Sconvolto dagli effetti apocalittici del terremoto di Haiti, sono andato in cerca di informazioni per scoprire com’era la vita nell’isola, fino all’altro ieri. Ho appreso che l’ottanta per cento degli haitiani vive (viveva) con meno di un dollaro al giorno. Che il novanta per cento abita (abitava) in baracche senza acqua potabile né elettricità. Che l’aspettativa di vita è (era) di 50 anni. Che un bambino su tre non raggiunge (raggiungeva) i 5 anni. E che, degli altri due, uno ha (aveva) la certezza pressoché assoluta di essere venduto come schiavo.
Se questa è (era) la vita, mi chiedo se sia poi tanto peggio la morte. Ma soprattutto mi chiedo perché la loro morte mi sconvolga tanto, mentre della loro vita non mi è mai importato un granché. continua a leggerlo. (Gramellini 15 gennaio La Stampa)
L’articolo qui sopra di Gramellini è un buon testo che mette in luce molti aspetti psicologici della vicenda e talune contraddizioni di sistema. Ci sarebbero a mio avviso varie righe non scritte sulla questione che potrebbero fare terminare in modo più politico l’articolo, cioè evidenziare come l’assuefazione (psicologica) degli italiani “brava gente” all’altrui povertà e miseria e tragedia, salvo lo svegliarsi per lo shock collettivo quando succedono ecatombi dovute a cause imprevedibili, perchè nel momento in cui gli effetti comunque devastanti di tragedie collettive sono generati da cause di natura economica o bellica e quindi “normalizzate” torna il tepore dei sensi, le porte si chiudono difronte alla parola “ma qui hai un lavoro? hai una casa?” ed il buonismo verso il misero, il profugo viene sostituito da una indifferenza se non repulsione verso il clandestino.
cosa ne pensate?