Riscoprire noi e far scoprire al turista alcuni piatti che ci rappresentano, anche per condividere un tempo comune
La notte bianca di sabato scorso è stata meravigliosa.
Lecco, istituzione compresa, ha dimostrato che ha tutte le potenzialità, gli ingredienti, per essere un’agorà di divertimento, cultura e comunità.
I musei aperti affollati fino a tardi e la cena mysecretdinner collettiva sul lungolago sono stati, a parer mio, le cose migliori, più caratterizzanti.
Un bel richiamo per i lecchesi e i turisti.
Non è semplice semplice ma perché, pur senza l’indubbia capacità organizzativa e di struttura che i promotori della cena segreta hanno dimostrato, non si può ragionare, con il supporto dell’Amministrazione Comunale per permessi, e Associazioni di categoria per quello logistico, a cene o pranzi, – più misurati – sul lungolago e nelle piazze, non solo del centro, – ma anche negli stessi ristoranti – con elemento caratterizzante non l’abito bianco, come è stato appunto per la cena di sabato, ma uno o più prodotti locali?
Mi spiego.
Una Proposta culturale, turistico-gastronomica per tutto l’anno.
Sia portando da casa il cibo sia, ancor più auspicabile, con le stesse abituali qualità della loro cucina, prendendolo da asporto fatto dai ristornati – quando si fa all’aperto – che, nell’occasione propongono un loro menu a “chilometro zero”.
E ci si ritrova in piazza, per festeggiare e condividere un tempo comune. E, di inverno, al posto delle piazze direttamente nei ristornati a prezzi calmierati. E, in entrambi i casi, intorno all’occasione del pranzo – all’aperto o nei ristorati – promuovere attività ludiche e culturali.
I piatti a “chilometro zer0” sono quelli cucinati fornendosi per gli acquisti prevalentemente (esclusivamente) dei prodotti del circondario o dei territori vicini accompagnati nell’occasione comunitaria con adeguata sottolineatura: la storia, la ricetta, il metodo di coltivazione, il produttore… altrettanto vale per i ristornati proponendoli così alla propria clientela.
Il resto lo fa, e lo deve fare, le capacità e l’inventiva del cuoco del ristorante o di casa.
Magari recuperando anche ricette più o meno antiche.
Quanti buoni vini della Valle del Curone e di Montevecchia vediamo evidenziati nelle carte dei Vini dei nostri ristoranti? E l’asparago rosa di Mezzago, l’ottimo olio d’oliva di Perledo? Il prosciutto crudo di Oggiono? I dolci di cioccolato di Lecco? I caviadini di Introbio? I formaggi di capra e pecora dei Piani Resinelli? Il farro antico o il mais biologico di Monte Marenzo? Il pane cotto nel forno a legna di Colle Brianza? La Birra Cruda del comasco, di Lecco e Galbiate?
La Meascia poi meriterebbe un capitolo a parte, ma chi la trova più o sa cos’è?
Ed il miele bio della Valsassina e della Brianza? La patata di Campodolcino o le mele di Torre de Busi? Le castagne secche …? Riusciamo a degustare solo i taleggi, qualche porcino e sempre meno i missoltini. Un po’ poco o sbaglio?
Riscoprire noi e far scoprire al turista anche alcuni piatti che più e meglio ci rappresentano: l’accoppiata: riso e luganega, l’Ugiada: minestra d’orzo ineguagliabile, il Manzo alla California, la Zuppa di ciliegie e marasche, la già citata Meascia che ormai si propone in solo qualche raro e raffinato pranzo casalingo…
E chissà quante me ne dimentico.
Insomma credo che sarebbe bello se provassimo a valorizzare il bello e il buono che abbiamo in modalità diverse.
Ho esagerato con l’utopia o c’è chi raccoglie l’invito?