Caro Direttore, ho letto l’intervento sulla “cittadella della luce” pubblicato sulla Provincia mercoledì 8 dic.2010 .
Se serviva comprendere come è possibile vendere qualcosa che non c’è per fare affari, fare capitalismo, la lezioncina angolofona dell’architetto progettista, ma fa più glamour dire designer, Giulio Ceppi, è perfetta.
Siamo inevitabilmente un territorio che si basa sul prodotto e sulla capacità di lavorare “laurà, laurà, laurà” senza tanti divertimenti e fronzoli. Manufatturiero e sudore ma evidentemente non siamo capaci di fare impresa. Non siamo più capaci. Non siamo in grado di stare al passo con i tempi. Implicitamente si invitano le diverse associazioni di categoria a mettere subito nella cartelletta dei corsi di aggiornamento giornate di formazione su venture design, vision, sensorialità sostenibile, design thinking. Cioè le solite espressioni anglofone che tutto significano e nulla significano. Da restare sconcertati.
Un gruppo di lavoratori che non si sono pianti addosso hanno messo in piedi un Progetto su un percorso di studio e di competenza, hanno faticato a trovare ascolto e forse, ora, appoggio delle Istituzioni (Comune, Provincia, Università) e ora arriva il designer Ceppi e boom con la sua matitina ben temperata decreta la fine di Leuci e del Progetto “Cittadella della Luce”, se non l’ascoltano.
Non vorrei essere altrettanto saccente ma consiglierei ai soggetti che si sono appena visti il loro impegno, competenze e studio cancellati senza attenuanti da un colpo di matita, di resistere.
Un imprenditore lombardo di vecchio stampo ad un convegno tra associati di cui, da infiltrato, partecipai disse alla platea una cosa saggia, secondo me. Disse che se crediamo con sufficiente forza nella propria impresa e in se stessi, non dovremmo lasciare che qualcuno tenti di farti credere che non puoi fare quella cosa. Alcuni imprenditori mancati hanno rovinato grandi opportunità lasciandosi influenzare dalle persone sbagliate.
Consigli di cui far tesoro, evidentemente.
Certo serve l’idea per fare impresa, tutte le nuove imprese nascono da un’idea. Una sola.
Se se ne hanno cento o anche solo dieci, vanno scartate 99 o 9. Quella migliore di solito è tra l’altro anche la più semplice.
Deve essere moderna, innovativa certo, altrimenti ci staranno già pensando in una caterva e, ove possibile, dovrebbe essere la soluzione di un problema e avere margini di crescita nel mercato. Elementi che da quanto si legge sulla stampa sembrano essere stati tenuti in considerazione nel Progetto Leuci/Cittadella.
Serve più buona volontà che innovazione ma evidentemente per una ricetta di qualità altri sono gli ingredienti che non debbono mancare e che è tutto da vedere se si riusciranno a trovare nel Progetto.
Denaro e decisamente molto, energia appunto perpetua, contatti fatta da una rete viva, e fortuna ameno un pizzico che appunto amalgamati con volontà e l’idea fanno un Progetto con le gambe.
L’intervento dell’architetto Ceppi, mi pare evidente, da pulpiti auto costruiti, stronca proprio questo. Lo stronca perché non concede nessuna possibilità che il prodotto sia quello che vuole il mercato e che lo stesso non possa evolvere insieme al mercato stesso. Con le gambe che si fanno più robuste grazie alla pianificazione e ancora pianificazione ancor prima e ancora meglio dell’innovazione così declamata da chi ha in mente forse l’azienda Google scordandosi delle cento e cento Freedomland.
Le gambe sono fatte di passi e i passi da compiere sono quelli di sostenere un Progetto, un prodotto e trasformarlo sempre di più in azienda. Dimensioni del mercato, profilo dei clienti anche quelli futuri ovviamente e di conseguenza il valore attuale e futuro dell’impresa.
Ma ci vogliono i soldi per fare i soldi. Ci vogliono i soldi per creare lavoro o tenerselo un lavoro come hanno evidentemente ragionato i primi incubatori della Cittadella della luce, i lavoratori stessi appunto.
Ed è qui che la rete di relazioni, le istituzioni, le associazioni di categoria, i parlamentari e i ministri devono intervenire. Fondi pubblici e privati.
Serve un lavoro di squadra più che i menagramo. Serve credere veramente che il fare impresa e lavorare, laurà, sia nel dna dei lecchesi e che non basta un colpo di matita, seppur alla moda o soprattutto per questo, per affossare l’entusiasmo e cancellare tutto quanto. Prodotto, Processo e Progetto.
Dato vita e sostenuto tutto questo, si può tranquillizzare anche l’architetto Ceppi, non mancheremo di sollecitare Istituzioni e associazioni di categoria a invitare imprenditori e lavoratori a giornate di formazione su venture design, vision, sensorialità sostenibile, design thinking.
Cioè le solite espressioni anglofone che tutto significano e nulla significano.
Alla sera ovviamente, dopo il lavoro, così da tener accese le lampadine, fabbricate a Lecco, sperando che questo non gli faccia rabbia.