Ieri pomeriggio sono passato dal centro Città e ho assistito alla bellissima cerimonia d’ingresso in Basilica – e in città – della nuova guida pastorale don Davide Milani.
Posso permettermi di esprimere un particolare disagio che mi è cresciuto pensando alle parole che avevo letto la mattina in merito alla persona senza fissa dimora che, da qualche tempo, vediamo davanti Teatro della Società?
Quel “Barbone” detto dalla consigliera comunale Bettega?
Ho trovato una dissonanza, tra la Comunità che faceva da ali a don Davide e quella Comunità che, evidentemente, vuole rappresentare e essere rappresentata dalla politica Cinzia Bettega.
Leggere che c’è ancora qualcuno, addirittura un proprio rappresentante, che apostrofa un uomo con il termine “barbone”, questo per creare una distanza, un invalicabile muro simbolico tra lui e gli altri. Tra lui e noi. Tra lui e il rispettabile, è l’inferno del presente.
Ho sentito una distanza ben oltre l’inciampo tra il dire e il fare.
Mi sono detto innanzitutto che la Comunità che abbracciava con entusiasmo e fede il proprio nuovo Prevosto non può essere la stessa che con spregio permette ad una propria rappresentante di etichettare una persona, un mendicante alle porte del tempio del benessere quale è il Centro città, con il termine di “barbone”.
Non può essere la stessa se come ha detto chiaramente nella sua prima omelia il nuovo Prevosto, che è ministro della misericordia, “agli occhi di Dio siamo importanti perché esistiamo” .
E allora unisco al mio disagio una preghiera.
Un’accorata e patetica supplica a voi giornalisti e a tutti noi, cittadini e fedeli.
Chiedo di non usare a nessun costo il termine “barbone”.
E a chi lo usa di dirgli e dirle, esplicitamente, che non può farlo, ad iniziare da quella volontà dispregiativa che ho appunto letto ieri della consigliera Bettega.
Perché le parole sbagliate, inserite nel pigro e indifeso sistema immunitario dei nostri cervelli, lavorano come subdoli virus: divorano le parole giuste, ce le fanno dimenticare e infine diventano, per assuefazione, parole neutre, di uso comune.
E parliamo da ammalati senza neppure rendercene conto.
Barbone, come il vecchio “vu cumprà”, è una parola comoda e stupida.
Non vorrei che diventassimo, se non lo siamo già, assuefatti alla malattia, un contagio così leggero e condiviso che passa, ormai, per benigno. E invece lascia, dove passa, il vuoto: un vuoto per giunta diffusamente apprezzato. Come i buchi nelle caramelle.
Invece che crearci un buco alla bocca dello stomaco.
Abbiamo bisogno, ognuno alla propria maniera, fedeli e no, di una guida che sappia ancora farci mettere una mano per toccarci l’anima ben più di chi vuole farcela mettere per toccare se abbiamo ancora il portafoglio.