C’è a Lampedusa, sullo scoglio più alto, perché possa essere visto dal mare d’Africa, una porta.
La Porta dell’Accoglienza di Mimmo Paladino.
E’ una grande sagoma nella cui struttura è cementata la tragedia del nostro secolo: scarpe, solchi, reti, ciotole, pesci, affondi. Esodo di migliaia di migranti.
La sagoma di quella Porta sta allo sbaraglio dei venti, delle onde e della salsedine. Pertugi l’attraversano, squarci l’aprono verso il mare. Finestre senza serramento, chiavistello, la forano.
Solitaria sulla rupe, racconta l’Europa che dovrebbe.
L’augurio che fa a se stessa: essere soglia spalancata, protesa fin dentro le acque a ripescare vite, ridare fiato a chi l’esaurisce nel “cavo delle onde”. Europa che ti riacciuffa quando il molo d’imbarco è senza timbro d’attracco.
Quella porta è per noi.
Attraverso quella porta l’Europa si decide, si sceglie.
E’ un resto, rado scampolo d’umanità.
Una porta aperta su entrambi i lati, perché nemmeno uno dei viandanti, d’Europa, d’Africa, qua e là di acque, si perda, disperda.
Una porta è un passaggio, in una porta non ci si sta, vive.
Ma varcare una porta è sempre abbassarsi, come racconta quella della Natività di Betlemme.
Entri e ti devi chinare. Riesci, e devi di nuovo inchinarti.
Si per entrare, ma pure per uscire, per passare una soglia, il movimento è uno solo: inchinati. Rendi omaggio.