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PROPOSTE e ragionamenti PER IL CARO MUTUI

Abbiamo parlato spesso di banche e avanzato consigli pratici.

L’ultimo era: Coalizzarsi con altri correntisti della stessa Banca – senza dover per questo mischiare o anche solo conoscere l’entità dei risparmi o debiti degli altri – per rafforzare il proprio potere contrattuale con la Banca stessa. Conti separati ma rivendicazioni collettive.

 

I trucchi ed i giochetti delle Banche non si limitano – purtroppo – ai grandi crack di Parmalat, Cirio o subprime che si sentono nelle cronache.

Il versante dei Mutui che coinvolge 3,5 milioni di famiglie ne sta strangolando ogni giorno sempre qualcuna in più.

Potremmo farci aiutare da uno dei bancari dove teniamo il conto corrente ma è buono sapere che chi fa il cassiere o consulenza titoli o anche il direttore della Banca, non è certo che sia il più adatto per dare consigli, appropriati.

Il pianista di pianobar non è detto sappia come si prepari un cocktail.

Ai Direttori di banca, poi, che hanno in mente solo i budget richiesti dai loro superiori, ancora meno.

Però alcune cose sono certe. 

Costatare che in pochi anni il prezzo delle case è lievitato in modo osceno è il primo punto per rendersi conto della gravità della situazione che stanno affrontando molte famiglie.

La prima cosa da tener presente è quella, perciò, che le Banche anche sui Mutui stanno facendo soldi (i vostri) a palate, molto ben garantite nel loro rischio.

Ed allora bisogna, insieme, tamponare e reagire.

Difendersi.

Gli spread (la maggiorazione che applicano le banche sui tassi fissi IRS e variabili Euribor) non devono mai – mai – superare l’1% per durate di Mutuo di almeno 20 anni, anche più bassi per durate inferiori. Altrimenti stanno approfittando del bisogno di tranquillità e necessità dei clienti. (alcuni, sempre i soliti, questi tassi li ottengono, ricordiamocelo) A questo, è evidente, bisogna mettere urgentemente freno.

Sul come fare costringendo le Banche ad adeguarsi, queste che seguono possono essere soluzioni fattibili in aggiunta a quella di coalizzarsi tra correntisti. Conti separati ma rivendicazioni collettive. 

 

1) Il Sindacato (territoriale e nazionale) dovrebbe sia autonomamente che nella contrattazione, promuovere alcune regole. Tenere i propri rapporti di conto corrente – e sono tanti e sono ricchi – solo con quelle Banche che a determinati redditi applicano condizioni rispettose della fatica con cui le famiglie guadagnano il loro reddito. Così dovrebbero fare le Associazioni di categoria. Meglio coalizzandosi.

 

2) Le Aziende dovrebbero prevedere, oltre al già possibile TFR, di intervenire, creando con risorse proprie, un Fondo “a rotazione” accessibile per i finanziamenti dei propri dipendenti.   

 

3) Gli Enti pubblici dovrebbero far pesare, anche in sede di rinnovo della Tesoreria, convenzioni a favore di determinati redditi o importi dei loro cittadini. Financo potrebbero, rispolverare i Banchi di Mutuo Soccorso strumenti utili per sottrarre i risparmiatori dalla morsa della Finanza speculativa. Il passo precedente all’autogestione del denaro   

 

4) Non da ultimo, le Associazioni dei Consumatori – e gli Enti pubblici- dovrebbero, da sole o in accordo tra loro, istituire uno sportello informativo, per i cittadini, al fine di prevenire situazioni di crisi e non adoperarsi (quando avviene) per controversie a danni avvenuti, con carenti risultati.

Uno sportello EcoIdea, dove prestare – gratuitamente e a tutti – supporto con informazioni, consulenza e materiale su questa (e altre) tematiche. Il sindacato, per es., ha già a disposizione delegati ed iscritti nel settore del Credito che nel caso specifico dei Mutui farebbero alla bisogna.

 

Copiamo le esperienze di sportello pubblico – per le tematiche ambientali, di risparmio energetico, di supporto per la ricerca di professionisti artigiani qualificati, per gli incentivi e le agevolazioni, per l’alimentazione, aggiungendoci la finanza (etica e non) e le pratiche burocratiche, finanziarie…

Ridurremmo anche l’antipolitica.

Che sindacato e sindaco raccoglie l’invito?

 

 

 

UN MARCHIO COMUNALE PER I COMMERCIANTI

Qualche tempo fa intervenivo sul tema dei venditori abusivi perché non comprendevo, e non comprendo, l’accanimento che i commercianti riversano, quotidianamente, su di loro.

Non condivido l’abusivismo sebbene lo comprendo e condividere e comprendere sono due vocaboli diversi.
Restavo e resto basito quando vogliono far passare – dicendolo esplicitamente – per concorrenti coloro che vendono collanine, cani di pezza che scodinzolano perché venderebbero, anche, sembrerebbe le stesse borse firmate, gli stessi maglioni di cashmire.
Facendo passare per bamboccioni – senza dirlo esplicitamente – quei consumatori che comprano i prodotti da questi venditori abusivi. Come se questi non sapessero che non è merce originale.
Quindi è una forzatura quella che ripetono come una litania i commercianti e con pacatezza il signor Negrini su queste pagine e cioè di una sleale concorrenza.
Però c’è di più, domenica sera, su Rai3 Report, è andato in onda l’indicibile.
La vergogna, sistematica, organizzata, conosciuta dello sfruttamento del mondo della moda, dell’abbigliamento che molte case produttrici di alta moda praticano.
Si è visto di come borsettine portasigarette o poco di più griffate passano dalla fabbrica, italiana, di produzione alla vetrina della Casa di moda da meno di 30€ agli oltre 400€.

E allora – se ce ne fosse ancora bisogno – le priorità cambiano, devono essere esplicitate diversamente e i commercianti, per essere credibili, sostenuti, capiti non devono vantarsi di avere come paladino il Sindaco Sceriffo di Lecco (le belle donne poi non dovrebbero mai perdere il controllo, ne risente il trucco) ma il consumatore.

 

E per averlo devono da subito esplicitare il “prezzo sorgente” cioè quel prezzo, come già dicevo in un’altra lettera, che mostra, con trasparenza e rispetto del (possibile) cliente quanto quel determinato prodotto è stato pagato al produttore. A chi l’ha materialmente confezionato.
Invece si svicola, si urla solo contro il venditore abusivo. E’ più comodo, ovvio. Così che a pagare continuerà ad essere un altro, il consumatore, e chi nella catena della produzione continuerà – come si è visto appunto anche a Report – ad essere sfruttato.

Mi permetto di chiedere anche al Sindaco (ed ai suoi assessorati di competenza) di farsi carico – durante la settimana – di promuovere un marchio locale ad hoc per quei negozianti della Città (ed al presidente Brivio per il territorio nprovinciale) che adotteranno questo strumento del prezzo “sorgente” trasparente.
Con incentivi per chi lo adotterà, ma pure disincentivi per chi non lo farà.
Visto che i commercianti da soli, a questa proposta, fanno orecchie da mercante.

Farà un servizio a tutta la collettività e non solo ad una categoria che sembra sempre più predicare bene ma razzolare male, molto male.

LA CRISI DEI PICCOLI NEGOZI DI PROSSIMITA’

 Cara Provincia,

l’evidenza che, con merito, state dando alla crisi dei piccoli negozi “di prossimità” che da tempo sta colpendo la periferia dell’agglomerato urbano cittadino – penso ai quartieri di Lecco, ai piccoli comuni valsassinesi e della valle san martino in primis – merita oltre appunto che una segnalazione e una denuncia anche delle possibili soluzioni. Non mi sottraggo quindi insieme a una necessaria premessa La GDO, la grande distribuzione, con la sua voracità territoriale e l’impatto omologante sugli stili di vita è il modello principe – insieme alle banche – nel rappresentare bene l’ingordigia e le distorsioni del nostro mondo opulento. Qual’è, di norma, uno dei motivi scatenanti per il successo di queste strutture? Cosa spinge masse autome ad affollare strade per riversarvisi? La ricerca della qualità? La varietà? O più prosaicamente l’abbaglio dei prezzi? Io dico che è il prezzo..

Abbassando in modo evidente il prezzo – il più delle volte non significa per nulla un significativo minor costo del prodotto, ma semplicemente una maggior evidenza di quello esposto – si inducono i consumatori ad acquistare ciò che si desidera che essi acquistino. La GDO non consente, infatti, grandi risparmi, ma comunica una sensazione: si sta facendo un affare.  Si sta fregando qualcuno.  Nei supermercati si ha poi la sensazione di disporre di una miriade di oggetti, che nei fatti, mai compreremo. Ma l’obiettivo è raggiunto. Il “senso critico” del consumatore va a farsi benedire paralizzato dalla proposta di “un’occasione eccezionale”.  Imperdibile. Ecco è qui che dovrebbe intervenire la nostra forza di cittadini consapevoli.  E’ da qui, quindi, secondo me che dobbiamo partire per salvare i quartieri, la vita delle periferie e dei piccoli comuni che rischiano altrimenti di spopolarsi e cioè che chi vi ci abita – e chi li amministra – faccia la propria parte. Bisogna evitare che si spengano e si chiudano come l’ultimo negozio ormai divorato dalla concorrenza impari dell’iper. Bisogna creare relazioni sociali stabili. Per questo propongo di istituire in queste realtà di vita quotidiana Gruppi di acquisto solidale – i GAS – una struttura, quindi, alternativa ai soliti canali distributivi oggi appunto dominati dai grandi centri commerciali. Con un vantaggio: questi progetti creano esperienze di autogestione tra eguali.  Il GAS diventa un bene comune, collettivo che necessita di tempo stabile, strutturato e condiviso. Che necessita di partecipazione. Queste realtà di acquisto collettivo dal produttore, andrebbero a rispondere non solo a problemi locali e svolgere un servizio sociale che dovrebbe essere incoraggiato dalle amministrazioni comunali. L’autogestione collettiva dei propri bisogni costa e non è facile. E’ più semplice e “conveniente” mettersi in una posizione subordinata, accettare gerarchie, che stare assieme e decidere insieme. Decidere insieme cosa produrre e come e cosa consumare. E’ meglio trovare deciso tutto da qualcun altro. Ed essere solo esecutori. Restando soffocati dalle decisioni di altri. Condividendo la spesa, gli acquisti dei generi alimentari, per la casa, sostenendo, dove possibile, prodotti e produttori locali, azzerando, il più delle volte, intermediari e ricariche di prezzo, controllando la filiera di ciò che mangiamo e ciò che compriamo, in termine di costi e di qualità probabilmente permetterà di salvare e di rivitalizzare non solo il quartiere, la comunità, ma anche la socialità, l’economia del territorio. In fondo basta poco: un piccolo locale, partecipazione tra eguali, volontà e consapevolezza del proprio valore. Il resto lo si creerà con il tempo, quel tempo che oggi, con l’ultima saracinesca abbassata ci vogliono togliere. 

Lecco 3 gennaio 2007  – pubblicata il 6 gennaio la provincia

IL PONTE BAILEY

  

la prima foto è il Ponte Bailey Km 3.650, vista aerea.  fotografato tappa giro italia Caprera Maddalena 

Il vantaggio di conoscere persone professionalmente water slides for sale competenti nel settore della viabilità permette di non fermarsi alla sola soluzione che i vari assessori dei lavori pubblici ci propinano come indispensabile e unica. Io ho la fortuna di conoscere e poter chiedere spiegazioni, pareri, idee a un geografo che non ha interessi di parte. Un professore con competenze e senso civico. Gli ho chiesto quindi un parere sul nuovo Ponte Calolziocorte Olginate in costruzione che devasterà risparmi e ambiente pubblico.

Mi ha invitato solo a fare una ricerca in internet alla voce: “Ponte Bailey”. Non vorrei travisare ma si scoprono cose interessanti. E da qui vorrei partire. Ammesso e non concesso – e sottolineo non concesso – che il nuovo Ponte Calolzio/Olginate è un`opera utile e necessaria è bene capire se (al di là dello studio sull`impatto ambientale che non era nemmeno stato preventivamente fatto) la soluzione di una colata di cemento permanente ed inverosimile, devastante per il Parco dell`Adda, con antenne tiranti alte decine di metri e l`esborso economico di decine di milioni di euri è, appunto, la soluzione migliore. Io credo di no. La soluzione migliore (messa da parte quella ottimale di non farlo) sembrerebbe essere quella di posizionare lì un Ponte Bailey. Chiedo quindi tramite questo spazio un parere pubblico all`Assessore Provinciale ai Lavori Pubblici, Volontè. Perché il Ponte Bailey (dal nome dell`ingegnere inglese Donald Bailey, inventore di un telaio metallico per ponti trasportabili e rapidamente montabili) il cosiddetto Ponte militare perché è, montato spesso dai militari del Genio, viene di norma posizionato per risolvere emergenze di collegamento quando necessita, sia per pedoni, autoveicoli e treni, un ripristino della viabilità con estrema urgenza. In poche settimane, con poche centinaia di migliaia di euri, e un impatto ambientale molto ma molto più basso di quello oggettivamente gravante con l`opera ora in programma, si otterrebbe lo stesso risultato di adeguamento viabilistico che tanto la Provincia sembra – anche alla cieca – rincorrere. — (se vuoi leggere anche il resto, continua qui) >