I RECINTI SENZA BUOI. Tra Bandi e solite delocalizzazioni

Se mi è consentito vorrei dissentire dalla denuncia esposta  giovedì 17 sulla Provincia, da due ditte del “territorio” (Lovers e Tessitura Majocchi) in merito agli appalti per la fornitura di divise per le Poste.

Capisco che era l’anniversario del 150° dell’Unità d’Italia ma credo ci sia stato troppo patriottismo.

Ci sono molti motivi per ritenere un pianto fuori tempo massimo quello esplicitato ieri. Posso perciò esprimere una solidarietà formale ma le ragioni non reggono.

E’ il solito vizio egoistico degli imprenditori che chiedono di chiudere il recinto quando i buoi sono già scappati. Qui non è in discussione se il prezzo limite fissato nell’appalto delle Poste sia o meno incompatibile con i costi di produzione europei, come dicono le due ditte .

Qui è in discussione, vorrei che fosse in discussione, il fatto che oggi ci si lamenta, si lamentano per le stesse politiche che loro hanno attuato, o sfruttato, fin dagli  scorsi decenni e che gli ha fatto fare ottimi affari.

Qui c’è ben poco di made in Italy. Qui di italiano ci sono solo gli utili ed i dividendi. La fabbrica, 600 operai, dell’azienda che si lamenta non è in Brianza, è, da 20 anni, in Romania. Qui ci sono nemmeno 20 dipendenti, famiglia compresa.

Trovo pertanto paradossale che a difendere questa posizione, queste ditte prevalentemente extraitaliane, ci sia anche il Presidente dell’API Lecco Riccardo Bonaiti.

Sarò nazionalista, protezionsita, retrogrado… ma la delocalizzazione imprenditoriale, così tanto accentuata tra l’altro, non la trovo una risorsa per la comunità locale. Comprendo se si va all’estero per aprire aziende che servono più o meno quel territorio, non per fare dumping sociale e salariale. Cioè per chiudere fabbriche qui, per spostare la forza lavoro da qui a là.

Non è così estremo ed azzardato far notare che questa capacità di delocalizzare, messa in atto da queste aziende con il portafoglio made in Italy ma la mano d’opera all’estero, hanno fino a ieri l’altro, svantaggiato aziende locali più piccole, meno dinamiche, meno ricche, meno audaci, che per mille ragioni, soldi, etica, conoscenze, dimensioni ecc. non erano nelle condizioni di spostare, delocalizzare, fuggire all’estero.

E quindi non avevano minimamente, già prima della denuncia di oggi delle due ditte, possibilità di vincere, addirittura di partecipare, alle gare di appalto.

Perciò, se fossi cattivo, direi “chi la fa l’aspetti” (che ricaduta occupazionale può esserci tra l’altro che tolta la famiglia quasi tutti lavorano all’estero?) mi limito a dire che battaglie di tutela del made in Italy, del lavoro sul territorio, del benessere locale, devono essere affrontate e sostenute anche prima che venga toccato il proprio orticello, i propri interessi. I propri dané.

Perché l’interesse più alto è quello di tutti.

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