LA FEBBRE DEL GIOCO: la fronte scotta, il malato è grave

La febbre del gioco evidentemente è il sintomo di una malattia che ha colpito e colpisce anche i lecchesi che nell’anno appena passato hanno speso fra lotto, superenalotto, bingo e gratta e vinci ben 98 milioni di euro

Sensibilmente meno dell’anno precedente ma pur sempre vicino ai 100 milioni di euro. 200 miliardi di lire. La fronte scotta. Il malato è grave. 200 miliardi di lire sono, se ci fermassimo anche un secondo solo a pensare, una cifra spaventosamente alta. Che i lecchesi spendono ogni anno alla ricerca dell’azzardo, della scommessa, dell’attesa di una somma di danaro.

Un filo che sembra sempre di più un cappio. Che toglie ossigeno al cervello. A livello nazionale lo stringono ancor più velocemente. Dai primi dati, c’è stata una crescita del 13% sull’anno precedente sfondando i 61 miliardi di euro di spesa. Di Euro. Euro!! (61,4mld) Tre o quattro finanziarie in una volta sola. Se ci fermassimo anche qui un secondo solo a pensare, forse tutto sarebbe chiaro e allarmante. Oltre il 3% del Pil della ricchezza Prodotta.

Sarò ripetitivo ed insistente ma anche quest’anno lo sento doveroso. Anche a limitarci al lecchese ed ai nostri 100 milioni di euro, 200 miliardi di lire forse è bene che la stampa tutta smetta di pubblicizzare questa rapina legalizzata, questa tassa sugli allocchi, queste vincite specchietti e sostenga invece un ragionamento e un impegno civico. Faccia informazione e opinione.

La stampa locale dovrebbe per esempio, con cadenza mensile, creare un piccolo box, una piccola finestrella, non invasiva ma permanente, dove evidenziare quanti soldi gli italiani e i lecchesi hanno speso – e stanno spendendo – nei giochi e scommesse le rapportarli ai servizi, ai beni che era possibile collettivamente disporre spendendo appunto altrimenti queste risorse. Ci si potrebbe avvalere, per esempio, delle proposte, opere, servizi, al servizio della collettività, che un singolo Comune/Ente deve invece accantonare perché non ha soldi. Per colpa di Tremonti, della crisi ma non solo, appunto.

Questo sarebbe utile perché dimostrerebbe, dimostra, agli occhi di molti come si sperpera il denaro, che è si di ognuno, ma che potrebbe avere un beneficio condiviso, che eviterebbe, tra l’altro, molte lamentele sulla carenza di servizi che diffusamente si sentono.

Si pensi al tanto, solo a parole, evocato federalismo solidale, a quanti danari, ogni giorno, tutti i giorni, una città, un territorio, come Lecco (ma vale per Como, Sondrio, Varese ecc.) potrebbe raccogliere per opere e servizi di utilità diffusa, a beneficio anche di chi egoisticamente pensa di vincere milioni di euro tutti per se.

Si potrebbero valutare, sostenuto dalla stampa e dal Comune e altri Enti locali, con un percorso di partecipazione diffusa, l’individuazione di determinate priorità e, con percorsi trasparenti e misurabili, far confluire lì le risorse invece ora inghiottite, sperperate, nelle scommesse.

Il beneficio che ne trarrebbe una comunità locale, per esempio, con nuovi asili pubblici, nuovi attrezzi ecologici e salubri in un campo giochi cittadino, uno scuola-bus, una riduzione del ticket dei mezzi pubblici cittadini, un appoggio agli anziani con servizi mirati,  il sostegno ad un progetto imprenditoriale, sarebbe palesemente notevole. E facilmente praticabile.

Certo è bene ricordare che i servizi pubblici sono già dovuti con il pagamento delle tasse e non si può aspettare né carità né beneficienza per averli, però qui è importante anche un percorso educativo. Non mi sembra così impraticabile, vero?

Un pensiero su “LA FEBBRE DEL GIOCO: la fronte scotta, il malato è grave”

  1. Caro Paolo, credo che tu stia chiedendo alle attuali istituzioni, agli organi di “informazione”, insomma agli odierni detentori del potere di contraddirsi. Di praticare un’apostasia, di rinnegare la cultura che alimenta il sistema, insomma di tirarsi la zappa sui piedi. Questo sistema infatti, non potendo per sua natura soddisfare i bisogni e le urgenze di tutti, necessita di diffondere fra gli ultimi, gli indifesi, gli esclusi, quello stato di minorità e di sfiducia in se stessi che richiede sempre, quotidianamente, l’attesa del miracolo, della vincita risolutiva, dell’aiuto dall’esterno che ci leva dai guai. Questo processo è agevolato nel nostro Paese dal sostrato culturale della tradizione cattolica. Padre Pio, beato Wojtyla (tutto esaurito a Roma per la beatificazione con impennata dei prezzi di albergatori e ristoratori come vuole la legge del mercato) sono business, al pari di lotterie e gratta e vinci, fondati proprio su quello stato di minorità kantiana che conduce a credere a tutto fuorché in se stessi.
    POCOCURANTE

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