Come mostrato nel precedente post: la Tassa Alitalia, https://www.esserevento.it/?p=342 la soluzione raggiunta per la compagnia aerea è un pasticcio, un timballo di conflitti di interesse, collusioni politiche, costi sociali immediati e distribuiti nei prossimi anni, profitti privati e show elettorali. Quando il probabile azionista dell’azienda, a due settimane dall’ accordo, si oppone direttamente e nega ogni possibilità di concludere con la controparte acquirente, il compratore non ha altra scelta che ritirarsi.
Così è accaduto perché i sindacati, al contrario di Spinetta, non hanno mai abbandonato il tavolo.
Ovviamente l’opposizione all’acquisizione dell’Alitalia da parte dell’ Air France era solo strumentale.
Infatti la Lufthansa ha già ufficialmente dichiarato il proprio interesse all’acquisizione del 45% dell’Alitalia mentre l’Air France entrerebbe inizialmente con il 15% per poi rilevare la maggioranza nel tempo. Poiché la compagnia domestica non ha la massa critica per stare sul mercato europeo e tantomeno per confrontarsi con i competitor asiatici, dovrà essere acquisita, sicuramente non nel lungo periodo, da uno dei tre carrier europei.
Ciò implica inoltre che l’assenza di offerte diverse da quella della Cai era una menzogna di stato.
La mossa è stata quindi solo una mossa costosissima, uno show per colpire l’immaginario e tenere occupati i media.
Quando si effettua una scelta sociale, l’obbiettivo prioritario è la protezione del settore sociale Mediante L’assegnazione Del Costo Alla Fiscalità Generale, non l’evidente perseguimento della propaganda elettorale e l’arricchimento di un manipolo di profittatori Mediante L’assegnazione Del Costo Alla Fiscalità Generale.
Come si vede, rimane attivo solo uno dei termini, L’assegnazione Del Costo Alla Fiscalità Generale, il che non garantisce la tenuta del dispositivo argomentativo, piuttosto lo mina.
In realtà, l’intento sociale sembra perfino scomparire, assottigliarsi se non divenire un’illusione, un’immagine distorta, se si considera che tutto ciò che è rimasto dell’Alitalia è strumentale alla conduzione di un’azienda privata che porterà profitto a pochi e costi a tutti.
Includere forzosamente intenti sociali, sarebbe equivalente ad affermare che la costituzione di un’azienda a scopo di lucro abbia intenti sociali.
Sicuramente avrebbe ricadute sociali ma le finalità di chi la costituisce e i conseguenti obblighi non lo sarebbero.
L’argomento sarebbe evidentemente pretestuoso.
L’inversione della posizione, porterebbe inoltre ad interessanti corollari.
In altri termini, ad un’azienda di stato debole, inetta, inefficiente, incapace di confrontarsi con un mercato decisamente più robusto, si è sostituito un capitalismo debole, inetto, inefficiente, incapace di confrontarsi con un mercato decisamente più robusto.
Un capitalismo a cui è necessario perfino l’indebolimento del sistema normativo per garantire una fase di monopolio interno, non solo con il congelamento dell’antitrust ma anche con modifiche alla legge marzano.
Perfino un passo indietro rispetto alla situazione degli ultimi 15 anni.
Il che costituisce un ulteriore danno sociale indotto.
In termini economici, il sistema non si definisce capitalismo ma rendita.
In termini economici, il sistema è conosciuto come protezionismo.
Affermare che la soluzione Alitalia sia assistenzialistica, come riportato nel post: la tassa Alitalia, risulta, alla luce di queste ultime considerazioni, un tropo, un’Immagine retorica, nello specifico un’iperbole, molto, molto asintotica al termine furto.
W LA PASTIERA!
Così hanno ucciso Alitalia
di Paola Pilati
Forniture pagate il triplo. Carburante comprato a peso d’oro. Sindacalisti che decidevano le carriere. E sprechi spaventosi ovunque. Alla vigilia del passaggio finale, il liquidatore racconta cosa ha visto. Colloquio con Augusto Fantozzi. Augusto FantozziProfessore, ci faccia volare!… Invocato come un santo patrono dalle fan nei ristoranti, fermato per strada da nostalgici bipartisan della grande Alitalia che lo spronano con un “Tenga duro!”, destinatario di collette per la sopravvivenza della compagnia di bandiera raccolte da gruppi di italiani all’estero, Augusto Fantozzi, 68 anni, avvocato tributarista e più volte ministro nel centrosinistra, assapora l’apice della sua notorietà. L’incarico di commissario straordinario di Alitalia, affibbiatogli furbescamente dal governo Berlusconi, se lo sente addosso come un vestito di sartoria: “Qui faccio il mio mestiere, non è come quando ero ministro”, dice. E si capisce che vorrebbe passare alla storia dell’Alitalia come Enrico Bondi passerà a quella della Parmalat. Cioè come il salvatore, l’uomo della Provvidenza.
In effetti, dopo un anno di stop and go – si vende, non si vende – tocca a Fantozzi recidere il cordone ombelicale di Alitalia con lo Stato. Lo ha fatto a metà dicembre con la firma del contratto di cessione a Cai per 1.052 milioni, e lo concluderà alla mezzanotte del 12 gennaio, quando darà le consegne della gestione della compagnia a Roberto Colaninno e Rocco Sabelli, che si installeranno al sesto piano del palazzo della Magliana, sulla plancia di comando, mentre lui calerà al quinto. E lì resterà, si prevede, per tutta la lunga trafila legale che seguirà il trapasso della compagnia dal pubblico al privato. Una trafila che, per le abitudini italiane, potrà durare anche sei-sette anni.
Nel frattempo, in attesa di quella mezzanotte simbolica di gennaio, è lui a gestire la società: ha pagato un terzo di tredicesima ai dipendenti ormai tutti in cassa integrazione, tiene a bada i voraci fornitori, e si prende gli accidenti dei viaggiatori, ora bloccati dalle cancellazioni dei voli, ora dalle proteste dei dipendenti per la politica delle assunzioni di Cai.
Situazione scomoda, professore: ce l’hanno con Colaninno, ma i disservizi li deve gestire lei.
“Molte delle proteste sono dovute al fatto che le lettere di assunzione non sono partite tutte insieme. È una scelta di Cai che non voglio commentare”.
Intanto i viaggiatori fuggono. Consegnerete l’azienda ridotta all’osso.
“In realtà le prenotazioni, dopo il crollo di ottobre-novembre, sono in netta ripresa”.
Ma Alitalia è stata molto ridimensionata: lei ha tagliato parecchi voli.
“Senta, Alitalia è morta di grandeur, non per il mio taglio dei voli. Perché si è voluta mantenere in piedi una struttura troppo ampia rispetto alle sue possibilità di produrre reddito. Si è detto che a Colaninno ho dato la polpa, ma anche lui avrà il problema di riempire gli aerei…”.
Se si fossero fatti i tagli in passato la compagnia dunque si sarebbe salvata?
“Sì: nella mia relazione sulle cause dell’insolvenza dico chiaramente che l’azienda ha sperperato. Non è un mistero che ci sono cinque procuratori della Repubblica al lavoro nei nostri uffici e la Corte dei Conti che indaga”.
Cosa intende per grandeur?
“È semplice: Alitalia pagava tutto il triplo”.
Malversazioni?
“Non necessariamente. Faccio un esempio: mandare tre macchine per prendere l’equipaggio, perché se la prima buca e la seconda rompe il motore… era uno spreco. Tutto era troppo abbondante”.
Colpa dei privilegi dei dipendenti?
“Di tutti: dei dipendenti, degli appalti, dei fornitori del carburante…”.
Anche il carburante era pagato il triplo all’Eni?
“Certamente era pagato troppo”.
Una grande mangiatoia?
“Una gestione troppo ‘signorile'”.
Strano che non si sia indagato prima.
“Sì. Teoricamente lo potevano fare tutti, il ministero, la Consob, l’Enac… Ma la dichiarazione d’insolvenza è stato il campanello d’allarme più forte”.
Chi ha avuto più responsabilità nella dilapidazione delle risorse?
“Diciamo che in qualsiasi settore non si stava a tirare sul prezzo. Io sono stato attaccato perché non pagavo i fornitori: saranno pagati tutti quanti, ma intanto ho messo la situazione sotto controllo. Ho fermato la ‘signorilità'”.
La soluzione Cai era davvero l’unica via d’uscita?
“Ho lungamente parlato con Spinetta (il capo di Air France, ndr) e con Mayruber (quello di Lufthansa, ndr). Quando Cai si è ritirata, dopo la rottura con il sindacato, ho cercato questi signori e loro mi hanno detto chiaro e tondo che con i sindacati italiani non volevano avere a che fare”.
La rottura della Cgil di Guglielmo Epifani con la linea tenuta da Cisl e Uil nascondeva qualche altro obiettivo?
“È stata tutta una dialettica sindacalese. Un balletto tra di loro su chi firmava e chi no”.
È intervenuta la mediazione del Pd?
“Non lo posso dire direttamente, ma ho l’impressione di sì”.
Lei ha ricevuto interferenze politiche?
“No. Neanche da Berlusconi. È stata una trattativa condotta da tutti, fino all’ultima lira, senza finzioni. Quando Colaninno mi diceva: ‘Non tengo i miei soci’, era vero. E io rispondevo: ‘Non firmo’, e ne ero convinto”.
Che partita hanno giocato i piloti con la loro impuntatura?
“Hanno fatto un grande errore. La disponibilità a riconoscere la loro professionalità c’era. Ma loro hanno preferito la guerra per il potere in azienda, lo scontro per comandare piuttosto che convincere della loro indispensabilità. L’Anpac ha frantumato se stessa”.
Però le rinunce sugli stipendi le hanno dovute inghiottire.
“Non moltissime. E poi, in un momento simile, Alitalia, con la cassa integrazione privilegiata, è un’oasi felice”.
È vero che i capi sindacali dei piloti godevano di extra in busta paga?
“Non in quanto capi sindacali, ma in virtù dei ruoli che potevano avere come ‘post holder’, cioè per far fare carriera agli altri: ci sono per esempio quelli che fanno i garanti verso l’Enac, quelli da cui dipende il mantenimento del brevetto… Su questi ruoli si possono costruire delle cordate di crescita professionale. Era un meccanismo molto sindacalizzato, che aveva in mano molte leve”.
Lei ha dato agli italiani la brutta notizia che dovranno pagare ancora i debiti di Alitalia. Quanto sarà il conto finale?
“Gli attivi non basteranno a pagare tutti i passivi. In totale ci sono 3,2 miliardi di passività, e gli asset di Alitalia non sono tantissimi. Oltre a quello che incassiamo da Cai, c’è quello che incasserò da cargo, manutenzione, i call center Alicos…”.
Quanto possono valere?
“Stimiamo tra i 500-700 milioni di euro. Poi abbiamo un terreno a Fiumicino e cinque o sei appartamenti in giro per il mondo”.
Si può immaginare quindi che la metà dei creditori non verrà pagata. Chi verrà saldato per primo?
“Quelli che hanno continuato a rendere servizi durante il commissariamento. Dopo il 29 agosto saranno pagati tutti. Prima, saranno pagati secondo riparto”.
Lei ha già detto che gli azionisti Alitalia resteranno con un pugno di mosche.
“Il Tesoro ha promesso un indennizzo attingendo al fondo dei conti correnti dormienti. Dipenderà da Tremonti in che misura vorrà soddisfarli”.
Gli obbligazionisti verranno trattati come gli azionisti?
“Sì, anche se in verità dovrebbero essere più tutelati”.
Il prezzo di Alitalia: non le sembra poco 550 milioni per gli slot?
“È stata la valutazione di Rothschild. E poi si fa molta fantasia sugli slot: quelli dell’intercontinentale, per esempio, non valgono niente, tranne quelli di New York e Newark”.
Valgono quelli a Milano e Roma.
“Sì. Ma non si possono vendere: se non li usi, decadono. Comunque è stato calcolato il goodwill, che è compensato da un badwill. D’altra parte, a meno che non rinegozi tutti i contratti, anche Colaninno perde”.
Le sembra normale che per Cai siano state sospese le regole antitrust?
“Ma Catricalà ha detto: vi terremo gli occhi addosso. Del resto Air France ha il 91 per cento del mercato in Francia, Cai arriva forse al 60”.
Ma sul Roma-Milano ha il 100 per cento.
“Catricalà vigilerà. D’altra parte, se vogliono riempire gli aerei non potranno alzare troppo i prezzi”.
Ma come mai Cai versa in contanti 300 milioni a Toto per AirOne e soltanto 237 a lei per Alitalia?
“AirOne ha più aerei e più buoni dei nostri. La parte di punta della flotta futura è quella di AirOne. Io ho da vendere novanta MD80, che valgono poco: ho appena fatto il bando”.
E le altre partecipazioni?
“Nell’accordo sindacale di Palazzo Chigi, si è detto che una società con Finmeccanica, Fintecna e Cai rileverà le manutenzioni. Anche lì farò un bando di gara”.
La sua missione quanto durerà ancora?
“Dipende dalle cause che mi faranno e da quelle che devo fare io. Sono titolare di 4 mila persone in cassa integrazione che restano miei dipendenti. Prima di dichiarare morta la bad company, ci vorranno anni: anche sei-sette”.
Arriverà allora anche il pagamento della sua parcella?
“Spero una parte prima. Io il lavoro lo sto facendo. Non sono né esoso né avido. Ma non sono fesso e non ho intenzione di lavorare gratis, e d’altra parte anche Bondi ha avuto una tranche della sua parcella. Ad ogni modo mi fa più piacere se mi si dice che sono bravo”.
La parcella sarà davvero di 15 milioni di euro come si è detto?
“Potrebbe essere quella cifra ma anche meno. È un calcolo in percentuale sulla massa dell’attivo, del passivo e del recuperato. Ma Palazzo Chigi non ha ancora emanato il decreto per stabilire la percentuale che mi spetta”.
(30 dicembre 2008)
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