QUESTO MATRIMONIO (NON) S’HA DA FARE

Non siamo un paese civile.

L’insensibilità e assurdità burocratica di uno Stato che rincorre ed alimenta le sue paure e fobie ne sono la riprova. Impedire un matrimonio, a 5 minuti dal suo inizio, come successo ieri l’altro a Valmadrera (LC), perché il futuro sposo risulta essere clandestino, sebbene le carte per la richiesta dell’unione civile e il suo stato di immigrato irregolare erano a conoscenza del Comune è umiliante. Vergognoso. Ma non per Mohamed Bachar e Cinzia Mossini, i due futuri sposi. Per noi evidentemente apatici cittadini di questo Stato.

Non siamo un Paese civile. Questo “piccolo” episodio – piccolo per noi che lo vediamo da fuori – va ad aggiungersi ai troppi che ogni giorno ascoltiamo od incrociamo. Se vogliamo vedere.

Non siamo un Pese civile e lo Stato lo sa.

Non lo siamo perché lo stesso Stato, la stessa polizia, aveva permesso per la regolarizzazione e i permessi di soggiorno file di decine e decine, centinaia a volte di persone che al freddo e senza organizzazione ed assistenza alcuna erano in attesa di vedersi aprire 2 porte di speranza. La prima era quella della stessa Posta, la seconda  di una precarietà e aleatorietà infinita, maggiore che una cinquina al lotto. Quella dell’accettazione della domanda da parte del Ministero. Una processione di disperazione e umiliazione. 170 mila posti in palio in tutta Italia con previsioni di esaurire le disponibilità già dopo i primi 20 minuti. Ed a distanza di anni moltissimi stanno ancora aspettando una risposta.

Non siamo un Paese civile, perché quelle persone erano tutte o quasi extracomunitarie irregolari e teoricamente dovevano trovarsi all’estero e aspettare di avere da lì l’ok sull’accettazione della richiesta, invece erano già qui e già lavoravano in nero.

Non siamo un paese civile perché se così tanto zelo si è voluto dimostrare davanti ad un cittadino incensurato ed in Italia da anni che stava sposandosi è facile e auspicabile richiedere altrettanta solerzia nell’individuare l’evidente diffusione e presenza di cittadini extracomunitari irregolari e clandestini che oprano come assistenti sociali famigliari (le cosiddette bandanti). Visto che c’è una certa capacità e predisposizione da parte di questo Stato a prendere ultimamente dati e impronte per censimenti coatti, non sarà per loro, anche a livello locale, un probelma passare all’anagrafe comunale e far visita a tutte le famiglie con anziani. Questa tutela della collettività darebbe maggiori frutti che appostarsi fuori dai sagrati delle chiese e rincorrere le pubblicazioni di matrimonio. Ma non si farà perché non si ha l’umiltà di ammettere pubblicamente che abbiamo bisogno di loro. Non siamo un Paese civile ed il grave è che non proviamo nemmeno a diventarlo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *