PARMALAT: VERITA’ SCREMATA (leggete anche il commento)

Dopo la sentenza Parmalat si resta sbigottiti.

Il caso Parmalat, infatti, trova teoricamente molti spunti di diversità con il caso Lehman Broters o addirittura il recentissimo caso Madoff, l’imbroglione già guru di Wall Street che, con una catena di San Antonio, ha fregato miliardi alle banche.

Il caso Parmalat, ha un dato inoppugnabile, che per il momento non ha avuto valore penale e giuridico. Le Banche con Parmalat sapevano. Oppure è strano, visto il comportamento tenuto, che non sapessero.

Un bond da 150 mil € scadente a inizio dicembre 2003 fece crollare il bluff di Parmalat. Tanzi non riuscì a rimborsarlo malgrado bussò a tutte le banche. Quegli stessi istituti che da 10 anni avevano collocato numerosi bond della Parmalat si tirarono indietro. Tutte. Una società che aveva 7 miliardi di euri di obbligazioni regolarmente sottoscritte dal mercato non trova un soldo? Per quale motivo, se è vera la tesi che le banche non erano a conoscenza del dissesto? Perché, se è vera la tesi che sarebbero state truffate al pari di qualsiasi risparmiatore?

Le grandi banche sono uscite indenni dal dissesto. Anzi, per alcune di esse il crack è stato un lauto affare. Hanno mediamente portato a casa il 93% della loro esposizione verso Parmalat, e alcune l’incasso ha abbondantemente superato il 100% del credito. Stando al commissario straordinario, Enrico Bondi, che l’ha segnalato al Tribunale di Milano. Deutsche Bank il 27 dicembre 2003, alla dichiarazione d’insolvenza, aveva crediti per più di 154 mil€, è uscita con quasi 217milioni: il 40% in più del credito originario. La Parmalat è stata un affare anche per UniCredit e Capitalia, che hanno recuperato il 124% e il 123% dei rispettivi crediti, vale a dire 212 milioni e 533 milioni. Conclusione: la Parmalat è stata, per le banche, una mucca da mungere. Tra proventi e commissioni percepiti negli anni prima del default, UniCredit ha incassato quasi 107 mil€, Capitalia 267, Sanpaolo-Imi 104 e Citibank 182.

Questo è stato anche possibile perché i titoli Parmalat furono “passati” dalle grandi banche ai risparmiatori nei dodici mesi che precedettero il crack del gruppo, dichiarato il 27 dicembre 2003.

Il documento, ricco di particolari, trasmesso dalla Banca d’Italia alla Procura di Parma il 17 novembre 2005 lo dimostra. In questo documento, scovato dall’ottimo Giuseppe Oddo, giornalista de il sole24 ore, si studiano le posizioni di Citibank, Intesa, Bnl, Capitalia, SanpaoloImi, Banca Popolare di Milano (Bpm), Banca Popolare Italiana (Bpi), Deutsche Bank, MPS e Unicredit, cioè alcuni dei gruppi bancari che erano più esposti verso Parmalat.

parmalat-massimo-minimo

Queste banche, il 31 gennaio 2000, avevano in portafoglio obbligazioni Parmalat per un totale di 179,6 milioni di euro, con importiun picco superiore ai 200 milioni in due occasioni: il 31 ottobre 2000 e il 28 febbraio 2001.

Per oltre un anno il valore dei bond in portafoglio alle banche era andato calando.

Solo a metà del 2002 avevano ricominciato a fare cascina.

A fine giugno nei loro portafogli di proprietà, 124 milioni. Al 30 novembre si era già a 175 milioni. E al 31 dicembre aveva raggiunto i 229 milioni.

Così si arriva all’ultimo anno di vita della vecchia Parmalat: il 2003.

E da questo qui che le banche cominciano a sgonfiare i portafogli in modo sistematico, fino a svuotarli quasi del tutto. Il giornalista Giuseppe Oddo su il Sole 24ore – di cui questa cronaca ne prende a piene mani – ha analizzato la successione dei dati di Banca d’Italia, affiancandoli agli eventi che scandirono gli ultimi drammatici mesi della Parmalat di Calisto Tanzi. Da qui si vedrà come è strano che oggi abbiano condannato come unico colpevole il commendator Tanzi.

Dal 31 gennaio 2003 le banche accelerano la vendita dei bond ai risparmiatori: l’ammontare dei titoli detenuti dai dieci istituti scende a 180,5 milioni di euro.

Il mese successivo il mercato assiste al crollo delle quotazioni della Parmalat in seguito all’annuncio di un nuovo bond che risulta sgradito agli investitori. È il primo segnale del dissesto. E le banche che fanno? Continuano, imperterrite, a scaricare sui risparmiatori le obbligazioni in loro possesso.

Il 28 febbraio 2003 queste si riducono a 126 milioni di euro.

Le vendite proseguono ininterrottamente in marzo, aprile, maggio.

La Consob, in marzo, ha cominciato a martellare la società con richieste di informazioni, e le banche, in aprile, hanno già fiutato il marcio lavorando al piano salvataggio di Parmatour, la società turistica della famiglia Tanzi.

Non è dunque per caso che, al 30 giugno 2003, i loro portafogli di proprietà si sono ulteriormente alleggeriti di obbligazioni Parmalat, fino a raggiungere i 100mil di €.

Dimezzati.
In settembre “Il Sole” denuncia la storia del “bond fantasma”, l’obbligazione annunciata da Deutsche Bank il 13 e ritirata dal mercato nello stesso giorno: una cosa mai vista.

Da Parma arrivano scricchiolii sinistri. Ma le banche fanno finta di non sentirli e continuano a consigliare ai risparmiatori l’acquisto di nuove obbligazioni.

Il 30 settembre, nei loro portafogli, i bond si sono ridotti a 95mil €.

Tra ottobre e novembre il gruppo sta per franare.

Nel fondo Epicurum delle isole Cayman dovrebbero essere stati investiti centinaia di milioni liquidità, ma del denaro non v’è traccia.

Le banche, a rigor di logica, dovrebbero continuare a liberarsi dei bond. Invece, invertono la rotta: tornano ad acquistarli. Forse sperano di salvare Tanzi. Fatto sta che in ottobre, nei loro portafogli, i bond Parmalat arrivano a superare i 199 milioni di euro e in novembre registrano una flessione a 177 milioni.

Ad acquistare a mani basse è, in particolare, la Bpi di Gianpiero Fiorani (la ex Lodi)

Nel dicembre 2003 la Parmalat entra in un tunnel senza uscita.

Il 4 dicembre, Calisto e Stefano Tanzi vanno a Mediobanca nel tentativo di trovare una soluzione a un bond in scadenza l’8 al cui rimborso la società non è in grado di far fronte.

Mediobanca lancia l’allarme e il 6, a Roma, si svolge una riunione a cui partecipano da una parte i due Tanzi, padre e figlio, e dall’altra SanpaoloImi, Intesa e Capitalia, i principali creditori.

Tanzi avverte che in Parmalat c’è un ammanco di 9 miliardi.

In realtà il buco risulterà di circa 15 miliardi.

Eppure le banche non fanno una piega: continuano a vendere obbligazioni agli sportelli.

Il 17 dicembre si assiste al tracollo: Bank of Amercia informa il revisore Grant Thornthon dell’inesistenza del conto intestato alla Bonlat, su cui dovrebbero esservi all’incirca 4 mld € di lliquidità. È la fine per la combriccola di Collecchio. Ma la vendita dei bond non si arresta.

Dal 30 novembre al 31 dicembre ne vengono venduti, in totale, per altri 145mil €.

Nei portafogli delle banche rimarranno obbligazioni Parmalat per 31 milioni di euro: un’inezia.

La più svelta a vendere è la Popolare di Milano. (la socia di Banca Etica)

Essa raggiunge il massimo dell’anno nel novembre 2003, con oltre 10mil€ di bond in portafoglio. Un mese dopo s’è già liberata di tutto. Non meno lesto si rivela Fiorani.

Nel novembre 2003 la Bpi ha obbligazioni per 114,3mil€; in dicembre a fine dell’anno 18mil€.

Sanpaolo arriva a possedere, il 31 dic 2002, bond per un valore massimo di quasi 102mil€. Da lì comincia a piazzare i titoli ai risparmiatori in modo forsennato. E al momento del crack non gli restano che 126mila €. Unicredit, alla stessa data, ha bond per oltre 83mil€, e dopo 12 mesi di vendite agli sportelli resta con 4mil. Intesa, con 2 mil € da 28,5 del gen. 2000.

Ma le banche sono, per il Tribunale, risultate innocenti. Unico colpevole Tanzi

Se poi si volesse tenere conto che già sei anni prima della bancarotta una consulenza tecnica redatta nell’aprile ’97 da Mario Valla, un tranquillo ragioniere commercialista parmigiano per conto della Procura di Parma lanciava l’allarme sulla Parmalat, denunciandone il dissesto. “E’ da considerarsi fallita senza l’aiuto delle banche”. Qualcuno dovrebbe spiegare perché un semplice ragioniere commercialista ha capito molto di più di tanti, troppi, guru che giravano attorno a Parmalat e dentro le banche.

Un altro commercialista che forse sa qualcosa è il brianzolo GianGiacomo Corno del Cis di Valmadrera, compagno di destinazione di Tanzi verso l’Ecuador, l’ultimo viaggio fatto in fretta e furia dal patron di Parmalat poche ore prima di essere arrestato. Ma questa è un’altra storia

5 pensieri su “PARMALAT: VERITA’ SCREMATA (leggete anche il commento)”

  1. PER CHI HA ACQUISTATO AZIONI E BOND PARMALAT PRIMA DEL 19 DICEMBRE 2003… forse una speranza c’è——–

    https://www.parmalatsettlement.com/Default.aspx

    Se avete acquistato azioni o obbligazioni Parmalat prima del 19 dicembre 2003, potreste ottenere un risarcimento sulla base di un accordo transattivo parziale.

    Questo è il sito web approvato dal tribunale per la questione In re: Parmalat Securities Litigation – Accordo transattivo parziale della Class Action. Nel corso della Class Action statunitense, composta da investitori provenienti da Stati Uniti, Italia e da altri paesi del mondo, è stato raggiunto un accordo transattivo parziale. L’azione legale verte sui prezzi pagati per l’acquisto di titoli della Parmalat Finanziaria S.p.A. L’accordo transattivo stabilisce che gli Attori principali dovranno ricevere, per conto della Class action, 10.500.000 azioni della società Parmalat riorganizzata. L’accordo transattivo prevede inoltre che il consulente legale degli Attori principali possa richiedere una parcella che può raggiungere il 18,5% della transazione, più le spese. Il Tribunale del Distretto Sud di New York terrà un’udienza per decidere se approvare l’accordo transattivo nonché la richiesta per le spese legali ed altre spese. Se siete membri della Classe, potete presentare un modulo di richiesta di risarcimento oppure potete esercitare il diritto di esclusione o di obiezione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *