“60 sono le donne uccise dalla violenza dell’uomo nei soli primi 6 mesi del 2016, 155 da gennaio 2015”.
Con questo dato allarmante e crudele ricordatoci dall’Assessore alla Cultura, Simona Piazza, si è aperta ieri l’ultima serata di “Locanda Manzoni”, uno degli appuntamenti all’interno della Rassegna “Lecco Città dei Promessi Sposi”.
Dati terribili e forse sconosciuti per introdurre il tema del dialogo proposto: “Il lato Oscuro dell’Amore: Otello, Don Rodrigo: Il femminicidio e la gelosia” affrontato con il prof. Alberto Zatti dell’Università di Bergamo e Furio Sandrini, artista e vignettista (Corvo Rosso), con lo spunto dato dalle pagine di Shakespeare e Manzoni lette da Renato Sarti e Luca Radaelli.
Se ci aggiungiamo che – dati di Telefono Donna- dal gennaio 2015 almeno 8.856 donne sono state vittime di violenza e 1.261 di stalking, e sono, ovviamente, solo la punta dell’iceberg, visto che queste cifre sono ricavate dalle sole denunce fatte, il tema non poteva che essere, ora e sempre, pienamente attuale.
Una donna su tre è vittima di violenza. Fisica o psicologica e non ci sono distinzioni di classe sociale, culturale e di ceto economico.
Amore e possesso non sono sinonimi, sono opposti.
L’amore è sentimento, attrazione, dono, il privilegio di amare, di poter donare e di ricevere, alla pari.
Il possesso è il potere di pretenderlo come dovuto.
Perché è lì la chiave del tutto. Il rispetto. Riconosce e valorizzare le diversità. Scardinare, con un percorso culturale ancor prima che legislativo, la cultura del possesso, la reputazione del maschio, la prevaricazione della libertà di scelta delle donne, l’incapacità di vedere le donne come altro da sé, persone altre che possono e hanno il diritto di dire NO.
E come ieri si è voluto giustamente sottolineare, è tutta una questione di prevenzione, di cultura, di società ben più che le leggi.
Il cuore del tutto. Il nucleo su cui ragionare e operare.
Perché, in questo tipo di violenza, non esiste maschio che alla fine si lasci spaventare dalla durezza della pena, della condanna.
Con le violenze contro le donne – in questo caso usiamo un termine di genere – sebbene una Legge è giusto che ci sia, che cancella la vergogna del delitto d’onore e queste cose spaventose e ignobili, è tutto soprattutto una questione culturale, di linguaggio e di prevenzione. All’uso della violenza non c’è MAI giustificazione, neppure se si è stressati, se si hanno problemi sul lavoro, se si è rimasti senza soldi o se si è stati vittime di violenza da piccoli.
Il punto è quindi la prevenzione, il valore dell’impegno individuale e collettivo culturale per un processo di crescita comunitaria.
Perché gli uomini che uccidono le (proprie) donne sono l’equivalente dei terroristi, dei kamikaze. Non è la condanna che li ferma. Si autocondannano a morte e ne gioiscono. La violenza il femminicidio mette in atto una depersonalizzazione, trasformazione in oggetto della vittima che gli rende più facile la violenza
E’ per questo che la parola femminicidio e l’atto in sé non riguarda solo le donne coinvolte ma tutta la società, in quanto un omicidio, una violenza segna per sempre, dove non la carne sicuramente e indelebilmente lo spirito.
Fermare il femminicidio si può quindi, attraverso un lungo percorso e una nuova sensibilità, un cambiamento culturale necessario, perché il rispetto e la consapevolezza dell’identità di genere, delle persone, entrino a far parte del nostro modo di vivere quotidiano, affinché le donne non debbano più pagare con la propria vita o violenze e abusi la scelta di essere sé stesse e non quella che i loro partner o la società vorrebbero che fossero.
Sensibilizzare per prevenire, informare senza allarmare e prendersi cura prima di dover medicare devono essere le parole d’ordine, la strada su cui, assieme, uomini e donne, devono incamminarsi.
Perché come ricordava e insegnava Karl R. Popper, “I cittadini di una società civilizzata, le persone cioè che si comportano civilmente, non sono il risultato del caso, ma sono il risultato di un processo educativo”.
E occorre agire contemporaneamente sia su un piano individuale sia su uno collettivo. La violenza non nasce forse dalla incapacità di sostenere e gestire la non linearità dell’andamento delle relazioni d’amore e sessuali e quindi il conflitto?
Il femminicidio ci chiama in causa in quanto uomini e in quanto persone e proprio perché è un percorso culturale dobbiamo iniziare ad indignarci, a dire no, a chiedere alle persone con cui parliamo, alla stampa che riporta queste tragedie queste violenze, che, basta non si può più dire ne pensare: “ un altro delitto d’amore”; “Se l’è cercata!».; “Ci dispiace per la famiglia, ma non doveva mettersi in quella situazione”; “Sapevamo che era una ragazza un po’ movimentata. Una che non sa stare al posto suo”; “Sono vicina alle famiglie dei figli maschi. Per come si vestono, certe ragazze se la vanno a cercare”
Frasi che si continuano a sentire e leggere sui giornali, insiema alla pubblicità che tratta la donna quasi sempre come oggetto, sessuale o meno.
Bisogna fare un lavoro importante e decisivo sull’importanza della terminologia utilizzata nei fatti di cronaca che raccontano di queste donne uccise da ex mariti e fidanzati; il femminicidio non ha nulla a che vedere con amore e passione, bensì con possesso, calcoli economici e delitti d’onore.
Come ci ricorda Michel Murgia nel bel libro: “L’ho uccisa perché l’amavo. Falso”: “Non ci sono simboli, ma persone, ed è bene ricordarlo ancora: gli uomini non hanno la violenza nella loro natura, così come le donne non hanno la bontà nella loro. Bisogna cercare di venirne a capo. Cominciando, ancora una volta, dalle parole. Che siano analizzate, pensate e restituite come è giusto che sia, in un mondo che le sta perdendo per fretta e ingordigia. Le morti esistono. Le morti pesano. Bisogna raccontarle dalla parte delle donne uccise, ma rispettando il loro essere state persone, senza appropriarsene. Perché bisogna che sulla pelle delle morte nessuno speculi più”
Ieri a Villa Manzoni in questo dialogo così educato e chiaro abbiamo visto che è un percorso lungo, che era già dentro la storia di Otello, dentro le pagine del nostro Manzoni, la violenza di Don Rodrigo e della sua gang, dei suoi sodali, contro Lucia in nome del Potere, del possesso.
E’ stata una serata – ne seguiranno altre hanno rciordato al termine – importante , utile – come tutte quelle che come una volta trovavano tante persone pronte a discutere sul serio di un problema e della sua possibile soluzione preventiva.
Il resto spetta a noi. A noi soltanto.
Uomini e donne. Insieme