOPERO a caso

L’ODORE DI PESCE della crisi produttiva a Lecco

Sono proprio periodi di grande crisi quelli che attraversano il nostro territorio se fanno pagina e notizia alcuni avvenimenti che dovrebbero essere relegati al privato e alla discrezione del silenzio. Parlo della cena di solidarietà a Valmadrera che il sito giornalistico Leccoprovincia.net ha, con enfasi, (maliziosamente?) messo in prima pagina. O ha voluto fare uno scherzo al suo collega ed amico prof Rusconi sen.Antonio appunto di Valmadrera oppure ha preso una “sola” da eccessiva amicizia con lo stesso. La beneficenza, per antonomasia, è sempre anonima.

E dovrebbe esserlo soprattutto quando è costruita come sembra lo sia stata quella che ha visto il senatore principale motore. E’ seria cronaca, riportare che “oltre 90 imprenditori di Valmadrera hanno partecipato, venerdì 5 dicembre, al “Ristorante Il Riposo” di Cesana Brianza alla tradizionale cena di solidarietà promossa dal Fondo della Comunità di Valmadrera”Continua la lettura di L’ODORE DI PESCE della crisi produttiva a Lecco

LA ZAPPA NEL nostro FUTURO parliamone

 

Quella che ci avviamo a vivere é la più grande ristrutturazione economica della storia. Sebbene io pensi che il risultato finale sarà positivo, é inutile farsi delle illusioni: sarà dolorosa. Moltissimo. Vediamola in fasi.

É necessaria, prima, una premessa. L’economia industriale dell’occidente si é basata su un fenomeno mai visto prima: il gigantesco disavanzo commerciale americano.

Di fatto, l’intero occidente ha lavorato per sostenere il ritmo assurdo dei consumi americani. Gli americani hanno prodotto sempre di meno, e comprato sempre di più. Poiché producevano di meno si sono strutturati per abbandonare i vecchi lavori (o farli fare ad altri) e si sono inventati nuovi lavori, il cosiddetto “nuovo terziario”. 

L’industria militare é stata l’unica industria ancora totalmente americana, ed é stata l’unica a produrre vere innovazioni, che si sono poi riflettute sul resto dell’industria. Continua la lettura di LA ZAPPA NEL nostro FUTURO parliamone

TOXIC ASSET – TOXIC LEARNING (di Sergio Bologna) Da leggere soprattutto per gli studenti

 

UNO SPLENDIDO, LUCIDO, IMPERDIBILE, INTERVENTO DEL PROF SERGIO BOLOGNA

Nello spirito del ’68 – senza nostalgie nè tormentoni

(dopo un incontro all’Università di Siena, organizzato dal Centro ‘Franco Fortini’ nella Facoltà di Lettere occupata, il 6 novembre 2008)

State vivendo un’esperienza eccezionale, l’esperienza di una crisi economica che nemmeno i vostri genitori e forse nemmeno i vostri nonni hanno mai conosciuto. Un’esperienza dura, drammatica, dovete cercare di approfittarne, di cavarne insegnamenti che vi consentano di non restarvi schiacciati, travolti. Non avete chi ve ne può parlare con cognizione diretta, i vostri docenti stessi la crisi precedente, quella del 1929, l’hanno studiata sui libri, come si studia la storia della Rivoluzione Francese o della Prima Guerra Mondiale. Ho letto che l’Ufficio di statistica del lavoro degli Stati Uniti prevede che nel 2009 un quarto dei lavoratori americani perderà il posto. Qui da noi tira ancora un’aria da “tutto va ben, madama la marchesa”, si parla di recessione, sì, ma con un orizzonte temporale limitato, nel 2010 dovrebbe già andar meglio e la ripresa del prossimo ciclo iniziare. Spero che sia così, ma mi fido poco delle loro prognosi.

Torno da un congresso che si è svolto a Berlino dove c’erano i manager di punta di alcune delle maggior imprese multinazionali, con sedi in tutto il pianeta, gente che vive dentro la globalizzazione, che dovrebbe avere il polso dei mercati, gente che tratta con le grandi banche d’affari e con i governi. Mi aspettavo un po’ di chiarezza, qualche prognosi meditata. Balbettii, reticenze, sforzi per minimizzare, qualcuno che fa saltare la conferenza all’ultimo minuto perché richiamato d’urgenza. Pochissimi quelli che hanno parlato chiaro dicendo che la cosa è molto seria, che nessuno sa come andrà a finire e che le conseguenze potrebbero essere catastrofiche. Continua la lettura di TOXIC ASSET – TOXIC LEARNING (di Sergio Bologna) Da leggere soprattutto per gli studenti

DOPO LO SCIOPERO RIELLO. Tute, blazer e tailleur blu. Osservazioni e proposte

Dopo lo sciopero Riello di martedì 3 giugno.
Proposte e osservazioni

I lavoratori della Riello e delle altre industrie del territorio martedì avranno invaso piazze e giornali per rivendicare il diritto a non essere considerati un costo e, tantopiù, facilmente scaricabile con una delocalizzazione produttiva.

Le Istituzioni ed i parlamentari saranno in prima fila con fasce tricolori, blazer e tailleur blu per dare solidarietà dimentichi della loro responsabilità di politiche di svuotamento del ruolo del sindacato e della centralità del lavoro e del salario. Basterebbe buttare in faccia, alla loro ipocrisia, i dati della distribuzione del reddito che da anni schiaccia i salari a favore dei profitti.
Ora che finalmente, seppur drammaticamente, anche l’operaio, toccato in prima persona, si risveglia dal torpore illusorio del nuovo miracolo italiano la vertenza Riello può essere uno spartiacque a tutela di tutta l’industria locale.
Perché persa questa lotta non ce ne saranno più.

E sta qui, quindi, la necessità di essere tanti, solidali, arrabbiati e decisi al fianco e con gli operai, ben oltre lo sciopero di piazza.

Io resto dell’idea – come proposto in un precedente articolo – che la paventata occupazione della Riello da parte dei lavoratori debba essere solo il riconoscersi e il promuovere l’autogestione dell’Azienda e l’inizio per una proposta di Legge d’iniziativa popolare (nazionale) dell’automatica cessione – a titolo gratuito – al Comune dell’area industriale lasciata libera dall’impresa che delocalizza.

L’autogestione dimostrerebbe, alla città, all’imprenditore, ai lavoratori delle altre imprese, la centralità del lavoro e dei lavoratori nel benessere e nella prosperità di un’azienda e quindi il fondamentale e obbligatorio ruolo di coinvolgimento, gestionale e decisionale, nelle scelte da parte di tutta la filiera produttiva interna.

L’autogestione evidenzierebbe anche quello che si sta un poco perdendo nella conoscenza della composizione di imprese come la Riello e cioè che il sapere, la ricerca, la capacità progettuale e artigiana è negli occhi, nelle  braccia e delle menti di chi ogni giorno questo processo lo vive e lo attua, lo crea, da anni.

E non è il capitale, non è il signor Riello di turno. Ma è cesare, giulio, francesco, lucia, giovanna, barbara, è l’ufficio acquisti, quello contabile, quello vendita, quello produttivo il cuore dell’Impresa. E questo cuore ha vene e sangue fatte di persone.
Altrimenti si finisce per credere alla lettera del Presidente Ettore Riello sul sito del Gruppo quando dice: «La vita non ha qualità senza un obiettivo. Il mio obiettivo è la qualità della vita». Riello è un  Gruppo in grado di promuovere: «uno stato di benessere fisico, psichico e sociale». Che da 80 anni produce “reddito e senso”.

Ma non specifica per chi e a discapito di ch.

Esperienze importanti di autogestione sono mutuabili da realtà anche lombarde ed italiane. Forse è giunto il momento che si smetta di inseguire e assecondare, sperando di mitigarne la perniciosità, quella parte di società che ama la ricchezza e il privilegio e che si cominci a farle assaggiare l’asprezza dello scontro.

Sarà da monito anche per le altre imprese del territorio incamminate a precarietà e ingordigia. È ora che al fianco dei lavoratori si vada a prendersi (e far ripartire) i mezzi di produzione.

Vediamo quanti blazer e tailleur blu faranno scudo e sostegno.

LA LOTTA DI CLASSE? C’E’ STATA E L’HANNO STRAVINTA I CAPITALISTI

La lotta di classe? C’è stata e l’hanno stravinta i capitalisti.

In Italia e negli altri Paesi industrializzati, gli ultimi 25 anni hanno visto la quota dei profitti sulla ricchezza nazionale salire a razzo, amputando quella dei salari, e arrivare a livelli impensabili (“insoliti”, preferiscono dire gli economisti).  Secondo un recente studio pubblicato dalla Bri, la Banca dei regolamenti internazionali, nel 1983, all’apogeo della Prima Repubblica, la quota del PIL, intascata alla voce profitti, era pari al 23,12% Di converso, quella destinata ai lavoratori superava i tre quarti.  Più o meno, la stessa situazione del 1960, prima del “miracolo economico”. L’allargamento della fetta del capitale comincia subito dopo, nel 1985. Ma per il vero salto bisogna aspettare la metà degli anni ’90: i profitti mangiano il 29% della torta nel 1994, oltre il 31% nel 1995. E la fetta dei padroni, grandi e piccoli, non si restringe più: raggiunge un massimo del 32,7% nel 2001 e, nel 2005 era al 31,34% del Pil, quasi un terzo. Ai lavoratori, quell’anno, è rimasto in tasca poco più del 68% della ricchezza nazionale. Otto punti in meno, rispetto al 76% di vent’anni prima. Una cifra enorme, uno scivolamento tettonico. Per capirci, l’8% del Pil di oggi è uguale a 120 miliardi di euro. Se i rapporti di forza fra capitale e lavoro fossero ancora quelli di vent’anni fa, quei soldi sarebbero nelle tasche dei lavoratori, invece che dei capitalisti. Per i 23 milioni di lavoratori italiani, vorrebbero dire 5 mila 200 euro, in più, in media, all’anno, se consideriamo anche gli autonomi (professionisti, commercianti, artigiani) che, in realtà, stanno un po’ di qui, un po’ di là. Se consideriamo solo i 17 milioni di dipendenti, vuol dire 7 mila euro tonde in più, in busta paga. Altro che il taglio delle aliquote Irpef. Dice Olivier Blanchard, economista al Mit, che i lavoratori hanno, di fatto, perduto quanto avevano guadagnato nel dopoguerra. Sono i capitalisti dei paesi sviluppati che fanno profitti record. Il meccanismo, avvertono dal Fmi, è tutt’altro che esaurito e, probabilmente, continuerà ad allargare il divario fra profitti e salari in Occidente. La crescita dei profitti, sottolinea lo studio della Bri, “non è stato un passaggio necessario per finanziare investimenti extra”. Anzi “gli investimenti sono stati, negli ultimi anni, relativamente scarsi, rispetto ai profitti, in parecchi paesi”. In altre parole “l’aumento della quota dei profitti non è stata la ricompensa per un deprezzamento accelerato del capitale, ma una pura redistribuzione di rendite economiche”. La lotta di classe, appunto. (se vuoi leggere anche il resto, continua qui)