Dovrebbe essere evidente a molti che il mondo finanziario sta facendo pagare un prezzo molto alto anche a chi al suo gioco nemmeno partecipa. La finanziarizzazione dell’economia, cioè «fare soldi con i soldi» [soprattutto degli altri] sta facendo pagare un prezzo salato anche a chi è «fuori» dal gioco: contrazione dei consumi, rincari dei prezzi e precarietà del lavoro sono gli aspetti più evidenti.
Ma questa finanziarizzazione dell’economia è figlia – non illegittima – di un sistema ben preciso e non possiamo far finta di dimenticarlo, il capitalismo globale degli anni Ottanta, insomma il neo-liberismo.
Meno Stato e più mercato è stato lo slogan degli ultimi due decenni almeno. Già così è un pazzia ma poi l’abbiamo visto declinato nella pratica – per chi lo può ammettere – meno stato era ed è [accipicchia se lo è] meno Stato sociale [vale a dire meno assistenza sanitaria, pubblica istruzione, pensioni…] meno salari. Più mercato era ed è [accipicchia se lo è] più privatizzazioni, meno regole, più finanza, meno produzione reale. Risultato ben prima del crack? Il più grande trasferimento di reddito e ricchezza alla rovescia dai tempi del feudalesimo. Per giunta, con altrettanta evidenza questo meccanismo non è stato compreso e addirittura è stato applaudito dalla maggioranza dai cittadini, che speravano forse di poter essere o entrare nell’elite dei beneficiati dal mercato.
Il torto più grande di moltissime banche nei confronti dei propri clienti, non è quello di aver venduto prodotti che si sono dimostrati schifosi [Lehman…] o addirittura prodotti che sapevano essere schifosi [Parmalat…] ma quei prodotti che gli rendevano di più in commissioni e fidelizzazione. Il buono o meno buono era secondario. E’ questo il vero cancro. Gli investitori non vanno spaventati, casomai vanno educati e messi in guardia. Ma dal modello non da un singolo caso. Questa crisi borsistica e di capitali la stanno pagando e la pagheranno, forte, anche quelle famiglie e quei piccoli e medi imprenditori [l’ossatura imprenditoriale in Italia] che hanno bisogno di credito, di denaro. Questa speculazione la pagano soprattutto loro. Faranno più fatica ad averlo e lo pagheranno più caro. Perché, e sta qui il problema, le banche da anni non fanno più credito e quello che fanno è caro come il fuoco, ma, fanno soprattutto finanza. Basta dare un’occhiata ai bilanci degli istituti di credito: la stragrande maggioranza degli attivi ormai non si ricavano più dal credito, ma dalla vendita di prodotti finanziari, quegli stessi prodotti che è probabile ognuno di noi ha acquistato e forse ha ancora.
Guardiamo poi i tassi dei nostri mutui: quell’Euribor che fa lievitare la rata, che ci sta mettendo le mani intorno al collo e sta stringendocelo da tempo… È giusto che siano le famiglie a pagare, appunto con la crescita della propria rata, il mancato funzionamento del mercato interbancario e la sfiducia reciproca tra banche [che, guardiamo il paradosso, basano la loro solidità sulla fiducia che i clienti hanno nei loro confronti] che è alla base del continuo rialzo dell’Euribor?
È serio, decente e accettabile poi ricevano dalla Bce [Banca centrale europea] i soldi – i nostri soldi – al 3,75 per cento e ce li girino al doppio e spesso anche a ben di più?
Forse non tutto il male viene per nuocere: l’accelerazione delle privatizzazioni, della crisi della finanza e delle carenza di regole e controlli efficaci determina un incremento dell’impoverimento generale e della disperazione collettiva, ma anche, conseguentemente, un’accelerazione del processo di cambiamento, qualcuno oserebbe dire: rivoluzionario.
Forse è giunto il momento, come da più parti auspicato, che si smetta di inseguire e assecondare, [anche se pacatamente e serenamente] sperando di mitigarne la perniciosità, quella parte di società che ama la ricchezza e il privilegio e che si cominci a farle assaggiare l’asprezza dello scontro
Leopoldo “mina” Scalcini
tratto da www.carta.org http://www.carta.org/campagne/dal+mondo/15331