L’IMBROGLIARE LE CARTE DELL’EX MINISTRO CASTELLI

Ieri son tornato da un breve periodo di ferie da piunizione e leggo gli arretrati de La Provincia.

Sbigottito mi soffermo su una piccola notizia e commento del senatore Castelli dopo la sentenza sui fatti di Bolzaneto del G8 del 2001. Le energie che avevo recuperato con le ferie tornano a zero. Leggo infatti testuali parole di Castelli: Ero sicuro che si sarebbe accertata la verità dei fatti. La verità non piace a tanti perché il teorema è stato smontato» «Io ero lì in quei giorni e nessuno dei presenti mi ha mai detto niente sulle presunte violenze. Se solo una persona avesse denunciato non mi sarei mosso da lì, sarei rimasto per impedire qualsiasi abuso».

Ecco questo è imbrogliare le carte. Che non può essere sottaciuto.

L’ex ministro Castelli non può trovare platea e arrogante libertà per far finta di essere innocente o che i fatti sono andati come li racconta lui. Le chiedo perciò Direttore di permettermi, stando ai fatti, di riportare l’ex Ministro, alle sue responsabilità, morali e politiche, emerse dalla sentenza. Il tribunale di Genova – con la sentenza – ha riconosciuto che le vittime hanno raccontato la verità, e cioè a Bolzaneto vi sono state le violenze che abbiamo ascoltato in questi mesi nelle aule del tribunale e troppo poco letto sulla stampa.

Il Tribunale, lo stesso che per Castelli ha smontato il teorema (boh!), ha deciso che le vittime hanno diritto a un risarcimento, cioè i giudici hanno riconosciuto come verità giudiziaria quanto fino a ora era una verità affermata da chi quelle violenze le aveva subite. Nessuno d’ora in avanti potrà più mettere in dubbio quello che è accaduto dentro quella caserma trasformata in un girone infernale. L’obbligo rivolto ai ministeri dell’Interno e della Giustizia (retti da Scajola e Castelli) di partecipare direttamente ai risarcimenti acquista un preciso significato: vi sono anche responsabilità politiche per quello che in quei giorni è accaduto a Bolzaneto.

Il tribunale ha stabilito che i fatti sono veri, le violenze vi sono state. Non c’è stata però tortura. Ogni cittadino allora provi a valutare se per esempio il taglio di capelli di Taline Ender e Saida Teresa Magana, lo strappo della mano divaricata a forza di Giuseppe Azzolina, la testa nella tazza del cesso, le minacce di morte, di sodomia e di stupro non sono reati gravi, non sono comportamenti che, seppur ritenuti veri, sono assimilabili alla tortura.  E sta qui l’aspetto più grave di questa vicenda e delle parole di Castelli. La prova di un’inciviltà atavica mai in realtà superata. Di un arbitrio inseparabile dal potere e dal «senso dello stato» di quelli che ne dovrebbero essere i «tutori» e i garanti. La sentenza e Castelli ne sono la sanzione. Archiviano, con un’alzata di spalle e un ammiccare di sguardi, l’orrore di quelle giornate. Sanciscono la normalità dell’abnorme. Proclamano l’irrilevanza pubblica della trasgressione estrema. Non sono negati i fatti. Né confutati i testimoni. Anzi: tutto ciò che abbiamo ascoltato, le sevizie, gli oltraggi, i corpi umiliati e colpiti, con sistematicità, per giorni, è assunto come vero. Nello spazio pubblico e giuridico italiano, la tortura e la sua pratica non può essere riconosciuta come rilevante. Per questo chi l’ha compita, chi ha varcato quel confine, se ne può andare assolto. O con piccoli, impercettibili graffi sulla fedina penale. Continuerà a rappresentare lo “Stato”. Sarà il “noi” collettivo in cui dovremmo specchiarci. Questo è l’aspetto più odioso di quella sentenza: lo scarto, osceno, che c‘è tra l’enormità della ferita e la leggerezza del giudizio e delle parole di Castelli che dovrebbe dimettersi e andare a nascondersi

Centro Khorakhané (già membro del Genoa social forum)

Un pensiero su “L’IMBROGLIARE LE CARTE DELL’EX MINISTRO CASTELLI”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *