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UNA CITTA’ PER MANZONI: una riappropriazione popolare per creare legami e Comunità

promessi sposiLa raffinata sala del Ristorante Promessi Sposi di Malgrate strabordante di spettatori come un tempo gli agoni sulle reti in Piazzetta Era, ha ieri fatto da raffinato e garbato palcoscenico ad una piacevolissima serata di cultura e comunità proposta all’interno della ricca rassegna ‘LeccoCittà dei Promessi Sposi’ che ha preso il via già settimana scorsa con il prestigioso incontro di studio che ha dato vita alla prima edizione del Festival della Lingua Italiana, in collaborazione con Treccani Cultura.
Ieri sera protagonista è stata invece una popolare ma per nulla banale ne banalizzata lettura di quadri dei Promessi Sposi, affrontata con l’entusiasmo di lettori e lettrici amatoriali – è composto infatti da volontari pensionati il Gruppo Promessi Sposi in Circolo – che, dentro volutamente non occultate imperfezioni, ha permesso di far emergere in modo spontaneo e comunicativo il valore del riconnettere il nostro Romanzo con i cittadini, con i luoghi, con l’atmosfera.
Una riappropriazione che non è stata un furto ma ridistribuzione. Di bellezza, di cultura, di Storia. La nostra storia.
Sta infatti qui, a mio parere, uno dei valori, uno dei meriti, non di poco conto, del Gruppo di Lettura ‘Promessi Sposi in Circolo” che, da tempo e con la giuda appassionata e competente di Bruno Biagi. Quello di portare il Romanzo dentro la Città (continue e apprezzate le letture allo Spazio Giglio di Pescarenico, all’Airoldi e Muzzi, nei Rifugi di Montagna e ora, appunto qui in questo raffinato ed elegante luogo non solo di ristorazione e turismo).
Una lettura che ha permesso senza pomposità, la(ri)scoperta di alcuni tra i brani più significativi del Romanzo lecchese e italiano per antonomasia.
Ieri sono stati infatti letti tre brani dal I e XVIIICap. (l’incontro di Don Abbondio con i Bravi; il dialogo tra lui e la Perpetua dopo questo incontro; e la Notte degli imbrogli con Tonio, Gervaso, Renzo e Lucia in casa dallo stesso Don Abbondio).
Un successo, un’emozione e la bellezza dentro la semplicità coinvolgente di un’iniziativa popolare pienamente riuscita.
Questa edizione de ‘Lecco Città dei Promessi Sposi’, ha un pregio infinito di semina e risultati.
Favorisce la partecipazione, la conoscenza e la valorizzazione di Lecco, delle sue bellezze e della sua Memoria.
L’obiettivo forse implicito di queste letture e del Programma generale della Rassegna, a me par essere soprattutto quello di voler creare legami, includere e di pensare alla crescita della Comunità.
Serate come quella di ieri e l’ampio e volutamente eterogeneo percorso della Rassegna servono a mio parere infatti a combattere la disuguaglianza e, nello stesso tempo, accrescere i saperi.
A riequilibrare le carte fra chi ha e chi non ha avuto il privilegio di studiare e studiare il Manzoni e, nello stesso tempo, permettere di approfondire, confrontarsi stimolando la voglia e la curiosità di conoscere.
Una riprova la si ha consultando tutto il Programma al sito dedicato www.leccocittadeipromessisposi.it
Io, a margine, mi permetto suggerire due appuntamenti. Quello di domani, Domenica, alle 16.15 a Vercurago al santuario di san Gerolamo, ore 16.15: Luoghi da vivere: inaugrazione dell’allestimento del percorso espositivo “La Rocca dell’Innominato tra paesaggio, storia e letteratura” in collaborazione con i padri Somaschi.
E lo spettacolo teatrale di Venerdì prossimo 27 ottobre, al Cenacolo Farncescano, ore 21 “Una città per Manzoni: renzo e Lucia, Promessi Sposi. Mistero della Giustizia e della Provvidenza”.

“DET” ALIPPI: UNA MONTAGNA DI VITA

detalippiE ti ritrovi li dentro Palazzo delle Paure perché la tua Amica Artista, Luisa Rota Sperti, ti ha chiesto di esserci oggi, il giorno che dona alla città e quindi ai cittadini, una sua Opera. 
Il frutto del suo talento, che riesce a declinare, con tratti leggeri di matita, in forza della natura.
Un dare natura alla natura.
L’occasione, la presentazione del libro “il grande Det” Giuseppe Alippi alpinista e contadino: una storia italiana”, sulla  sua vita e la libertà voluta e lottata, scritto da Giovanni Capra.
La Sala è così piena di così tanta gente che molti si son dovuti fermare sulle scale.

E lì, dopo le parole come corde a cui legarsi di Alberto Pirovano presidente del Cai Lecco sez. Cassin e quelle molto più di un semplice benvenuto di circostanza dell’Assessore alla Cultura, Simona Piazza, ricche invece di impegno civico, attenzione alla città, un puzzle per crescere assieme in un  riattivato impegno dei cittadini, questo alpinista contadino racconta di tanta bellezza che si fa man mano sempre più grande, maestosa come le pareti delle sue montagne.

Ed è così maestosa perché è raccontata e, si capisce, vissuta, con modestia. Come fosse così naturale fare quello che ha fatto lui.

Una montagna di ricordi, ironia, famiglia. Caccia, corde, fucili. Dialetto. Patagonia, Grignetta. Compagni di vita.
E tanta, tanta, tanta passione.
E tu ascolti, e pur essendo palesemente l’unico a occhio li dentro che non sa nulla di cime, corde, vie e pochissimo dei nomi di alpinisti con cui il Det ha diviso giornate, mito e vita, ti senti, seppur inadeguato, con lo zaino in spalla e dentro i racconti.
E ti senti della famiglia.
Tu che non hai mai salito una montagna
Dentro quei racconti che sta facendo, mischiando battute in dialetto e poesia di colori per descrivere la Patagonia e le sue montagne qui intorno. E lo senti parlare della fatica della vita, della libertà che è faticosa e costa prezzi alti.

E tutta questa vita avvolge ognuno dei 200 dentro la sala.

Perché il Det e la sua notorietà non han nulla a che fare col motivo dei soldi, ma con una questione più sottile chiamata: dignità. 

Dignità da persona semplice. Da persona di una volta che insegna a esserlo più facilmente a chi lo conosce a chi ha la fortuna di sentirlo raccoltare.

Perché lui, come Alberto Pirovano e l’assessore Simona Piazza, parlano di montagna ma è chiaramente da leggere vita.

Il Det parla di scalate, successo, vie nuove, lui che è il capocordata fin da sempre, ma non si gonfia il petto di meriti e tantomeno di medaglie; perché per lui lì, su ogni montagna che ha scalato con gli amici di una vita, non c’è il mio bene davanti al tuo, ma il mio bene più il tuo, ovvero il nostro.

Che bella la gente di montagna.
Questa montagna che è una vita interadet

BANDA OSIRIS A LECCO: l’arte di carnevali medioevali e moderna improvvisazione

teatroDomenica 5 marzo al Teatro della Società, alle 16, lo spettacolo della Banda Osiris “Le dolenti note”, turbinio di gag e musica d’eccellenza, aprirà il Trittico di appuntamenti “Musica in Scena”, promossi, da qui a aprile, dall’Amministrazione Comunale.

Questo primo appuntamento con la famosa Banda Osiris, da non perdere per qualità dei musicisti e divertimento prendendo spunto dal loro omonimo libro, è un percorso musical-teatrale ai confini della realtà.
Un inno all’amore per la musica, fatta di dedizione, coinvolgimento, fatica e arte.
Il pubblico, che ha già quasi riempito il Teatro con la prevendita online – a prescindere dall’età e dalla professione – si divertirà con tutti i tipi di musica che sul placo troveranno strada, suono e coinvolgimento. Beatles, Beethoven, Fred Buscaglione, musica classica e world music, Mozart e Carosone, Quartetto Cetra, Bob Dylan e molto altro, nell’originale eccellenza della Banda Osiris.

Quindi musicisti di tutto il mondo, aspiranti tali, cantanti e strimpellatori, fruitori di concerti, ascoltatori di cd e LP, genitori di giovani violinisti, cantanti sotto la doccia, cultori di Dante e dei cori di Montagna, questo spettacolo non si può perdere.

Cambierete idea sulla professione di musicisti ma diventerete amanti o amici premurosi della Musica.

La Bando Osiris infatti vi metterà in guardia da questa professione, l’ingloriosa, faticosa, pericolosa, spaventosa carriera del musico. In poche parole: diventate musicisti solo se non conoscete un altro modo per guadagnarvi da vivere.

Quindi domenica a Teatro, musica e movimento, in un pomeriggio circondati e avvolti da sax soprani, trombe basso tuba e note dolenti di quattro splendidi cantastorie, immotivatamente in smoking e vi troverete a muovere i piedi dalle vostre poltrone a danzare dentro i vostri palchi di stucchi, sotto gli occhi benevoli e un poco ammaccati delle donne di Orlando Sora che, dalla volta affrescata e bellissima del Teatro, si animeranno in un fantabosco. Cultura popolare, musica di eccezionale fattura ed esecuzione, comicità e arte di carnevali medioevali e moderna improvvisazione.

Il Trittico proseguirà poi
Domenica 26 marzo alle 21 toccherà poi al concerto elegante, raffinato e coinvolgente di Tosca in un “racconto in musica” dal fado portoghese alla ninna nanna russa, dal canto sciamano a quelli Yiddish, con le parole dei grandi Poeti del Mondo
E per chiudere  domenica 9 aprile, sempre alle 21 con Sirya e il suo Teatro canzone “BELLISSIME Voci di donne. Racconti di canzoni”. Con i brani delle eccellenze al femminile della nostra scena, dagli anni ‘50 ai giorni nostri.

CAMBIARE PUNTO DI VISTA: quando la violenza contro le donne non la leggiamo nemmeno

teatro-esterno-doppIeri sera, all’interno delle numerose iniziative lecchesi per la sensibilizzazione contro la violenza sulle donne organizzate dal Fondo Carla Zanetti e dal Comune di Lecco – che continuano con la bella Mostra “Donna Arte” fino al 4 dicembre in Torre Viscontea – è andato in scena, in un gremitissimo Teatro delle Società, uno splendido racconto di Teatro civile.
“Doppio Taglio-come i media raccontano la violenza”. Sul palco l’attrice e autrice Marina Senesi in un esercizio disvelatore di come la stampa affronta la tematica della violenza contro le donne.

Con le immagini che scorrono parallele al racconto, scopriamo – spesso pur avendole già lette e non avendolo notato, ahimè, e sta qui tutta la gravità, quello che fa male, dovrebbe far male, far riflettere, lo spettatore – che la cronaca raramente si sottrae alla regola di una tradizione letteraria volta ad alleggerire la responsabilità dell’aggressore se si ritiene che la donna abbia varcato i confini imposti al suo genere.

Sul palco, infatti, viene decostruito l’impianto lessicale e iconografico dei molti, troppi articoli di giornale che fanno doppia violenza alla donna, mostrandone il taglio, ormai quotidiano, normale, sempre uguale, di quella modalità comunicativa che non è mai neutra.

Perché dove le violenze vengono derubricate attraverso stereotipi e luoghi comuni, che le classificano come raptus, gelosia, amore malato.
Che vengono distorte al punto tale da trasformare l’uomo, responsabile della violenza, nella vittima della situazione, e la donna in colei che in qualche modo se l’è cercata, è anche involontariamente un modo per costruire, legittimare, un appiglio per una giustificazione, un’attenuante.

Perché le parole, appunto, non sono neutre.

I mass media, man mano che lo spettacolo prosegue, si evidenzia come ci propongono immagini e racconti che rappresentano le donne dalla stessa visuale dei loro carnefici.

Perché se in un articolo si racconta la violenza subita da una donna sottolineando come era vestita o poco carina con il marito, se si insinua che, in fondo, se l’ècercata, se si parla di delitto passionale, se si umanizza l’uomo che si sfoga sulla moglie, nella cui vita si scava morbosamente per individuare aspetti che in qualche modo giustifichino la violenza perpetrata, è replicare nuovamente violenza ma anche nasconderla .
Perché, anche se involontariamente, costruisce, legittima, un appiglio per una giustificazione, un’attenuante. Un “se l’è cercata”.

Perché le parole, appunto, non sono neutre.

L’attrice si chiede, e ci chiede: “Una donna che si vede socialmente rappresentata così è incentivata alla denuncia? Perché mai dovrebbe fidarsi se sa che noi non stiamo dalla sua parte?”

Il risultato è di derubricare la violenza contro le donne a un fatto di costume e rinunciando a capire un fenomeno sociale dalla natura estremamente complessa. Il femminicidio è un fatto politico e culturale che riguarda i rapporti diseguali di potere fra uomini e donne. La violenza, e la violenza contro le donne in particolare, interpella il modo in cui ogni giorno siamo uomini e donne.
Interpella i nostri stereotipi, la nostra capacità di gestire il conflitto.
Cose che non si cambiano dall’oggi al domani, ma che almeno si possono iniziare a raccontare in modo diverso.

E “Doppio taglio” di ieri sera, ha provato a farlo, lo ha fatto.
Perché ci ha chiesto di “Cambiare punto divista”.

Perché sta lì, nel filo rosso dei rapporti diseguali di potere fra uomini e donne, il punto.  E i diversi modi di esercitare questo potere e questa violenza.  E’ nella quotidianità del nemmeno accorgersi di questa violenza, fisica e psicologica,che si annida la banalità del male. È dentro le parole d’uso comune,  veicolate dai mass media,  dalla ripetitività delle parole violente che perdono, solo apparentemente, la gravità, come lo è, invece, la violenza sminuita, banalizzata, non riconosciuta, il punto.
È una questione di linguaggio. E una questione culturale.
Perché le parole, appunto, non sono neutre.

E quel filo rosso, la vera causa di ogni femminicidio, non è che la libertà. Ci sono uomini che non perdonano la libertà di una donna di essere quella che vuole essere, la libertà di essere responsabile della sua vita.

E lo spettacolo chiude con un efficace volantino.
Un uomo colorato di azzurro consullo sfondo un castello fatato, un principe azzurro, che rivolto, in primopiano, verso ognuno di noi, sta alzando un pugno per picchiare.
Picchiare la donna e ognuno di noi.
E la domanda stampata grande che ci chiede: “ E’ il tuo principe azzurro?”
Una domanda rivolta alle donne ma, con evidenza, rivolta anche ad ognuno di noi.
“Vogliamo essere quel principe azzurro?” “Vogliamo giustificare quel principe azzurro?   

LETTI PER VOI (recensioni a perdere) 12

Il pubblico ha un’insaziabile curiosità di conoscere tutto, tranne ciò che vale la pena conoscere” O. Wilde

In questo massimamente bagnato week end ho letto Binario morto (A. De Benedetti, L. Rastello, chiarelettere, 2013).

Un bel reportage scritto con avvincente stile non si sa da chi (nel senso che non si riesce a distinguere quale mano verga i passaggi più intriganti dal punto di vista narrativo e dunque quale dei due autori merita di essere seguito nelle sue opere future, e precedenti: nel dubbio, entrambi).

L’ho letto un po’ disturbato dal rombo della Ferrari che il mio vicino di casa aveva appena ritirato dal concessionario. Era rimasta bloccata sulla rampa di accesso ai box poiché, essendo molto bassa, toccava col muso alla fine della discesa; d’altra parte  non riusciva nemmeno a risalire in retromarcia in quanto in cima strisciava sotto. Cosa c’entra questo col Tav? Non c’entra ma c’entra.

Il libro narra di un viaggio, direzione ovest est, lungo il fantomatico ‘corridoio 5′, quello che dovrebbe (avrebbe dovuto, leggendo si capirà che trattasi di utopia, anzi distopia) collegare per via ferroviaria veloce, molto veloce, l’Atlantico agli Urali (vabbè, un po’ prima: Kiev). I viaggiatori (un pacchetto di caffè e due scrittori) sono il prototipo di merci e passeggeri che, nelle intenzioni dei nostri politici, attraverseranno il continente dando slancio e impulso all’economia europea nei decenni a venire.

In realtà, già dalle prime battute del testo, si capisce che la tratta non partirà dal Portogallo (che è senza fondi, è la P di piigs) ma dal sud della Spagna (che sarebbe la S…). Impariamo la differenza fra alta velocità e velocità alta, impariamo che gli spagnoli dovranno inserire una terza rotaia fra le tradizionali due. Che mentre negli Usa la velocità ottimale per le merci è considerata 70 km/h, qui far viaggiare merci ad ‘alta velocità’ è come accelerare il viaggio in autostrada per poi ritardarlo durante la lunga coda al casello, stante la carenza di investimenti in snodi intermodali, in terminal attrezzati. Che il 50% dei tir in circolazione trasporta aria. Che a Torino si rischia di avvelenare la falda acquifera potabile. Che Vicenza rappresenta un baluardo inespugnabile. Che a est di Trieste non c’e più il treno per la Slovenia, si scende e si va in corriera (e le merci?). Che i paesi est europei privilegiano l’asse nord sud. Che questo progetto datato anni ’90 si basava su previsioni di incrementi del pil e dei flussi commerciali che, oggi lo sappiamo, erano decisamente sballate.

Questo racconto ci offre una visione dall’alto della questione Tav, una visione d’insieme che stride con le cronache nostrane concentrate a mostrare l’ineluttabilità del famigerato tratto Torino-Lione, senza il quale saremmo “tagliati fuori”. Ma fuori da che cosa?! Leggete il libro e vi renderete conto della ridicolaggine di tale affermazione. Esistono dei limiti fisici, geografici, economici, umani che sono più potenti dei folli sogni di grandezza del potere, più risolutivi delle chiacchiere da bar, delle opinioni superficiali formate grazie all’opera del circuito massmediatico asservito a ben noti interessi.

Sorge allora la domanda: perché insistere su questa ‘grande opera’ se l’evidenza dei numeri, il parere dei tecnici, l’elementare buonsenso dicono che è controproducente? La risposta risiede in una visione di corto periodo, di cortissimo respiro: per dare ossigeno per 4/5 anni alle imprese che si sono aggiudicate l’appalto. Capito? La militarizzazione di cantieri fantasma (dove si fa solo ammuina), la scia di sangue e bombe e misteri (immancabili in Italia) che si allunga dal ’97 ad oggi in val di Susa, i fiumi di inchiostro e le ore di sproloqui in tv spesi per convincere le classi dominate della bontà delle idee delle classi dominanti, per tratteggiare il ‘paradiso per i nipoti a fronte dell’inferno per i nonni’ (significativo l’accenno storico dell’esperienza staliniana in Ucraina) tutto questo per far traccheggiare ancora un po’ qualche impresa ‘amica’, per fornire un caritatevole momendol al tessuto economico locale.

Se proprio dobbiamo darglieli, diamoglieli sti fondi, keynesianamente,  ma senza fargli fare buchi nelle montagne, senza sollevare polveri di amianto. Diamoglieli e basta, gratis et amore dei (non dico di dirottare i fondi per un update della rete regionale usufruita dai pendolari: sarebbe troppo ragionevole).

Dopo un paio di orette di ridicoli tentativi e di rumorose strisciate (stryiiiit), il pirla della Ferrari è riuscito a disincagliarsi, anche grazie all’aiuto di altri vicini (io ho continuato bellamente a leggermi il libro, sbirciando ogni tanto dalla finestra) che sono accorsi con assi di legno per agevolare l’impresa. Pare che dovrà rassegnarsi a non parcheggiarla in garage e a lasciarla tutte le notti in strada. Casi suoi.

IL RULLO CONFESSORE a Lecco il 10 dicembre – da non perdere –

Dopo il successo della proiezione del film “Hunger”, lo scorso lunedì 3 dicembre in sala Don Ticozzi, Qui Lecco Libera torna sul tema della tortura con un nuovo appuntamento nella sala di via Ongania.

“Togliere dall’oblio un pezzo di storia d’Italia è doveroso – spiegano dall’associazione – Doveroso soprattutto nel giorno del 64° anniversario della Dichiarazione universale dei Diritti umani dell’Onu. Perché la realtà dei fatti non va temuta, va ricostruita e raccontata. Ciò che succede oggi nelle carceri libiche, irachene o di Guantanamo ai danni dei detenuti è successo 30 anni fa anche in Italia. Documentato e scritto nel 1982 e poi dimenticato per troppe ragioni”.

“E’ doveroso riparlarne, con serietà e competenza. Prima di tutto per provare ad interrogarsi circa il principio per cui, data la logica di “guerra allo Stato”, tutto in fondo fosse permesso. Eppure tra i Diritti universali, l’Onu ha compreso il principio che nessuna situazione d’eccezione può far derogare dal divieto assoluto di ricorrere alla tortura. Nonostante questo – concludono – da decenni, in Italia non si riesce ad introdurre la specifica fattispecie di reato”.

“Il rullo confessore” è il titolo della serata che si svolgerà in Sala Ticozzi il 10 dicembre alle ore 21 e che affronterà la delicata tematica insieme a personalità competenti; interverranno:

il professor Mauro Palma, sino al marzo 2011 è stato Presidente del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura;

Il giornalista Pier Vittorio Buffa, autore dell’inchiesta per l’Espresso “In Italia c’è la tortura?” sulle violenze perpetrate dalla polizia durante gli interrogatori e che gli costò il carcere;

Sergio Segio, direttore dell’Associazione SocietàINformazione Onlus e nel direttivo nazionale dell’associazione Nessuno tocchi Caino e collaboratore dell’Associazione A buon diritto;

Cecco Bellosi, tra i soci fondatori della LILA (la Lega italiana per la lotta all’Aids) attualmente coordinatore della Comunità Il Gabbiano.