Si vede la prima carrozza del treno sbucare dalla curva di ghiaia, rotaie e alberi.
Ha la livrea verde e grigia, la scritta bianca Trenord, il muso piatto e non so se è in ritardo.
Sul ritardo di ieri.
Ieri questo serpente di latta e sudore mi han detto che è stato l’unico in tre ore a mettere il muso fuori dalla stazione.
Gli altri due si son fermati al palo o forse all’Expo.
Il treno avanza lento, normalmente lento, oppure velocissimo, la curva è fatta, il rettilineo è compiuto, il marciapiede della stazione è lambito. Mi son distratto, la frenata deve aver compresso le latte ammorbidite dal sole. Il Treno si è compattato. E’ lungo una sola carrozza.
Il serpente di latta è diventato un bruco. Son sparite due carrozze su tre.
Non i pendolari.
Sembrano di più. La carrozzina che mi si staglia davanti appena metto piede sul primo gradino credo che contenga un bimbo nato durante il viaggio. Il bimbo deve avere tre giorni, visto il ritardo; dal volto della mamma, ancora sudata e stravolta potrebbe essere un parto gemellare, ancora in corso. Quel bimbo ha almeno altre 60 mamme,a veder le facce.
36 posti a sedere per 115 persone.
I finestrini sono totalmente abbassati, la pelle di plastica dei sedili è baciata dal sole.
Sembra pongo. E pure chi ha avuto la sfortuna di sedersi. E’ una gara di altruismo…“prego si sieda”, “signora vuole accomodarsi?”, “Prima lei, ci mancherebbe, prima lei”.
Non entra un filo d’aria. Deve essere la velocità di crociera. O della croce.
Giungiamo alla prima fermata, ci si guarda.
Sembriamo tutti psicanalisti, ci capiamo al volo…
Il terrore sul volto corre più del treno: salirà mica qualcuno ancora, vero?
Le porte del treno, modello barbie, diventano celle e noi guardie penitenziarie e in penitenza.
Non sale nessuno, ma così, però, non scende nessuno.
Sembra una partita di rugby, schierati per placcaggi e mischie.
Ne scendono 18, ne salgono 9. Meta o metà, fa lo stesso, risultato raggiunto.
Non si sa se sarà così per il capolinea di ognuno di noi.
Due passeggeri dormono o forse son svenuti, si valuta se farli scendere con il metodo Scajola. A loro insaputa. Alla fine non abbiamo la forza, fisica.
Nuova fermata, in mezzo ai campi, se ci fosse l’interfono sentiremmo: “gentili clienti alla vostra destra un campo di frumento tipico prodotto per l’eccellenza italiana”, “alla vostra sinistra, alla vostra sinistra… ditecelo voi perché ci siamo persi”.
Con 12 minuti di ritardo giungiamo in stazione, la penultima prima di Lecco.
Abbiamo vicini di posto e di viaggio, malgrado non ci sia mossi, che non sembrano gli stessi della partenza. Certamente non lo siamo più noi.
Il controllore chiede il biglietto dal marciapiede della stazione. Giuro.
Ripartiamo. Il treno si muove, il macchinista c’è.
Ora siamo 105, uno di meno, il controllore.
Giungiamo a Lecco, dopo aver passato il carcere ma ancora dentro la nostra prigione.
Scendiamo.
Due turisti tedeschi, o olandesi, appena scesi anche loro, ripiegando una cartina e sfogliando un vocabolario pare vogliano informazioni.
Desistono. Chiudono cartina e vocabolario e, lentamente, ma comunque più della velocità tenuta dal treno, si limitano a guardarsi e a guardarci.
Sono un libro aperto, si può leggere chiaramente: “ma dove cazzo siamo finiti?”
Expo? Turismo? Medioevo.
“ll vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi” diceva Marcel Proust.
Non so se è tutto vero.
Sul fatto che bisogna avere occhi nuovi però siam concordi. Con questi treni non si han più occhi nemmeno per piangere.
Una societa’ italiana ed una giapponese decisero di sfidarsi annualmente in una gara di canoa, con equipaggio di otto uomini.
Entrambe le squadre si allenarono e quando arrivo’ il giorno della gara ciascuna squadra era al meglio della forma, ma i giapponesi vinsero con un vantaggio di oltre un chilometro.
Dopo la sconfitta il morale della squadra italiana era a terra. Il top management decise che si sarebbe dovuto vincere l’anno successivo e mise in piedi un gruppo di progetto per investigare il problema. Il gruppo di progetto scopri’ dopo molte analisi che i giapponesi avevano sette uomini ai remi e uno che comandava, mentre la squadra italiana aveva un uomo che remava e sette che comandavano.
In questa situazione di crisi il management dette una chiara prova di capacita’ gestionale: ingaggio’ immediatamente una societa’ di consulenza per investigare la struttura della squadra italiana. Dopo molti mesi di duro lavoro, gli esperti giunsero alla conclusione che nella squadra c’erano troppe persone a comandare e troppe poche a remare.
Con il supporto del rapporto degli esperti fu deciso di cambiare immediatamente la struttura della squadra. Ora ci sarebbero stati quattro comandanti, due supervisori dei comandanti, un capo dei supervisori e uno ai remi. Inoltre si introdusse una serie di punti per motivare il rematore: “Dobbiamo ampliare il suo ambito lavorativo e dargli piu’ responsabilita’”.
L’anno dopo i giapponesi vinsero con un vantaggio di due chilometri. La societa’ italiana licenzio’ immediatamente il rematore a causa degli scarsi risultati ottenuti sul lavoro, ma nonostante cio’ pago’ un bonus al gruppo di comando come ricompensa per il grande impegno che la squadra aveva dimostrato.
La societa’ di consulenza preparo’ una nuova analisi, dove si dimostro’ che era stata scelta la giusta tattica, che anche la motivazione era buona, ma che il materiale usato doveva essere migliorato.
Al momento la societa’ italiana e’ impegnata a progettare una nuova canoa.