Sta facendo notizia il plateale rifiuto, alle olimpiadi in corso in Brasile, di un judoca egiziano di dare la mano ad un suo avversario israeliano.
Gesto ripetuto anche da un altro atleta, un boxeur siriano, che addirittura si è rifiutato di sfidare un atleta anch’esso israeliano.
Io credo che abbiano sbagliato.
Non per antisportività, che comunque conta, soprattutto simbolicamente in un’Olimpiade, non solo perché non è dato sapere se i due atleti israeliani erano piuttosto che filogovernativi, attivisti nonviolenti favorevoli ad un riconoscimento della Palestina e a una libertà e autodeterminazione del suo popolo.
Credo che abbiano sbagliato perché resto convinto che come “gesto politico” fosse molto più dirompente un abbraccio in mondovisione. Una beffa al potere, ai poteri, un riscatto dei popoli, un segnale di dialogo che nasce dal basso. Di rispetto.
L’abbiamo vissuto anche a Lecco, non tanto tempo fa, un gesto che ha fatto discutere, che ha fatto notizia, che ci ha permesso di interrogarci. Un velo occidentale, indossato dell’Assessore alla Cultura del Comune di Lecco, Simona Piazza, dentro la “moschea”, il luogo di preghiera del Centro culturale Assalam, un velo, un gesto, che non nascondeva ma che mostrava, svelava, comunicava, avvicinava.
O, ancor prima, i pranzi nelle case dei lecchesi a Natale promosso dalle Volontarie delle Lezioni di Italiano al Campo, con i ragazzi richiedenti asilo del Campo profughi del Bione.
Gesti simbolo di dialogo, di fiducia, di giustizia.
Capisco che non dare la mano vuole essere un gesto politico, ma mi chiedo se questa è l’unica politica e soprattutto la politica più efficace da parte di un’atleta, di un cittadino.
Non utilizzo argomentativamente il parametro facile di invitare ad immaginare tutti gli atleti alle Olimpiadi che rifiutano la stretta di mano – o addirittura di sfidare – un atleta italiano, perché si sa, vero che si sa, che l’italiano è mafioso, dopato, e venditore di armi ai Paesi islamici in guerra o, quello di immaginare di vedere noi stessi come l’atleta italiano a cui tutti rifiutano per questa ragione di dare la mano o di sfidare.
Saremmo contenti perché così vuol dire vincere l’oro o, invece, arrabbiati perché noi non siamo il nostro Governo, la mafia e tutto il resto?
Ecco io credo che come cittadini, e quindi nell’occasione come atleti, bisogna provare sempre a fare del dialogo e del rispetto la propria stella polare, mantenendo chiara la rotta per costruire una società dove vi sia spazio per tutti e nessuno spiraglio, invece, per la paura, onda cavalcata già da troppi esponenti politici che soffiano sul fuoco dell’odio, del razzismo e del terrore.
Non significa non vedere i drammi che il popolo palestinese subisce, quotidianamente, e le politiche barbare e inumane del Governo d’Israele, ma come ci ha insegnato Vittorio Arrigoni, dobbiamo imparare a Restare (o tornare) Umani.
I gesti di pace aiutano più che quelli d’odio. L’abbiamo visto anche qui a Lecco, fatti da esponenti delle Istituzioni e anche da semplici cittadini.
Così abbiamo capito cos’è un’opera d’arte. E’ voler male a qualcuno o a qualcosa. Ripensarci sopra a lungo. Farsi aiutare dagli amici in un paziente lavoro di squadra. Pian piano viene fuori quello che di vero c’è sotto l’odio. Nasce l’opera d’arte: una mano tesa al nemico perchè cambi.
(Lettera a una professoressa) Don LORENZO MILANI e i ragazzi della scuola di BARBIANA