archivio:L’INNO DI ALLAH in un concerto VADE RETRO in basilica

E’ figlia della superstizione. E della paura. Il Prevosto di Lecco, monsignor Busti ha vietato in Basilica un Inno ad Allah. Ed in che modo soprattutto. Ha addirittura minacciato di staccare la luce e di sospendere il concerto appena fosse iniziato il brano.

Le scuse che il Prevosto usa sono di una banalità allucinante: “non credo che ai musulmani faccia piacere che si cantino i loro inni nelle nostre chiese, e viceversa”.

E’ più probabile invece che sia come tutte le altre volte. Paura e miopia. Quando c’è un concerto le chiese, infatti, vengono momentaneamente private dell’Eucarestia conservata nel Tabernacolo e questo tenuto aperto. Negando, tra l’altro, l’onnipresenza “qui ed in ogni luogo” di Dio. Ma il gesto di mons. Busti denota inoltre che il significato ecumenico, vecchio di oltre 40 anni, insegnatoci da Papa Giovanni XXIII, per superstizione e paura può anche da chi dovrebbe essere pastore della propria comunità, facilmente disatteso. Innalzare, in un concerto di pace un Inno a Dio, al dio dei musulmani, nel Tempio dello stesso Dio – ebbene si ce lo dimentichiamo o ce lo vogliono far dimenticare – è profanare il Tempio?
O si ha poca considerazione di Dio o si ha poca considerazione degli uomini. Ed a volte è più facile ancora che la sia abbia di tutti e due. La preghiera, nelle sue mille forme, proprio per le sue mille forme, è forse il linguaggio più libero e incoercibile di cui l’uomo disponga. Attraverso di esse – oltre a un munitissimo catalogo di divinità già note – ci si può rivolgere all’intero universo. Ci si può rivolgere a pianeti, alberi, bestie, carciofi, case, in buona comunione con ciascuna di queste cose e a volte, nei rari momenti di grazia di cui disponiamo, con tette queste cose insieme. Si può pregare sdraiati, seduti, in piedi, guidando e camminando. E il bello è che lo si può fare ovunque: dicono, a volte, addirittura nelle chiese. Ma è meglio all’aria aperta.

Da ieri sappiamo che per colpa di Monsignor Busti, Prevosto di Lecco, è obbligatorio farlo solo all’aria aperta. Deve aver saltato quel passaggio delle Sacre Scritture dove qualcuno di importante per bocca di Marco 11,17 insegnò: «Non sta forse scritto: /La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti?…”
O per riprendere l’Omelia del cardinal Tettamanzi pronunciata nell’apertura dell’anno accademico dell’Università Cattolica lo scorso novembre che riporto testuale “*Come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale. *Ci aiuta a scoprire in profondità il senso della dimora di Dio in mezzo a noi. È proprio nella sua casa che noi veniamo invitati, accolti e radicalmente trasformati sino a diventare, stringendoci a Cristo Gesù, «pietre vive» del vero tempio di Dio (cfr.1 Pietro 2, 4-5). Il tempio vero è, dunque, il tempio edificato con le «pietre vive», è la nuova comunità che scaturisce dalla Pasqua di Gesù e dall’effusione del suo Spirito. In tal modo, l’attenzione si sposta dall’edificio al popolo: il tempio è il popolo del Signore che, in mezzo agli altri popoli, proclama «le opere meravigliose» di Dio, il quale lo «ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce». Bisognerebbe cantare queste parole. Ma la Basilica di Lecco non ha “pietre vive”. Per qualcuno.

5 febbraio 2005

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