Tutti gli anni Federconsumatori – insieme a altre realtà di (presunta) tutela del consumatore – promuove la giornata dello sciopero della spesa, per dare un segnale forte sul caro prezzi. Lo scorso anno si sono inventati lo sciopero della pasta. L’iniziativa nasceva e si è dimostrata già scotta. Si può fare la spesa ma niente spaghetti. Si ai gnocchi. Questa volta, 18 settembre, è della pagnotta. Niente michetta. Si ai Grissini
A noi immancabilmente tocca ripeterci: Ha senso una protesta che lascia tutte le cose, tutte, come stanno? Vogliamo mica far credere che abbia qualche valore almeno simbolico, vero? E’ solo un’altra forma di marketing che queste sigle – che sui consumatori ci campano – mettono in piedi ogni anno.
Mai e poi mai che si prova a considerare il cittadino più intelligente, più aperto financo a sperimentare forme e ragionamenti che, se supportato nella pratica, lo tutelino ben prima che i buoi siano scappati?.
Mai che si provi a fare un discorso di consumo critico, di consumo locale, di sostegno al produttore contro la finanza e le multinazionali che coi prezzi ci sguazzano.
Chi è quel consumatore che è disposto a far ricadere il suo eventuale sconto buttando lo sfruttamento sulle spalle del produttore o del lavoratore che produce quel bene scontato? Se, in altre parole, la riduzione del prezzo dipendesse solo da un maggior sfruttamento del lavoratore (e dell’ambiente) importa qualcosa al consumatore? A Federconsumatori (malgrado sia il sindacato) sembra proprio di no.
E come fare per far sapere a tutti se c’è uno sfruttamento, per esempio? E’ sapere a che prezzo quel prodotto acquistato, il negozio l’ha pagato al produttore.
Si chiama “prezzo sorgente”.
Si comprenderebbe così la sperequazione, la forbice della mala redistribuzione del capitale e chi va ad ingrassare. Coi nostri soldi. Ma nessuno lo chiede.
Ma un altro aspetto ancor più importante viene eluso da queste forme ridicole di lotta di un solo giorno. La forza della collettività, del cittadino fatto consumatore che diviene comunità se con lui si costruiscono reali alternative al saccheggio della spesa, alla redistribuzione all’incontrario dei nostri redditi.
Cioè creando alternative alle spese attuali dove ora il consumatore non ha potere, dove l’unico modo per risparmiare –oggi – sembra essere mangiar male o sfruttare qualcun altro.
“Che fare?” non in astratto, ma in termini strategici?
E’ necessario contrastare (anche) la finanziarizzazone internazionale della produzione di cibo? E come la si contrasta, se non supportando la rilocalizzazione della produzione (agricola) su base locale?
Oggi una prima pratica risposta c’è, sono i GAS -gruppi di acquisto solidali– dove si può con un rapporto equo, solidale, paritario creare rapporti di collaborazione direttamente con i produttori, eliminando la speculazione dei troppi passaggi, della forza bruta della grande distribuzione.
Si può inoltre così attuare un “paniere calmierato” dei prezzi attraverso un partnerariato agricolo. Un prezzo autogestito cioè su base locale che può essere stabilito tra produttore e consumatori.
Il prezzo finale al consumatore oggi è troppo alto. Il prezzo pagato al produttore (dalla Grande distribuzione) è invece troppo basso. Eliminando l’intermediazione attraverso l’accordo diretto tra reti di consumatori e produttori (anche con un pre-acquisto; pre-finaziamento ecc) si dovrebbe poter pagare un prezzo complessivamente più alto ai produttori ed allo stesso tempo avere un prezzo finale ai consumatori più basso.
Evitando così di far sembrare rivoluzionario il posticipo di un giorno dell’acquisto di un pacchetto di pasta o di 2 semplici panini.
Basta provarci. Basta capirlo.