E ti ho incontrato che ero ancora un ragazzino pieno di ideali e di speranza. 16 anni fa.
Disegnavo corridoi su una cartina in Piazza a Lecco.
C’era ancora la guerra in casa, eravamo in piazza da settimane, tutti i giorni, e al di là dell’Adriatico, tutti i giorni, il nostro governo andava a bombardare un popolo.
E io disegnavo i tuoi corridoi di petrolio e di potere, tu così potente con le parole avevi permesso a noi di interrogarci, di capire e di spiegare.
Quei corridoi che ancora oggi umiliano le persone, i popoli e le intelligenze. Ti stavo intervistando via telefono, quei telefonini che pesavano un chilo.
Sembra retorica – che odi come l’ipocrisia – ma non è più stato lo stesso.
Hai insegnato – e insegni – a cercare non solo il come e il quando ma anche, e soprattutto, il perché delle cose.
Il gennaio successivo con te si è parlato di Cecenia, quando la Cecenia non andava di moda e poi ogni volta un pretesto, una serata, una macchina da Torino per Lecco.
O come quella volta a Milano a mangiare pugliese, solo pretesto per vederci con Duccio, Mariacarla che sono belli come te. E sono orgoglioso di avervi fatto conoscere io.
Duccio ti somiglia. Ricordi?
E ci sono state altre cento volte cento.
Due giorni dopo le Torri gemelle; La Frontiera addosso; I migranti; La Stampa e le inchieste; i viaggi; Il Binario Morto.
Sempre alfabeti tirati a lucido. E poi un dizionario per un lavoro da Matti. Per cercare appunto non solo il come e il quando ma anche, e soprattutto, il perché delle cose.
E i volti delle persone. Li guardavi sempre in faccia, a testa alta le persone. Anche i Buoni. Tu. Loro che invece si guardano le scarpe o, con il volto sofferente, guardano troppo in alto e vogliono essere guardati.
Una mail e poi un’altra. L’aurora e gli abbracci. La tua sveglia che non ti ho mai restituito, che non hai mai voluto, “passo a prenderla domani”
E poi Piove all’insù, e poi altre telefonate e altri “domani” e altri abbracci
I suoi come quegli alberi forti che ti danno anche la corteccia perché sanno che ne hai bisogno.
La sua bellezza e ‘sta bestia bastarda che lo divora dentro ma almeno gli dà il tempo di prepararsi così te ne vai solo quando lei, la bestia, non ce la fa più a vincerti.
E ci sono mail, telefonate e in una di queste ultime ti accorgi che lui è al di là dell’oceano e non solo dell’Adriatico e questa volta è festa e non dolore.
E tu Luca sei in uno stadio e ti stai sposando – “in casa mia è arrivata una benedizione imprevista e si è fermata qui, e non sono solo, e questo è nuovo e bello” – ed è festa anche da questa parte del cellulare che ora non pesa più un chilo.
Ma tutto il resto non è cambiato.
O quella volta che mi chiami e mi dici: “abbi cura di Serena della Libreria Volante, io poi vengo all’inaugurazione”. C’eri, infatti, anche se non ti ho visto, ti ho abbracciato lo stesso..
L’ultima volta che ti ho visto qui a Lecco, alla presentazione de “i Buoni”, il tuo romanzo più duro, più sofferto, più dolce, che ha fatto incazzare preti ipocriti – anche locali – che io non lo sapevo, ma ora grazie a te lo so – “arriva per tutti, immancabilmente, un dies irae. Il mio non è neanche fra molto e io so, con coscienza serena e pulita, che il loro sarà peggiore.” – quelli insomma che mettono sul piatto della bilancia gli interessi e le denunce, le amicizie e le convenienze – e il potere – perché non esiste potere buono – ecco di quella serata non ho registrazioni e paradossalmente è la cosa migliore.
Ho “l’obbligo” e l’esercizio del ricordo e so già che non affievolirà.
La maledetta lotta tra poveri, e quella a fianco degli impoveriti, la denuncia, e quelle battaglie che hai insegnato a starci dentro anche e soprattutto se si sospettano già perdute.
Il bello dell’intelligenza, il volto e le parole di Duccio, saran lì ogni volta a ricordarmelo, anche se non ce ne sarà bisogno.
Ho amici come te.
Esempi e speranze di come vorrei che fossero i miei figli fuori da scuola
e come vorrei fossero i cittadini e come vorrei, non lo dimentico, essere io se ne fossi capace
I buoni sanno ferire per non guardarsi dentro che fa male.
Oggi non sei più libero di ieri, perché lo sei sempre stato.
Luca, ti voglio bene, davvero.
“a domani”