Caro Renzo, vi scrivo da un posto orribile.
Spero con tutto il cuore che, semmai ci rincontreremo, non sarà qui, un luogo pregno di dolore, piaghe, morte. Non angosciatevi, anch’io sono stata colpita dal morbo, ma ne sono uscita bene, e presto uscirò anche da qui.
In realtà vi scrivo per dirvi che meglio ancora sarebbe se non ci rincontrassimo più, quantomeno in questo mondo, dove già non ci si deve star molto.
Il motivo per cui sarebbe meglio che le nostre strade si dividessero non è tanto il voto, del quale sarete già stato messo al corrente da mia madre, ma si tratta di ben altro. No, non inalberatevi, nessun altro uomo. Si tratta di una donna. No, di nuovo non inalberatevi, nessun lesbismo. Quella donna sono io stessa.
Parliamoci chiaro, questa donna, Lucia, non può fare per voi. Non potrebbe ragionevolmente fare per nessuno; quantomeno come moglie non l’augurerei a nessuno.
Non stupitevi se mi prendo la libertà di parlare così di me stessa: su questa pagina è zona franca, extra romanzo, fuori dalla giurisdizione del nostro Creatore (il sig. Manzoni).
Qui posso finalmente dire cosa penso davvero del personaggetto bigotto che mi è stato affibbiato, della sua grettezza morale, sentimentalismo superficiale, profondo egoismo, vasta ignoranza, scarso quoziente intellettivo.
Diciamo subito che se questa promessa di castità mi ha cavato di impaccio là nel castello dell’Innominato, un bel vantaggio nevvero, un’insperata via di fuga, d’altro canto non è che abbia comportato per me chissà quale sacrificio. In fondo che ne so io di amplessi, di orgasmi, ma anche semplicemente di petting? Non ne so nulla, non so letteralmente cosa mi perdo. Occhio non vede, non ha mai visto, cuore non duole.
Certo, ora il bacchettone di turno salterà su a precisare che la vita di coppia, familiare, matrimoniale non è fatta solo di quello, d’accordo, ma provate a togliere quello… Non so, forse voi, che siete uomo di mondo, avrete idee meno vaghe in materia, voi potete meglio immaginare cosa perdete, ma lo perdete voi mica io. Il voto coinvolge anche il mio promesso sposo in prima persona, mi sono mai chiesta che conseguenze questo comporta sul suo animo? Può darsi. E la risposta? Affari suoi. Mi dimentichi.
E voi, non voi Renzo, voi lettori manzoniani, questo me lo chiamate amore.
E’ un grande amore. Grande amore per me stessa, per l’animaccia mia promessa alla Madonna che quando starà lassù verrà premiata; voi non so, per voi meno timorati non ne sarei tanto sicura, ma in fondo sono fatti vostri. L’importante sono io e soltanto io. Una volta che mi sono garantita una comoda posizione nell’aldilà, questo mondo può pure fottersi e sprofondare nella peste.
E quand’anche un fra’ Cristoforo dovesse convincermi del contrario (in un discorsetto di cinque minuti, eh! tanto salde sono le mie convinzioni), che questo voto vale nulla, che possiamo convolare a nozze, ebbene io vi dico che anche in questo caso questa storia non sarebbe a lieto fine.
Sarebbe una meschina storia piccolo borghese dove i protagonisti, una volta ottenuto il loro piccolo orticello, dimenticherebbero (peggio, perdonerebbero) ben presto le soperchierie dei potenti, dei prepotenti. Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato. Voi diventereste uno di quei padroncini di filatoio, un piccolo imprenditore brianzolo, non so se mi spiego, di quelli che si incarogniscono per le pretese dei lavoranti. Bella roba.
Tuttavia a pensarci bene, una come me, come mi ha disegnato il sig. Creatore intendo, non si troverebbe affatto male a trascorrere il resto della vita lì fissa a scrutare un orizzonte che si ferma al tetto, della villetta come della fabbrichetta.
Caro Renzo, scusa se passo al tu, ma perché credi che l’incipit di questa lettera contenga le coordinate per farmi trovare se davvero non volessi farmi trovare? Perché mi dico e contraddico, io vorrei, non vorrei, ma se vuoi… oh che gran guazzabuglio è il cuore umano! Per questo? No. Perché vorrei, voglio e ottengo la buona coscienza a buon mercato, l’amor sacro e l’amor profano, la botte piena e la moglie ubriaca (anche se non toccherei nemmeno un goccio, a meno che non me lo offrisse fra’ Cristoforo, in tal caso anche un botellòn, alla spagnola). Perché so mentire con cortesia, cinismo e vigliaccheria e ho fatto dell’ipocrisia la mia formula di poesia (cit.)
Renzo, sei sveglio, te la sei sempre cavata, sei pratico, pragmatico, anche fortunato, certo. Una fortuna non comprata tramite voti di scambio, senza fioretti alla Madonna, e questo dovrebbe dirci qualcosa.
Sinceramente non capisco cosa ci trovi in me, fossi almeno figa capirei (non lo dico per falsa modestia, è sempre il sig. Creatore che mi disegna così) ma non lo sono, e del resto Pescarenico non è che offra granché. Dove lo trovo un altro tontolone che mi si piglia. Dai, vienimi a prendere, che se va bene ci fottiamo pure i soldi d’una vedovaccia che c’ho per le mani.
E se questa lettera ti ha un po’ confuso, credimi, s’è fatto apposta.
(dal genio dentro la penna dell’ex Khorakhaneker Pococurante, un fantabosco di lettera per l’estate)