Mi sono abituato a vedere le città partendo dalle periferie, dalla presenza di servizi e negozi, dalle informazioni offerte ai turisti e molto dalle persone che vi sostano/abitano.
Se una città ha a cuore la sua vita non cura solo il salotto buono, mettendo sotto il tappetino tutto quello che è residuo e periferico. Mi è capitato di entrare in case dove le famiglie hanno cellophanato i mobili del salotto perché non prendessero polvere; case da vedere e da ostentare ma non da vivere. Sono entrato in case povere, aperte e accoglienti.
Queste ed altre cose mi sono tornate in mente quando ho visto stra-rilanciate sui social, dopo quelle della spazzatura abbandonata volontariamente nei parchi (dalle persone non dai politici), le foto di sotterranei di complessi residenziali affollati dai segni del disagio.
Non mi interessa controbattere chi critica l’Amministrazione o l’elogia se, in entrambi i casi, è per partito preso.
La mia preoccupazione è quella di sollevare degli interrogativi attorno al nostro vivere di cittadini responsabili.
Capisco l’inquietudine a tenere in ordine gli spazi e che risultino godibili da parte di tutti, ma mi spaventa questa ricerca ostinata a tutti i costi del solo decoro urbano.
Mi nasce il dubbio se questo sguardo non riveli altro.
Non condivido molto, per questa ragione, le dichiarazioni dell’assessora Bonacina, e mi stupiscono perché è una persona sensibile e attenta, che nella vicenda di disagio emersa per i sotterranei del Broletto si affretta a dichiarare esclusivamente l’aspetto del decoro urbano: “stiamo lavorando, coinvolgendo diversi settori della macchina comunale dato che è una problema trasversale e riguarda la sicurezza, il patrimonio, l’igiene pubblica…”. Sia ben chiaro è la stessa posizione tenuta da tutti quelli che hanno commentato sui social e ho purtroppo paura che lo sia della stragrande maggioranza dei cittadini.
La mia domanda: per la nostra convivenza civile, che posto hanno le persone e i cittadini con delle difficoltà? Perché dentro quei sotterranei, intorno ai parcheggi pubblici, lungo le vie a fianco dei centri commerciali ci sono soprattutto, innanzitutto, persone..
Quali sono i valori condivisi nell’organizzare oggi la nostra vita? Quelli selettivi del denaro e dell’immagine? Come ci stiamo attrezzando culturalmente e politicamente per affrontare le sfide di queste presenze (di persone più fragili o di stranieri che arrivano)? Siamo in difesa o aperti all’ascolto?
E proprio quei giovani come si dice siano, quegli abitanti dei sotterranei sono solo da cacciare o possiamo chiederci chi sono? (Di cosa hanno bisogno? Cosa stanno chiedendoci? Cosa possono offrire?)
E’ la domanda che riformulo per me ancora oggi: chi sono le persone oggetto della nostra indignazione, paura, indifferenza, del nostro decoro urbano al primo posto, per noi?
Accettare di interrogarci è non chiudere il futuro.
Don Abramo Levi aveva una posizione bellissima: “noi non dovremmo né cercare il consenso, né rincorrere il dissenso, ma essere cercatori di senso”.