Non credo alle classifiche come fossero oro colato
Ne quando lodano, ne quando lordano.
Tantomeno a chi le stiracchia per lodare o per lordare.
I parametri, i criteri, il peso e le voci scelte, oltre che la modalità di formazione dei dati raccolti, la non valutazione dell’aspetto qualitativo ma solo quantitativo, è più esercizio teorico e accademico, utile nella pratica più per far parlare e vendere il giornale che le pubblica che per dare reali e costruttive letture della realtà.
Pensate a quelle sulle Banche che erano bellissime e solidissime e poi invece son fallite alcune anche nello spazio di una notte (la Leman Brothers per fare un nome).
Detto ciò un dato possiamo utilizzare per ragionare dopo queste recenti classifiche sulla qualità della vita nel nostro territorio.
Dato però che, molto stranamente, è stato da tutti liquidato come una carenza pubblica.
Quello sul tempo libero e la cultura.
Con evidenza oggettiva e preoccupante, non ultima proprio perché ignorata, é invece quella, che la vera carenza è quella che non esiste più, nel nostro territorio, una classe imprenditoriale e di iniziativa privata in grado e che sappia investire oltre lo sguardo del manifatturiero e del fil de fer, tantomeno capace di un lungimirante e civico mecenatismo verso la propria comunità.
Il rischio di impresa oggi è narcotizzato dentro il bene avere familistico.
Pochi anni addietro il ricavato dal lavoro imprenditoriale veniva pochissimo reinvestito nell’impresa ma giocato in borsa e utilizzato per aumentare il tenore individuale di vita, poi ridotto per la crisi economica, il cambio generazionale difficoltoso e nessuna sinergia di categoria in favore del territorio.
Oggi la classifica annuale dice che non abbiamo librerie, ancor meno cinema e multisala, attività di intrattenimento e spazi per l’esercizio del tempo libero.
Ecco siamo davvero convinti che siano attività che devono vedere il pubblico in prima linea o invece è un primario dovere e interesse privato, imprenditoriale?
Siam davvero convinti che un cinema, le attività ricreative, commerciali e ludiche per il tempo libero debbano essere aperte e gestite dal pubblico o dalle parrocchie e non invece messe in campo, sostenute da uno o più imprenditori, mossi anche dal loro interesse economico e dalla loro capacità nell’affrontare il rischio di impresa?
Perché non si sente una forte spinta critica verso questa fetta di società che ha risorse ma non le impiega ma si è subito portati a puntare il dito verso il pubblico?
I concerti di musica, le star, i festival per il fermento intellettuale devono essere sostenuti e promossi finanziariamente dal privato – come succede solo o quasi con Nameless – o dobbiamo lamentarci quando il pubblico tappa il buco di questa carenza privata e contribuisce in parte a pensarli, promuoverli e realizzarli evidentemente con risorse fortemente più limitate?
Utilizziamole se proprio dobbiamo dargli un valore a queste classifiche per vedere quello che davvero è utile per il territorio e per contribuire come sprone per il fare.