Non ci si può più raccontare che tutto il lavoro è uguale.
E questo la crisi dell’economia ci vien in aiuto. Così da discernere cos’è etica e cosa non lo è. Con questa crisi ormai di sistema non ci si può più raccontare che una laurea in scienze sopravvalutate con master in pubbliche relazioni valga più di una laurea in medicina, così old economy.
Con questa crisi ormai internazionale non ci si può raccontare che se programmi un oroscopo erotico sei utile come chi fa il cibo che mangi. Mangiamo. Abbiamo vissuto tutti, negli ultimi 30 anni, un incubo immorale. Un mostruoso abominio che ha divorato risorse in quantità pazzesche. Abbiamo permesso che si investissero milioni e milioni e milioni di denari per avere strumenti utili per sentire il nostro oroscopo erotico o sempre dal nostro smartphone la notizia che Clooney e la Canalis si sposano, mentre chi studia come curare la sclerosi multipla deve chiedere, nell’indifferenza più che generale, l’elemosina? Un mostruoso abominio che ha divorato risorse in quantità pazzesche.
Perché? Non per costruire il vestito che ti copre, ma per decidere come chiamarlo! Cioè un indecente, disgustoso, patetico show dell’inutilità umana ribattezzata “valore aggiunto”. Abbiamo vissuto uno show disumano nel quale un tizio che produce database può comprare un Mig27 per hobby.
Tutto questo è stato elevato a sistema, e solo una grossa crisi poteva riportare l’etica nell’economia. Perché chi, come molti, viene, seppur si è dimenticato, ha voluto dimenticare, da una famiglia proletaria (e no, non ci si deve vergognare di aver indossato i vestiti smessi dei vicini di casa) sa quanta etica ci sia nelle scelte che fai quando le risorse non bastano. Portare l’etica nei consumi significa portarla nell’economia intera. E per portare l’etica nei consumi, qualcosa doveva cambiare. Ancor oggi, ancor adesso molti dicono in peggio, ma sempre di più, domani, nel futuro, diranno “in meglio”. Un proletario sa quanto sia morale la scala dei valori che usi quando hai pochi soldi e devi decidere come spenderli. Così finalmente oggi possiamo dire che tutto va bene perché sentiamo, che “la moda” è in crisi. Certo che è in crisi: un vestito non può essere “da buttare” perché è uscita la “nuova collezione primavera estate 2011″.
Se e’ ancora integro e scalda ancora, è immorale buttarlo via. E oggi che mancano i soldi, la scelta morale è sempre più obbligata. E l’immoralità ci si ritorce contro. Ci presenta il conto. Oggi che è più difficile gettarlo via, e quindi non c’è più bisogno di farne un altro, un consumo più etico ci presenta la lettera di licenziamento che abbiamo sempre meritato.
Si sapeva benissimo che non ci fosse bisogno di attaccare una toppa, un fregio inutile con lo stemma di un battaglione di marines, sulla giacca di uno studente delle scuole medie: non è un soldato. Non ha bisogno di uniformi. E quindi neanche di stemmi. E neanche di “appartenenza”. Ha bisogno di una giacca. Oggi, le famiglie hanno meno soldi. E l’unica toppa che guardano è quella col prezzo. E la nostra inutilità lavorativa ci si presenta di fronte.
E noi da qui sebbene indicati come cinici, ne siamo felici.
Insultateci pure. Dite quello che volete. Ma veder crollare, una ad una, tante PMI che producevano brand anziché prodotti, che producevano moda anziché vestiti, che producevano valore aggiunto anziché lavoro, per noi qua è un momento di festa.
Continueremo a dire che tutto va meglio di prima proprio perché la pensiamo cosi. Diciamo esattamente quel che pensiamo. Non quel che piace sentirsi dire.