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25 novembre: La violenza contro le donne. Ogni violenza è un’azione non una reazione

violenza 25 novembre ARCI

Domani sabato 25 novembre è l’occasione coordinata a livello internazionale per ribadire che si deve lottare, ogni giorno, per l’eliminazione della violenza contro le donne. La violenza contro le donne non è infatti un già grave fenomeno di natura episodica, né emergenziale: è un grave problema strutturale.

Lo raccontano le denunce di molestie e violenze anche che si stanno moltiplicando in Italia e all’estero, anche in questi mesi. Lo raccontano anni di femminicidi. 149! (centoquarantanove!) le donne uccise, solo in Italia, lo scorso anno. 2454 negli ultimi 15 anni. 1600 sono gli orfani vittime due volte di questi femminicidi.

La violenza contro le donne è innanzitutto una questione di linguaggio, di educazione, di rispetto, di civiltà. In una parola di Cultura. Non c’è mai nessuna attenuante, nessun pretesto, nessun alibi, nessun troppoamore. In una parola giustificazione. Ogni violenza è un’azione non una reazione.

Ieri, oggi, domani. Sempre. Che sian lividi sulla pelle o quelli dentro l’anima. Con le chiavi di casa o con i fischi al bar. Nessuna deve pagare la scelta di essere sé stessa e non quella che il suo partner o la società vorrebbero che fosse. La violenza contro le donne ha molte forme ma sempre la stessa faccia. Schifosa.

La quotidianità femminile è un rosario di violazioni della propria sfera intima e personale. Spesso un tentativo diretto o indiretto di minarne profondamente l’indipendenza e la propria libertà di scelta.

In queste settimane si parla della violenza verso le donne da parte di personaggi famosi, e abbiamo visto, per chi voleva vederla, una slavina di distinguo, di commenti dove c’erano, secondo chi commentava, sempre ottimi motivi per non solidarizzare con le vittime: “Non erano violenze perché le vittime hanno ricevuto benefici lavorativi e di carriera” “l’attricetta” per dirla con il giornalista Sallusti,  è in cerca di fama, marchiata quindi come zoccola per definizione.

E fa nulla che nulla è avvenuto tra adulti consenzienti e soprattutto piacevolmente coinvolti. In un rapporto impari e di abuso di potere. Perché qui il sesso non c’entra nulla.

Ogni violenza è un’azione non una reazione. E bisognerebbe capire, finalmente, che tutto questo deve portarci a condannare, non solo il singolo episodio, ma un intero sistema che è il maschilismo di questa nostra società. Qui si parla di potere e del suo abuso. In queste cronache di violenza, molestie, abusi, il sesso c’entra ben poco. Era il mezzo. Il fine era la sottomissione, l’esercizio di un dominio. La colpa dei molestatori è l’abuso di potere, mica il sesso.

La violenza contro le donne ha molte forme.  Tutto parte dal primo passo che è una valanga che si porta dietro tutto. Il trasformare da soggetto a oggetto la donne, a uso e consumo dell’uomo. Non è più una persona, posso usarla a mio piacimento. Io sono superiore.

E’ violenza anche quella di non capire che la donna ha diritto di stare nel posto che vuole lei non dove la società maschilista vuole metterla e la mette dalla notte dei tempi. C’è bisogno di educazione civica e di educazione sentimentale.

LA MUFFA E I RAGAZZI AL CONVEGNO ANPI

ora-e-sempre-resistenza-520x245Ho partecipato oggi al bel Convegno “il fascismo non è un’opinione è un crimine” in sala Ticozzi sul rischio ai giorni nostri di apologia del fascismo e i metodi, legislativi e culturali, per contrastarla; organizzato da Anpi, Comune di Lecco e Provincia.

Ben prima delle interessanti relazioni, è stato rinfrancante vedere in sala moltissimi giovani attenti che prendevano appunti.
I ragazzi e le ragazze in sala, grazie ai loro insegnanti, al loro alfabeto di attenzioni, curiosità, capacità di discernere e alle azioni concrete che le amministrazioni locali e parlamentari devono mettere in atto, parallelamente a un percorso culturale, instancabile e quotidiano di ognuno, contribuiranno a salvare questa democrazia. Perché il futuro sarà come lo costruiranno soprattutto loro.

Il convegno ha fatto emergere, e ce n’è sempre bisogno, che il fascismo viene da lontano ma non è cosa, muffa, di 70 anni fa.
Il fascismo è sempre muffa. Nasce, cresce e prospera grazie a decomposizioni (della società civile), si ingrossa grazie ai problemi, ai drammi. Come un parassita si aggrappa al muro dell’ignoranza e quando crolla il muro, crolla anche la muffa.
E se la muffa si ingrossa grazie ai problemi, all’indifferenza davanti a situazioni di disagio sociale, bloccare il fascismo pur faticoso è indispensabile. Perché il fascismo è la risposta sbagliata alla domanda giusta.
Il fascismo anche di oggi è il metodo che può applicarsi a qualunque ideologia. Certi commenti, i linguaggi, le deformazioni storiche, i fanatismi di partito, la violenza, i privilegi ritenuti diritti, questo è fascismo.
Il Convegno di oggi è stato perciò utile a capire e riconoscerne i semi e la diffusione nella società odierna osservandone i comportamenti: Il fascismo è violento, intollerante aggressivo e punisce il dissenso. Quando senti odore di squadrismo, dove i poliziotti randellano persone a terra, quando dai una testata a un giornalista, o fai il saluto romano a Marzabotto, quando traduci il tuo potere in abuso di potere, quando giustifichi le Leggi razziali, i 20 anni di dittatura fascista, questo è sempre fascismo. Perché non è vero che il passato si ripete se non lo si ricorda. È vero purtroppo che il passato si ripete se non lo si capisce.
Il fascismo, la muffa, è dentro la schiavitù della paura. Quella paura che è diventata una industria ignobile, orchestrata, che alimenta il razzismo, l’omofobia, la guerra di tutti contro tutti.

Il convegno di oggi, le parole di Bruno Biagi, del Sindaco, quelle di Gigio Rancilio, giornalista di Avvenire, la lettura delle lettere dei condannati a morte della Resistenza, l’attenzione dei ragazzi sono i migliori anticorpi perché invitano, aiutano: il ragionare, il distinguere, il porsi il problema.
L’antifascismo odierno è quindi un doveroso fattore culturale. E’ “i care” il mi importa, mi sta a cuore, l’esatto opposto del motto fascista del ‘me ne frego’, per sintetizzarla con Don Milani. Quel ‘me ne frego’ che è oggi a posto io, a posto tutti. Per essere a posto io, me ne frego di tutti.

L’ANTIFASCISMO NON E’ UN’OPINIONE. E’ UN CRINALE

convegno il fascismo non è un'opinioneLa comunità oggi non è più il filo di una rete come lo era al tempo di un antifascismo quotidiano e militante, ma è sempre più un familistico nucleo di interessi singoli e autosufficienti.

L’antifascismo parla alle persone, ai cittadini a quei Valori che s’incontrano e si riconoscono dentro e secondo una regola di democrazia e bene comune. Quella della comunità che progredisce assieme. Una comunità legata non solo e non tanto sulla produzione ma sulla relazione.

La logica dell’egoismo, del più forte, del sopruso, della furbizia, dell’affogare gli altri per restare a galla è sottrazione al rispetto umano e addizione a un modello di comportamento che è ceralacca del fascismo.

A noi serve la democrazia a stare assieme per una moltiplicazione di dignità umana, di  pratica del sentirsi capaci di essere migliori. Sottrazione di distanza e somma di fili per tessere una comunità che ci somigli. Voler una società, una comunità in cui valga la pena trovare un posto e non un posto dentro una società qualsiasi.

Le cose per noi oggi paiono irraggiungibili perché ce le aspettiamo sempre dagli altri. Le cose per noi oggi paiono inaccettabili perché non ci immedesimiamo negli altri.
Il fascismo di questo nostro tempo è quello che insiste sui privilegi venduti come diritti per pochi e della pratica del mettere gli uni contro gli altri, così da aver esasperato la deresponsabilizzazione della società.

Il fascismo non ci fa sentire più corresponsabili della comunità, dell’io e, tu e l’altro che diventa, si eleva, al noi, ma ci fa considerare e sentire come ingerenza una comunità che ogni giorno, anche per questo, non senti più tua, non è più anche tua.

L’antifascismo è quindi un fattore culturale. E’ il mi importa mi sta a cuore, l’esatto opposto del motto fascista del ‘me ne frego’, per sintetizzarla con Don Milani

Ecco il fascismo di qualsiasi tempo e latitudine, quindi anche quello dell’oggi, è quello che ogni volta che davanti alla possibilità di crescere assieme, di migliorare, di essere comunità di Valori e non di privilegi sentiamo dire, o diciamo, o ci viene da pensare: ‘me ne frego’. A posto io,  a posto tutti. Per essere a posto io, me ne frego di tutti.

Il fascismo di oggi è quella trasformazione continua in una società dove basta far credere che l’altro, tu, io, lui, loro, è come una coda. Ogni persona così è il nemico di quella che la precede. Si chiamano “guerre tra poveri”. Ha funzionato già una volta, e allora via al clone.

Il fascismo ha capitalizzato e capitalizza la paura. Amplificando questo sentimento. Uno strumento volgare che si basa sulle cicatrici di chi ha sperimentato la fame, la povertà. Di chi la sta sperimentando. Di chi ha paura di doverla sperimentare. Di chi se ne frega se gli altri l’hanno sperimentata, la stanno sperimentando, o la sperimenteranno. Basta che non tocchi me. Il fascismo del presente sfrutta e ha sfruttato soprattutto chi non è, e non era cattivo. Ma chi era arrabbiato e terrorizzato.

Il compito di ogni antifascista, di tutta una comunità, è quindi culturale e politico. Il fascista medio, quello che non crede nemmeno di esserlo, in un periodo di pieno benessere, probabilmente, perde il suo odio, rancore, paura. Va quindi tolta la paura, o almeno attenuata, con un impegno politico per aumentare il benessere e il bene-avere della comunità. Con un impegno culturale, per iniziare a ricostruire un alfabeto di Diritti, di rispetto, di solidarietà, di giustizia, di educazione.  Non è infatti una questione di compassione, né di comprensione, ma di educazione.

Il fascismo non è l’opposto del comunismo, ma della democrazia, per questo è un crimine (Michela Murgia)

L’antifascimo non è un’opinione, E’ un crinale. O si sta di qui, o si sta di là. Se si pensa di non stare da nessuna parte, vuol dire che si sta di là.

E’ che il pensiero, l’idea (il Valore), è importante anche per costruire il risultato. Solo che il popolo aggredito da questo fascismo, dalla pelle di serpente e dalla sua apologia, è diventato sempre più disilluso, e ora cerca una concretezza senza preoccuparsi del pensiero, dell’idea, del Valore, dell’utopia a valle, dell’utopia lontana ma visibile. L’antifascismo, quotidiano e militante, in altre parole la responsabilità civica e democratica, deve rafforzarsi perché senza, non si ricorda il pensiero, si snobba l’utopia,  non si raggiunge il risultato per uno per tutti.

Ci viene in aiuto e in forza la Cultura perchè il fascismo mira a costruire consenso non informato, la cultura, la democrazia educa invece alla consapevolezza.

Quotidianamente. Insieme alla voce di altri, così che il pensiero di ognuno possa costituire quel ponte, possiamo e dobbiamo con consapevolezza e respsonabilità consolidare quella comunità in cui per ognuno e per tutti valga la pena trovare un posto

BOLDRINI: IL PASSO CHE MANCA È IL PRIMO

 

FB_IMG_15031585219534173Manca sempre almeno un passo nella difesa e solidarietà a Laura Boldrini, Presidentessa della Camera dei Deputati.

Il primo, non l’ultimo però, ahinoi. Il più importante, quello che fa la differenza, che discerne tra una società civile da una politica.

Le offese, le violenze e gli insulti che come una slavina riceve da anni, trovano fans tra i più ignoranti e beceri che uno possa anche solo immaginare e trova anche persone indignate – menomale – che si schierano a sua difesa per mille ragioni. Queste mille ragioni, a leggere i media e i social, vanno però solo dal chiedere rispetto per il Ruolo Istituzionale che ricopre: “é la terza carica del nostro Stato, smettetela…”; al ricordare, a chi la insulta, la storia e il suo impegno sociale decennale: “A differenza vostra lei a vent’anni é stata in Venezuela fra i poveri cristi in una piantagione di riso ed è stata per una vita rappresentante dell’Onu per i diritti umani…”; e ancora: “É una donna di sinistra impegnata nella tutela dei più deboli”.

E mille appunto di affermazioni così.

Come dire che Laura Boldrini, o una donna in generale, non deve essere insultata, non già perché é una persona, ma solo perché ha un ruolo o una storia di prestigio.

La meschinità dei commenti maschilisti mirano alla Presidente Boldrini anche perché la vedono come chi ha usurpato un ruolo maschile. Perché non possono accettare che una donna ricopra un potere.

Ma riceve insulti, soprattutto in quanto donna (che ha visibilità) non perché é una donna di potere.

Quello che mi lascia basito, é il non aver letto un commento uno, che non contemplasse una difesa della Boldrini perché lei ha fatto qualcosa di nobile, ha fatto. Una difesa insomma per l’AVERE e non per l’ESSERE.

Come se l’essere una donna, non fosse già totalmente sufficiente.

Aiuto!Aiuto! Spaventiamoci e reagiamo per questo fascismo che sta tornando e per un sessismo che non é mai andato via.

LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE HA MOLTE FORME MA SEMPRE LA STESSA FACCIA

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La violenza contro le donne ha molte forme ma sempre la stessa faccia. Schifosa.

Lo scorso anno le vittime di “femminicidio”, parola questa che non sta ad indicare il sesso della morta ma indica il motivo per cui è stata uccisa, sono state 120! (centoventi!). Una donna uccisa durante una rapina non è un femminicidio, sono femminicidi le donne uccise perché si rifiutano di comportarsi secondo le aspettative che gli uomini hanno delle donne. Dire omicidio ci dice solo che qualcuno è morto. Dire femminicidio ci dice anche il perché.

La violenza contro le donne ha molte forme e 7 milioni! (settemilioni!) di volti. Almeno!

7 milioni! perché questo è il numero delle donne che hanno subìto qualche forma di violenza nel corso della loro vita. Dallo stalking allo stupro, dalla violenza domestica all’insulto verbale. La quotidianità femminile è un rosario di violazioni della propria sfera intima e personale. Spesso un tentativo diretto o indiretto di minarne profondamente l’indipendenza e la libertà di scelta. In questi giorni, dentro un’unica settimana, 4 donne sono state vittime di femminicidio. Già 38! (trentotto!) dall’inizio dell’anno.

La violenza contro le donne ha molte forme.  Quelle più eclatanti e quelle più subdole.

Le prime sono facilmente riconoscibili: picchiare, uccidere, mutilare, stuprare… ect. Le seconde, quelle più subdole, sono la negazione di diritti, il restringimento delle libertà personali, il linguaggio di una società, lasciare alle donne la cura e l’educazione famigliare, un minor riconoscimento economico, il più difficile accesso a mansioni apicali. Tutto parte dal primo passo che è una slavina, una valanga che si porta dietro tutto. Il trasformare da soggetto a oggetto la donne, a uso e consumo dell’uomo. Per qualsiasi tipo di violenza è infatti necessaria la “riduzione” della vittima ad un suo segmento connotato negativamente. Non è più una persona, posso usarla a mio piacimento. Io sono superiore.

La violenza contro le donne  ha molte forme. E un alfabeto.

A partire ben prima delle immagini della donna che diventa oggetto, accessorio, sulle riviste patinate, il web o la tv. L’alfabeto, il linguaggio ci invade già appena indossati i panni nella culla. Nelle fiabe che leggiamo la sera per farle dormire. Libri che han dentro personaggi maschili sempre protagonisti, dannati o principi ma sempre eroi, e quelli femminili, principesse che si svegliano solo con il bacio del principe, di bimbe e comunque ruoli femminili sempre o quasi di aiutante o premio per l’eroe o appunto il Principe azzurro. Per poi crescere sempre dentro quell’alfabeto quotidiano che le vuole sempre con le stesse lettere. Dentro una società di uomini e per gli uomini. Prenditi cura. Cambia patelli e dagli la pappa. Che non ci sarebbe nemmeno nulla di male se a farlo fossero però anche i maschi, e invece no. Guai. Chissà come cresce un maschio se cambia i patelli, se si prende cura, se gioca coi pentolini. Lui è un maschio deve sguainare la spada. Deve essere un poco almeno turbolento, che scandalo se vuole giocare con le bambole, lui deve giocare con soldatini e pistole. E’ un uomo, o meglio un maschio.

Sconfiggi, attacca, vinci è l’alfabeto per i maschi. Cura, fai i mestieri, cucina, sii una buona moglie quello per le femmine. Una strada in salita, una montagna, per riuscire a non farsi bastare la benevolenza maschile. Né pensare che le cose sono concesse o permesse. “Ti ho lavato io i piatti oggi”,Ti ho buttato fuori io la pattumiera”. “Ti aiuto io a fare i mestieri oggi “, “Ti tratto come una principessa”. E’ ancora in testa un problema di linguaggio. Pensiamoci, dire: “la vigile, “la sindaca”, “la ministra”, “l’amministratrice”, “l’assessora”, “l’avvocatessa”, fa ancora venire conati di vomito persino a tanti fini pensatori. Che si credono pure progressisti. Cancellare le donne come soggetti invece, evidentemente, va bene, perché, altrettanto evidentemente non si vede che tutte queste lettere, questo linguaggio, alzano un muro che lascia intatta solo la visione del mondo in cui le donne ci sono, ma solo dal punto di vista degli uomini, solo per come gli uomini le guardano, solo per come gli uomini decidono di usarle.

 La violenza contro le donne  ha molte forme e un modello. La famiglia e il lavoro

La famiglia ha un costo ed è quasi tutto in conto alle donne. Ancor oggi i genitori gongolano quando le proprie figlie si fidanzano e le si indirizza verso la fiaba del matrimonio, spendendo più che investendo, tempo ed energia in sogni in abito bianco. Si nasconde l’evidente: Il costo della famiglia andrebbe equamente distribuito, ma non lo è, per niente ancora.  Che una ragazza non deve sperare in un principe azzurro e nemmeno in un cavaliere. Che può scegliere di rimanere da sola. Di non avere figli. Che è una strada (son strade), che non preclude il realizzarsi. Ed invece oggi la realizzazione di una donna è ancora inconcepibile che possa passare nel pensare a sé stessa, prima che a un marito e a un figlio. Guai. Una donna a 39 anni non è libera, single. E’ zitella. L’uomo a 39 anni è invece uno scapolo d’oro. Poi ci stupiamo se troviamo, anche da noi, donne messe a loro insaputa, su cataloghi web.

La violenza contro le donne  ha molte forme e un equivoco.Normalizzazione non significa normalità.

E’ ora, da tempo, di cambiare parole e pensieri e trasformali in azioni. La parità e soprattutto la libertà è nella possibilità della continuità nel lavoro e in stipendi non in base al genere. La parità e soprattutto la libertà è che l’uomo non freghi la poltrona a una donna solo perché lei si è fermata per allattare suo figlio. La parità è non doverla conquistare con i denti l’autonomia e l’indipendenza, perché la libertà non è possibile se si dipende. La parità e soprattutto la libertà è non perdere il lavoro o non trovarlo o non vedersi sfruttata perché si è troppo giovane o troppo vecchia. (Chissà perché le donne non han mai l’età giusta). Una donna, in una società civile, dovrebbe, se vuole, avere un lavoro. Poterlo mantenere. Decidere di fare un figlio e potersi realizzare. Come succede agli uomini. Si chiamano diritti. Ed invece siamo e continuiamo a essere una società maschilista.Con mille esempi che rivelano con quali occhi, da sempre, la società guarda il mondo: invariabilmente, con quelli dell’uomo. Perché è violenza anche quella di non capire che la donna ha diritto di stare nel posto che vuole lei non dove la società maschilista vuole metterla e la mette dalla notte dei tempi. Un posto che non è per forza in una cucina, con un bambino in braccio, un senso di colpa sulle spalle se volesse o aspirasse a qualcosa di più, a qualcosa di diverso. Un posto che sappia di autonomia più che di confetti. Contro i giorni scontati in ruoli scontati. Perché solo un diamante è per sempre. Normalizzazione non significa normalità. Che la società sia così ora, non vuol dire che sempre sarà così e che soprattutto deve restare sempre così.

Donne e uomini assieme. Contro i molti volti della violenza. Quella sottile o espressa. Verbale e fisica.

VIOLENZA VERSO LE DONNE: TRA PRINCIPESSE E VITTIME

BELLAPerché mai gli uomini dovrebbero essere in grado di guarire donne con un bacio mentre queste dormono? Non dovrebbe darci fastidio? A noi, uomini e donne, intendo?

Perché questo, invece, non si percepisce come violenza?

Le principesse delle favole narrano sempre la stessa storia: passività femminile, competizione fra donne, salvataggio maschile nel finale. Quando va bene (si fa per dire) finiscono con il matrimonio, il ballo con il principe azzurro padrone del regno e un bacio.

Il dominio – e le violenze – maschile partono anche da queste zavorre che ai bambini e alle bambine tocca sorbirsi alla sera prima della nanna. E’ la società, è così da sempre, si dice. Come dire, è naturale. E’ naturale e quindi non c’è violenza.

La stessa società che ha l’abitudine naturale (?), basta leggere i giornali anche di questi giorni, a trasformare in vittima un aggressore, un assassino, uno stupratore.

Con una frequenza allarmante, spaventosa, soprattutto quando c’è di mezzo un violenza verso le donne. “Anche lui è una vittima” “era un ragazzo tranquillo”, “non ha mai avuto problemi con la giustizia”; “la moglie lo tradiva”;“cosa ci faceva in giro da sola a quell’ora?” “se una veste così”;“aveva un padre violento”

Quando, questo succede – e succede sempre troppo, troppo spesso anche in contesti impensabili – di dare della vittima a uno stupratore, gli si sta confermando di non avere nessuna responsabilità per le sue azioni, di non aver sbagliato in prima persona. Questa cosa, anche se involontaria, fa danni pazzeschi. Perché non spegne la violenza, la alimenta.

E’ pazzesco ma non riesco a capire di cosa sia vittima un uomo, che uccide o stupra una persona, visto che il cadavere o la persona (per qualcuno è solo il corpo) violata non è il suo , non è lui.

L’uomo, l’assassino è un prodotto della cultura dominante, una cultura che degrada le donne mettendole ad un livello di valore inferiore, dicono. E quindi giustificabile? Spero di no ma ho paura di si.

Il passo intrinseco è che quando una donna viene stuprata e uccisa è perché se la va a cercare.

Ovviamente tranne se la persona che ha subito violenza è un famigliare.

Perché sta anche qui un’altra violenza, un nodo, la slavina anche di uomini decenti.

Quando contro la violenza di genere dicono agli altri uomini di immaginare la vittima come “moglie, madre, figlia e sorella” di qualcuno (un soggetto), non passa loro per la testa che la donna “qualcuno” (soggetto) lo è già. 

La violenza contro le donne, come si vede, può prendere molte forme.

Dalle più eclatanti a quelle più difficili da comprendere come il linguaggio maschilista.

Per esempio nelle conversazioni i nomi e i pronomi maschili dominano il nostro linguaggio. L’umanità è fatta da uomini, letteralmente. Ancor oggi dire “l’avvocata” o “la vigile” o “la ministra” “l’amministratrice”, “l’Assessora” “la Sindaca” fa ancora venire l’orticaria a tanti fini pensatori.

Cancellare le donne come soggetti invece va bene.

La società, in modo naturale, ha la sua visione perenne e inscalfibile che sì le donne ci sono, ma solo dal punto di vista degli uomini, solo per come gli uomini le guardano, solo per come gli uomini decidono di usarle.

Sarebbe ora di prendere sul serio le persone. Che l’ambiente sia così ora, non vuol dire che lo è stato da sempre e che sempre sarà così.

Il cambiamento inizia ed è già dentro le piccole cose.

L’interrogarsi e agire.

Aspettare Godot non aiuta.