La cronaca lecchese di questo fine anno narra con enfasi di code inquietanti fuori da negozi per uno speciale “saldo”. 100 piumini di marca dal valore di 150 euro in vendita a solo 10.
Adunate oceaniche convocate dai tam tam mediatici, che ricordano quelle famigerate di tempi andati. Oppure ricordano le code per il pane di sovietica memoria.
La coda è sempre coda e il fatto di mettersi in fila per abiti griffati anziché per beni primari ci dovrebbe dire qualcosa sulla dignità di un popolo. E’ questa la libertà per cui 70anni fa si è combattuto? Oggi assistiamo allo spettacolo desolante di questa libertà.
Coda chiama coda: 100 piumini e 300 persone in coda e altre in coda per vedere. “Signora perché è ancora in coda se è la 288esima?” “Per vedere”. Allucinante.
Nemmeno Beckett ci sarebbe arrivato. C’è qualcosa di contorto, di perverso. Come cittadini democratici, come giornalisti, perché non si sente il dovere di disertare queste adunate oceaniche e di disvelare il fascismo in ogni sua subdola forma?
Il ricavato andava in parte devoluto in beneficienza, si è detto. Sarà anche vero ma i casi sono due. 100 piumini a 10 € l’uno fa 1.000 €. Il valore di vendita solito è 150 € cioè 15.000 €. Mancato ricavo 14.000. Si è fatta beneficenza? Non è che, invece, di solito la si fa a negozio e ditta quando lo si compra a prezzo pieno?
Come si fa a mettere insieme tutta questa gggente? Quelli delle cianfrusaglie e quelli del pane? Quelli delle code che comprano “sovrapprezzo” made in Italy in centro e quelli che vendono sul lungolago con un paio di scarpe che devono durare 20 anni?
barbara valsecchi