IL DOLORE INNOCENTE e “IL CORTILE DEI GENTILI”

349x251 Immagine in evidenzaDa oggi ha inizio a Lecco, presso il Politecnico, una due giorni di infinita bellezza: “Il Cortile dei Gentili” dialogo tra Credenti e non Credenti.

Quest’anno fa appunto tappa qui  dentro un’agorà con molte delle figure più illustri e interessanti del Pensiero, della Parola e della scienza, che dialogheranno sul tema scelto per questo appuntamento: “Il dolore innocente”.

“Il Dolore innocente sotto la regia del Card. Gianfranco Ravasi, verrà sviluppato alla ricerca di quella parola, l’amore, che libera l’uomo di tutto il peso e gli apre nuovi orizzonti.

Ha senso sopportare il dolore, la menomazione, il deficit cognitivo, e sino a quale soglia? Di fronte a queste situazioni, la scienza, la filosofia, la religione possono dialogare? Qual è il ruolo della medicina, della cura e della riabilitazione, quale libertà viene messa in gioco? Ecco le domande attorno alle quali si svolgeranno i dibattiti.

A me dispiace, con tutti i miei infiniti limiti, non poter essere tra il pubblico ad ascoltare, imparare e interrogarmi.

Diversi anni fa ebbi modo di leggere un libro molto interessante, toccante..

Il titolo era:  “Dall’altra parte” scritto dal Professor Sandro Bartoccioni con altri due grandi e famosi medici, Gianni Bonadonna e Francesco Sartori e curato per le edizioni Bur, da un bravissimo giornalista, Paolo Barnard.

Nel libro si parla di medicina, sanità, malattia, cura e, appunto di dolore. Anche dolore innocente. Con gli occhi di questi tre luminari che si ammalano gravemente e raccontano la loro storia. La paura, la sofferenza, la lotta per sopravvivere. E oggi, in questi giorni del “Cortile dei Gentili”, mi è tornata ancor più forte in mente una lezione, un interrogativo, che lì dentro affiorava come una preghiera.

Quella sensazione di disagio che (mi) suscita ogni volta leggere il termine terapia “compassionevole” o terapia “palliativa”.

Questo disagio è dovuto anche alla spiegazione, illuminante dell’idea espressa appunto dal pioniere della più avanzata cardiochirurgia italiana, il Prof Sandro Bartoccioni, uno degli autori del libro

Colpito da tumori – come gli altri due coautori — che l’hanno devastato malgrado cure, radioterapie e operazioni chirurgiche confidò alle pagine di un diario/memoria la prostrazione che lo assalì quando dopo l’ennesima comparsa di un linfonodo sopra la clavicola il suo medico gli propose, dopo aver provato di tutto (il Cisplatino, il Fluorouracile, l’acido Folinico associato all’Irinotecan) con scarsi risultati, di valutare l’ipotesi di avvicinarsi ad una terapia intelligente a base di anticorpi monoclinali, (il Cetuximab), che aveva però la sfortuna e la pecca di non essere in commercio in Italia e di essere, purtroppo, costosissima (10.000 dollari 7000 euro – al mese per almeno sei mesi).

Ma poteva sperare, ed arrivo al punto, di averla dalla casa produttrice “per uso compassionevole”. Apriti cielo, disse che lui non ha mai fatto compassione in vita sua e non ci teneva a farla nemmeno ora. Compassione la fa un moribondo.

Ma come si può dire, aggiungeva, ad un malato di cancro ti faccio una terapia compassionevole? In poche parole mi fai pena e quindi ti do qualcosa nella quale non ho nessuna fiducia che ti sia utile, ma qualcosa devo fare.

Il termine deriva dall’inglese, si sforzava di dire, “compassionare”, sentire simpatia per qualcuno che sta soffrendo e desiderare di aiutarlo.

E ha tutto un altro sapore. Amorevole, per esempio, non è più bello di compassionevole?

Persino sperimentale per lui era preferibile a compassionevole. Come dargli torto?

Così come un altro termine che non gli piaceva, e da qui ancor più il tema del dolore, era, appunto, Terapia “palliativa”. Da questo libro, ormai di molti molti anni fa, emergeva come per lui  gli sembrasse dire una cosa terribile, ossia che possono pure curarmi ma la terapia non risolverà il problema perché è solo palliativa e non risolutiva.

Questo termine, affermava, riteneva andasse abolito perché se la terapia raggiunge lo scopo per la quale era stata somministrata ha centrato l’obiettivo. Se il paziente è poi portatore di una malattia che non svanisce con questa terapia, questo non autorizza a definirla palliativa.

Avere una malattia inguaribile, che si aggrava di giorno in giorno fino a determinare la tua morte non autorizza a definire le terapie che ricevi palliative.

Se così fosse, sentenziava, e a parer mio non a torto, tutte le terapie dovrebbero essere considerate palliative, visto che tutti noi siamo affetti da una malattia inguaribile, progressiva, che di giorno in giorno ci avvicina alla morte: l’invecchiamento.

Credeva che anche sulle parole, sugli aggettivi, sia importante prestare attenzione.

Spero che nel “Cortile dei Gentili” si affrontino anche questi aspetti così poi da poterli leggere negli Atti alla fine delle due giorni, utili ed indispensabili per chi non ha potuto esserci. Spero che soffermino la loro attenzione, anche brevemente, su queste parole.

Palliative e Amorevoli sono termini diversi.

Inguaribili e incurabili sono termini diversi,

e perché, invece, questi ultimi vengono usati come sinonimi.

Anche così è ricerca dell’amore.

Alcune malattie sono purtroppo ancora inguaribili ma nessuna si spera sia incurabile, perché questo determina una resa, prima ancora di iniziare. E un abbandono. Non della speranza ma del paziente che è ancor più grave.

UN VIDEO DA VEDERE

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