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LA LEVATURA DI UN POLITICO SI MISURA ANCHE…

imageForse rubo del tempo, forse sono io che ho un metro di valutazione novecentesco,
fors’anche ottocentesco, forse ne faccio una questione di etica politica
ed invece la politica è l’arte del tutto è lecito, tutto è possibile,
non lo so proprio ma volevo chiedervi se non paion anche a voi di una gravità deontologica, politica e soprattutto civica le dichiarazioni del portavoce di Appello per Lecco, Corrado Valsecchi a commento delle nuove carte dell’inchiesta Metastasi – le sommarie informazioni rilasciate dal Sindaco di Lecco, Brivio e dal Consigliere Invernizzi ai Pm di Milano –  pubblicate dall’Ass.ne Qui Lecco Libera e poi da quasi tutta la stampa riprese con evidenza.

Sono dichiarazioni che denotano qualità politiche, valore civico e quindi condivisibili quelle espresse da un potenziale candidato Sindaco, dal portavoce di un partito che si candida a continuare a governare, quelle appunto che davanti ad una semplice informazione, o anche ad una denuncia di comportamenti contraddittori, imbarazzanti (non ricordo, non so, si adesso che me lo fate ricordare, lottare per la legalità e mangiare in una pizzeria sapendo che è “chiacchierata”..) questi ribatte con:
“Le elezioni sanciranno il finale di questa vicenda. Perché è chiaro che gli unici arbitri e giudici abilitati a emettere sentenze di condanna o assoluzione sono per le eventuali incongruenze etiche e politiche gli elettori”..?

Cioè è serio che uno perchè ha un ampio consenso deve essere immune da critiche, ritenga peggio le critiche illegittime e nemmeno da sollevare? Ritenga che nessuno, forte appunto del proprio consenso, gli debba chiedere conto? Anche se questo è una minoranza o, financo uno solo?

E quanto questa forma mentis – un po’ da petto in fuori – è pericolosa e condannabile per una qualità civica e politica?
Il voto lava ogni responsabilità civica?
Quanto è necessario e corretto misurare la levatura di un politico anche da queste affermazioni?

Grazie dell’attenzione

QUI UNA RISPOSTA DELL’EDITORIALISTA DI LECCOONLINE MARCO CALVETTI

COME I PIANGINA DELLA SPENDING REVIEW

imageAnche questa volta ci si scandalizza per il lato della notizia sbagliato. Quello che in 4 anni il Governo ha cancellato al Comune di Lecco il 70% dei trasferimenti.
Un’occasione ghiotta per la politica per tirare acqua al proprio mulino.
Sebbene destra e pd siano, a livello nazionale, complici della scelta.
Un dato, il 70%, da foglie di fico che parla alla pancia degli elettori. Vero ma poco utile. Per nulla completo. Infatti non si è spesa una riga sui giornali che alimentano lo scandalo, per dire quanti sono questi 7,6milioni, in 4anni, sul Bilancio dell’Ente.
Meno del 4%.
Ma soprattutto nemmeno una riga per dire quanto il Comune, con solo un po’ di lungimiranza o semplice ascolto, poteva risparmiare ed ha, invece, sprecato, in un solo anno.
Alcuni cittadini -ci sono articoli a testimoniarlo- avevano evidenziato come risparmiare, senza ridurre servizi o qualità per il cittadino, concretamente, quasi 2 milioni. In un solo anno. Ben 1/4, non monetine, di quanto non trasferito dallo Stato in 4anni.
Mensa, rifiuti, pannelli solari, gestione teatro, illuminazione pubblica, bike sharing ect. Solo per rinfrescare la memoria.
Ma è più facile indicare il lupo cattivo lontano da noi.
Come dei piangina della “spending review”.
Soprattutto in procinto di una campagna elettorale che deve nascondere fallimenti di azione e proposta. Sempre che non riteniamo la pulizia di due statue, il massimo che poteva fare la politica per le famiglie.
Due mesi fa non ha trovato altrettanto spazio un altro dato.
Quanto riescono i Comuni a far fronte autonomamente alle proprie necessità senza ricorrere ai trasferimenti dello Stato, della Regione e altri Enti pubblici? Lecco su 110 città è 81ª. Un disastro.
Sondrio 2ª, Como 24ª.
A pagare, comunque la si giri, restano i cittadini.
La politica è invece impegnata a far credere che sia solo tutta colpa della crisi.

WI-FI ROTTO E IL COMUNE CHE STA ZITTO

imageIn questi giorni si legge sulla stampa che il servizio wi-fi del Comune di Lecco, che permette in alcune piazze della città, seppur per un tempo contenuto, l’utilizzo di internet gratuitamente dal proprio telefono e tablet é, da mesi, fuori uso.
I mesi estivi, quando si é più in giro, quando i turisti sono maggiormente in città.
Una beffa. E una brutta figura.
Non che il servizio di wi-fi del Comune sia un servizio primario.
Abbiamo le biciclette pubbliche che serve ancora un indovino per poterle utilizzare comodamente, figuriamoci per il turista.
Abbiamo un servizio autobus che manco in Burundi, per parafrasare il signor G. di Gaber. Abbiamo strade che tra toppe raffazzonate, divieti di transito e impalcature che paion ormai istallazioni ottocentesche, sembra tutto un cantiere abbandonato.
Abbiamo le mostre a Palazzo delle Paure aperte ad agosto solo  il sabato…
Abbiamo tutta questa improvvisazione e disattenzione cosa vogliamo che sia il non funzionamento, seppure da mesi, di un collegamento internet wi-fi?
 
L’aspetto peggiore, che stranamente non é stato sottolineato, é però quello che il Comune e i suoi responsabili, non hanno sentito la necessità, il dovere, la correttezza di avvisare turisti e cittadini.
 
Dobbiamo credere al Sindaco Brivio che anche questa mancata trasparenza e comunicazione ai cittadini é colpa della burocrazia?
L’Assessore Campione alla macchinetta del caffè a margine di un consiglio comunale, un mese fa più o meno, l’aveva spudoratamente imputata al maltempo.
L’interruzione, non la burocrazia.
Per il rispetto del cittadino toccherà sperare nel bel tempo?

2 agosto 1980 h.10,25. Perchè i nomi sono volti, carne, storia

La storia ha tre protagonisti.

Si chiamano Carlo, Anna Maria e Luca.

Carlo e Anna Maria sono una giovane coppia di sposi, Luca è il loro bambino. Sono una famiglia normale, come ce ne sono tante in Brianza, che ad agosto, come ogni anno, va al mare. Carlo, Anna Maria e Luca salutano i genitori di lei, piccoli imprenditori locali, e partono con la loro macchina verso il luogo delle vacanze. Il caldo, le code, i caselli… Storie quotidiane che si ripetono ogni estate.

All’improvviso in autostrada la macchina si rompe. Non si può più proseguire. Carlo e Anna Maria decidono di tornare a casa, ma Luca insiste e alla fine scelgono di andarci in treno al mare.

La mattina del 2 agosto 1980 alle ore 10 25′ sono nella stazione di Bologna. Oggi i loro nomi sono scritti nella lapide di marmo che si trova nella sala d’aspetto di 2^ classe.

La storia non finisce qui, la storia aggiunge a quelle vittime altri nomi. Continua la lettura di 2 agosto 1980 h.10,25. Perchè i nomi sono volti, carne, storia

La mostra di Picasso (da veder) e le beghe di coalizione (da dimenticar)

pi casso

Evviva è diventata anche per il consigliere Venturini una notizia quella della sponsorizzazione del Casinò di Campione alla Mostra di Picasso, tutt’ora in corso.

Credo però che vadano fatti alcuni distinguo per evitare che sembrino, rimangano o diventino beghe di coalizione. Basta vedere la reazione scomposta dei rappresentanti di Appello per Lecco, evidentemente toccati sul vivo e con la coda di paglia. (chi di spada ferisce di spada perisce)

Io credo che sebbene sia – come detto – una mera bega di coalizione questo non vieti, per nulla, di dire che la critica è giusta.

Passi che finalmente c’è un po’ di cultura a Lecco – di qualsiasi livello personalmente la identifichiamo (perché si può dir tutto, ma non che questa non sia una delle poche possibilità che la città offre).

Però si può dire che è un peccato che a pagarla sia in parte il gioco d’azzardo, cioè lo Stato che lucra sulle dipendenze-patologie dei suoi cittadini?

Si può dire che però è un peccato che questa sponsorizzazione sia giustificata da Appello per Lecco con puerili scuse, dopo le loro parole di contrarietà al gioco d’azzardo? (parole perché nei fatti hanno pure votato un regolamento comunale a favore dell’ampliamento).

Si può dire però che non è vero, poi, che questa sponsorizzazione ha permesso di non far sborsare soldi al Comune?

Non è vero perché c’è una Delibera di Giunta – la nr.201 del 16.12.2013 – che dice il contrario.

E poi perché piuttosto non far pagare un importo (quasi simbolico) al visitatore, in fondo è o no Picasso?

Ma il consigliere Venturini evidenzia un ulteriore problema non secondario. Quello che se c’è un Regolamento che vieta sponsorizzazioni del gioco d’azzardo non è che lo si aggira facendo fatturare al Gallerista (ammesso che sia così)….

Per essere però propositivi: miglioriamolo questo Regolamento.

1) Il Comune non dia Patrocinio, locali ect. ad iniziative con questi e quest’altri sponsor.

2) Le voci di Bilancio di un’iniziativa pubblico-privata siano di accesso pubblico (ove possibile prima dell’evento e di facile reperimento)

3) Sia reso pubblico, in tempi chiari e certi – al termine di un’iniziativa patrocinata/sostenuta dal Comune – il Bilancio definitivo. E se c’è stato un utile – parte o tutto di questo – stabilito precedentemente in maniera chiara, che sia restituito al Comune che ha contribuito economicamente.

 

Mi spiego. Se un festival, per esempio, alla Piccola riceve un contributo di 4000 euro dal Comune e dovesse fare migliaia di euro di utile ecco quei 4000euri li deve restituire al Comune.

Ma questo è un altro discorso, più ampio ma prima o poi da fare. Magari appena finita la Mostra di Picasso (da vedere) e prima della prossima misera bega di coalizione (sa dimenticare).

 

RENZI E’ MORTO, EVVIVA RENZI

BIANIAldo tornò a casa alla solita ora. L’apertura e la chiusura del garage, la ricerca delle chiavi di casa in tasca, la chiamata dell’ascensore. Gesto compiuti mille volte, movimenti automatici che non richiedevano alla mente alcuna attenzione, lasciandola libera di ripensare alla giornata appena trascorsa al lavoro. Una giornata uguale alle altre, forse più uguale delle altre. Troppo uguale.

E anche questa coazione a ripetersi, ad autocitarsi, era un ulteriore sintomo. Un segno della monotonia della sua vita, una vita grigia (il grigio è la mescolanza del bianco col nero).
Eppure viveva, come tutti, in un mondo colorato. Tutto era a colori: accendevi la tv ed ecco i colori sgargianti delle pubblicità. Accendevi il computer, entravi sul web, e pure lì, immagini coloratissime. Potevi cambiare canale, cliccare su mille siti, ma il mondo a colori era sempre lì, non cambiava mai, non riuscivi a liberartene. Qualcosa di opprimente, obbligatorio. Come uscirne, come evadere?

Stava quasi per abbandonare, rassegnato, lo zapping forsennato quando capitò su un canale sconosciuto, che trasmetteva una vecchia commedia anni ’60. Con Gassman. In bianco e nero.

Ne fu rapito. Si lasciò trasportare dalla magistrale interpretazione del protagonista, dalla trama a tratti imprevedibile, dimenticò per due ore il suo lavoro, il mondo, quel pastone colorato pieno di pubblicità, dimenticò il suo ruolo sociale. Una sensazione liberatoria, di riconciliazione con la vita vera.

Al termine del film sentiva di aver maturato una nuova consapevolezza di sé, self awareness spiegherebbe una certa scuola di psicologia.

All’interno del film aveva individuato una furbata ingenua, un’innocente marchetta se raffrontata con le mascalzonate dei tempi nostri.

Una pubblicità poco subliminale del Martini, il cui logo stava in bella mostra su un posacenere al bar, inquadrato insistentemente. Pertanto, pienamente consapevole e padrone delle proprie azioni, si versò un Martini dry ghiacciato per proseguire la serata. Diede una scorsa a quel nuovo quotidiano, colorato ça va sans dire, in carta salmonata, come l’organo ufficiale dei padroni. Tuttavia questo aveva velleità progressiste.

Aldo lesse la prima pagina e imparò che il bianco e nero non va bene, fa vintage, almeno così spiegava il corsivista. Cercò sul web il testo del volantino incriminato, ma non c’era, almeno, Aldo non lo trovò. Il motore di ricerca lo indirizzava ai testi di una cantante israeliana. Andò anche sul blog del corsivista, Robecchi, che l’altra volta era stato prezioso nel riportare la fonte del casus Sallusti/Betulla. Ma stavolta niente link.

Aldo pensò che se si trattava di una cazzata avrebbero dovuto divulgarlo per ridicolizzarli, ma se era una cosa seria avevano fatto bene a nasconderlo.

Tornò al giornale e andò alle pagine interne ed apprese che l’amichetto su alla City, finanziatore di Renzi, si dichiarava favorevole a tassare maggiormente le rendite finanziarie, pertanto si poteva ben concludere, benché in forma interrogativa, che i finanzieri (non nel senso di fiamme gialle) fossero l’ultimo baluardo della sinistra in questo Paese.

Sai che novità, persino Buffett e Soros erano favorevoli alle patrimoniali; i soldi servono a pagare i servizi, sia sotto forma di pizzo alla malavita che di patrimoniale ai poveracci.

Va bene tutto pur di proseguire a fare gli affaracci loro. Queste le malevoli impressioni di Aldo, ma forse era solo il Martini che iniziava ad entrare in circolo.

Per mettersi alla prova, dura prova in verità, Aldo decise di sintonizzarsi su Sanremo. Trionfo di colori, con prevalenze di toni in blu. Tuttavia, benché parzialmente anestetizzato dall’alcol, non resse più di mezz’ora. Il tempo di osservare seduti lì in platea, non capì bene a che titolo, alcuni personaggi che aveva sempre stimato, fino a quel momento: Virzì, Orlando, Jannacci, Tanica, Nove…. Tu quoque Nove, pensò Aldo.

Il pastone colorato aveva fagocitato anche loro. Li pagavano? Avevano bisogno di soldi? O forse erano entrati al festival come dentro a un cavallo di Troia, per poi educare le masse da par loro. Nell’anteprima Pif aveva tentato qualcosa del genere, intervistando il presenzialista Cocco, di quelli che fanno ciao con la manina, facendogli dire la verità. Che l’imprenditore non lavora, sono gli operai che lavorano per lui. Un Elkann in sedicesimo.

Aldo cambiò dunque canale, riprese lo zapping forsennato alla ricerca del bianco e nero, ma niente. Solo notizie a colori del nuovo governo. Napolitano che parlava di “tinte forti”, si riferiva a Caravaggio? mah… Aldo ormai si stava assopendo davanti alla tv, solo un ultimo sussulto, quando sentì il nuovo premier parlare di Rischiatutto, ecco forse quello era in bianco e nero… ma no, niente, aveva capito male.

Non restava che aspettare i trenta giorni, quando il Paese avrebbe dato di testa (cit.)

Massimo Pococurante Bagnato