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EX LEUCI: LA GRATUITA CRITICA AL SINDACO E LE LACUNE DEL COMITATO

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Posso rimaner sconcertato dall’ennesima lettera fotocopia del Comitato CittadellaLuce indirizzata al Sindaco Brivio?

Gli estensori imputano al Sindaco una lacuna che, a me, con tutta evidenza, pare proprio non esserci. Credo sia, anzi, tutta loro, a monte, la lacuna.

Ossia trovo gratuito chiedere quelle risposte al Sindaco, ulteriori sostegni concreti dopo che lo stesso ha preso in mano la questione amianto (date, documenti e richieste di inizio lavori per la bonifica, dimostrano che tutto è partito ben prima della manifestazione di sabato, usata da qualche assessore e altri per farsi campagna elettorale, e così i tavoli di lavoro Brivio li ha convocati).

Eppure il Comitato scrive: “l’ingrediente imprescindibile è quello della volontà politica di assumersi il ruolo di motore-volano che possa poi trascinare le altre componenti del cosiddetto Sistema Lecco, a partire dalle Associazioni Imprenditoriali”; quando è proprio il Progetto CittàdellaLuce ad essere così aleatorio, mero esercizio accademico che proprio la concretezza è il suo primo ingrediente lacunoso, anzi che manca proprio.

E prima era quello dei cosmetici, e ancora prima quello di un hub per diverse ipotetiche startup innovative, con 60/80 aziende, 20 centri ricerca integrati, 50-100 ricercatori a regime, e, prima di ancora prima, quella di una macchina taglia laser in fibra, e prima di prima di ancora prima, quello dei Pali d’illuminazione autopulenti. Che si fatica a stargli dietro.

Non ci sono imprenditori. Non ci sono abbastanza soldi per iniziare. Anzi non ce ne sono per nulla. Sono 27 associazioni e realtà del territorio ma i soldi devono metterceli gli altri. Il rischio di impresa è in capo a tutti gli altri cittadini, Enti e vattelapesca. C’è solo l’area (in realtà manco quella) come in Provincia ce ne sono da tirartele dietro. A Lecco forse 500.000 metri quadrati.

Non è il caso di dire, a malincuore ma onestamente, che prima di pretendere e cercare risposte, soldi e portatori d’acqua fuori dal Comitato bisognerebbe cercarli nel Comitato?

È onesto dire che i soldi pubblici che si dovrebbero investire lì, in quell’area privata per arricchire chi si è già dimostrato in realtà più speculatore che imprenditore, verrebbero sottratti ad altro? Possiamo almeno chiederci cosa ci si potrebbe fare d’altro con quei soldi a beneficio della città? Possiamo dire che bussare al Sindaco o a un altro Ente è l’ultima delle porte e non la prima?Qual è il Piano industriale, un Progetto concreto economico e finanziario, un reale orizzonte di concretezza e verità?

E invece fa figo, è facile criticare il pubblico, crea consenso, si scrivono lettere fotocopia dove si alternano “si potrebbe” “la città merita”, “sistema Lecco” “Paradigmaticità della nostra vicenda” “laboratorio di idee”….Da anni.

E Siamo ancora qui. Dentro capannoni dismessi della Leuci di 80 anni fa che paion l’unica area dismessa di tutta la Padania ed invece così non è.

Ma se non partono lì dentro i progetti, questi non possano partire altrove?

Buttare la croce sul Sindaco oggi mi pare più l’ennesimo trucco per spostare l’attenzione su un ricetta che non c’è. Non c’è mai stata. E farsi un po’ di pubblicità, alcuni pure elettorale. Perché come cittadino ti accorgi che non sai nulla. Non si sa nulla. Nulla di quello che servirebbe sapere. In tutti questi anni nulla di più della forma. Precaria pure quella.

Il Piano economico di sostenibilità di un’azienda, di una potenziale start-up, di quell’economia circolare usata come mantra, sono ben più di un’idea di progetto…sono le fondamenta della fattibilità. Io, ma credo nessuno al di fuori degli attori più stretti ora in campo, l’han visto. (non che dovevo vederlo, sia chiaro) però giusto per esprime una solidarietà non di maniera.

Se fosse stato pubblico e in continuo progress intendo era più bello, più partecipato, più sostenibile. Viva la trasparenza, viva la partecipazione però zero strumenti di comunicazione, che non siano lettere fotocopia. Un sito internet con progetti, proposte, comunicati, archivio ecc. nulla. Ed ora gridano alle istituzioni. Basta, basta chiedere agli altri di compensare le proprie lacune. Rimboccatevi le maniche, siate voi il cambiamento che volete vedere solo negli altri.

I PRIVATI PER LA CITTÀ FUORI CLASSIFICA

sfinge-copertinaNon credo alle classifiche come fossero oro colato
Ne quando lodano, ne quando lordano.
Tantomeno a chi le stiracchia per lodare o per lordare.
I parametri, i criteri, il peso e le voci scelte, oltre che la modalità di formazione dei dati raccolti, la non valutazione dell’aspetto qualitativo ma solo quantitativo, è più esercizio teorico e accademico, utile nella pratica più per far parlare e vendere il giornale che le pubblica che per dare reali e costruttive letture della realtà.
Pensate a quelle sulle Banche che erano bellissime e solidissime e poi invece son fallite alcune anche nello spazio di una notte (la Leman Brothers per fare un nome).

Detto ciò un dato possiamo utilizzare per ragionare dopo queste recenti classifiche sulla qualità della vita nel nostro territorio.
Dato però che, molto stranamente, è stato da tutti liquidato come una carenza pubblica.
Quello sul tempo libero e la cultura.

Con evidenza oggettiva e preoccupante, non ultima proprio perché ignorata,  é invece quella, che la vera carenza è quella che non esiste più, nel nostro territorio, una classe imprenditoriale e di iniziativa privata in grado e che sappia investire oltre lo sguardo del manifatturiero e del fil de fer, tantomeno capace di un lungimirante e civico mecenatismo verso la propria comunità.
Il rischio di impresa oggi è narcotizzato dentro il bene avere familistico.

Pochi anni addietro il ricavato dal lavoro imprenditoriale veniva pochissimo reinvestito nell’impresa ma giocato in borsa e utilizzato per aumentare il tenore individuale di vita, poi ridotto per la crisi economica, il cambio generazionale difficoltoso e nessuna sinergia di categoria in favore del territorio.

Oggi la classifica annuale dice che non abbiamo librerie, ancor meno cinema e multisala, attività di intrattenimento e spazi per l’esercizio del tempo libero.

Ecco siamo davvero convinti che siano attività che devono vedere il pubblico in prima linea o invece è un primario dovere e interesse privato, imprenditoriale?

Siam davvero convinti che un cinema, le attività ricreative, commerciali e ludiche per il tempo libero debbano essere aperte e gestite dal pubblico o dalle parrocchie e non invece messe in campo, sostenute da uno o più imprenditori, mossi anche dal loro interesse economico e dalla loro capacità nell’affrontare il rischio di impresa?

Perché non si sente una forte spinta critica verso questa fetta di società che ha risorse ma non le impiega ma si è subito portati a puntare il dito verso il pubblico?

I concerti di musica, le star, i festival per il fermento intellettuale devono essere sostenuti e promossi finanziariamente dal privato – come succede solo o quasi con Nameless – o dobbiamo lamentarci quando il pubblico tappa il buco di questa carenza privata e contribuisce in parte a pensarli, promuoverli e realizzarli evidentemente con risorse fortemente più limitate?

Utilizziamole se proprio dobbiamo dargli un valore a queste classifiche per vedere quello che davvero è utile per il territorio e per contribuire come sprone per il fare.

LA FIONDA E L’ELASTICO

fiondaUn amico sul treno diceva che ogni sacrificio che facciamo è un risparmio, nel senso che sottraiamo qualcosa all’adesso in nome del nostro futuro, e si chiedeva quanto questo fosse giusto.

In realtà, sono convinto, che non si tratta di sottrarre ma di: moltiplicare.

Funziona come tendere l’elastico di una fionda.

Nel tempo della tensione si percepisce solo la fatica muscolare, sognando il rilassamento del rilascio. Ma è proprio lì, nell’accumulo potenziale dell’energia, durante la concentrazione del lavoro, che siamo davvero padroni del nostro tempo e del nostro destino e possiamo ancora direzionare il lancio. Dopo, potremo solo stare a guardare e pregare che la mira fosse giusta. Per questo il presente è l’unico modo di operare nel mondo, la sola maniera di viaggiare nel tempo possibile, perché è il timone che imposta la rotta per ogni domani. Non voltarsi indietro a rimirare i passi e a rimpiangerli nostalgici, ma provare ad avere, come diceva Bradbury, “nostalgia del futuro”.
Perché nel futuro che sogniamo per noi, ci siamo già stati.

Il lavoro che facciamo oggi, qui, proprio adesso, tutto l’amore che investiamo, sono solo una maniera per ritrovare la strada.

IL SALUMIERE DEL dr. PUCCIO è strabico

puccio articolo 2742017Ho letto l’intervento del dott. Puccio di giovedì scorso sul quotidiano La Provincia di Lecco : la semplice aritmetica del debito pubblico” e la disaffezione politica del suo “alter-ego” salumiere. Trovo molto riduttiva l’analisi.
Il dott. Puccio è convinto, con il gioco del farsi una domanda e darsi una risposta, che ci siano solo 3 strade per risolvere il problema del debito pubblico che ci soffoca.
Aumentare le tasse, tagliare stipendi pensioni e sanità, e/o continuare ad operare a deficit.
Tutte e tre le soluzioni indignano, giustamente, il suo alter ego.

Mi permetto suggerirne una quarta che il dott. Puccio, ahinoi, nemmeno minimamente accenna. La lotta all’evasione e il cambio delle poste di spesa.
Ogni anno, a seconda delle fonti, l’ammontare delle imposte dovute ma non pagate allo Stato (ossia a tutti noi) è mediamente di oltre 150 miliardi di euro, per spingersi nell’ultimo Rapporto sull’evasione fiscale a cura del Ministero dell’Economia a 255.
Perché non sono intercettabili nemmeno una parte di questi nostri soldi? Non è qui che bisogna indirizzare le attenzioni?
Credo sia già grave il non pensarla come soluzione. Grave perché non può essere che figlia di una mentalità dove lo Stato è il cattivo e noi cittadini i buoni.

La lotta all’evasione si fa in tanti modi. Culturali ed etici che evidentemente mancano, e operativi.
Investendo in semplificazione burocratica e in maggiori controlli.
Tutte le operazioni bancarie, per fare un esempio, sono tracciate da un codice anagrafico che si basa su quello fiscale, quanto ci vuole a incrociarli con il fisco?
Proporre un uso obbligatorio e gratuito delle carte di credito/bancomat sopra una determinata cifra è complicato? L’uso delle carte elettroniche permetterebbe anche, visto l’abbattimento automatico dell’evasione al dettaglio, di restituire nel 730  parte dell’Iva pagata dal cliente.
Inasprire le norme sulla chiusura degli esercizi che non rilasciano ricevute? E il credito d’imposta come oggi avviene per ristrutturazioni edilizie e risparmio energetico, è complicato?

Ma poi, aumentare le tasse, a transazioni finanziarie, assoggettare all’Irpef le rendite finanziarie oggi al 26%, sui profitti dei beni di lusso, eliminando la cedolare secca sugli affitti a canone libero; o con una tassa di proprietà per gli immobili vuoti, una maggior tassazione su voli, auto aziendali e di lusso, sul gioco d’azzardo ect, è veramente un danno per il salumiere del dott. Puccio?  

E ancora, perché il dott. Puccio si limita a parlare di ridurre le spese, dello Stato, attraverso stipendi, pensioni e sanità e non invece con le spese militari, grandi opere, disincentivi per i pensionati che lavorano, blocco dei medici che esercitano professione pubblica e privata, l’abrogazione dell’inutile Bonus Cultura, con la sostituzione dell’ora di religione nelle scuole pubbliche? Sono, queste, veramente un danno per il salumiere del dott. Puccio?

Ovviamente questi risparmi nella loro totalità o anche parzialmente, comportano una riduzione del debito pubblico e, se reinvestiti a sostegno delle famiglie, dell’innovazione tecnologica, per una sanità pubblica più efficiente q riduzione dei tempi di attesa, nell’incentivo alla mobilità sostenibile, ai negozi di vicinato, al reddito da lavoro, all’accesso alla cultura e alla formazione, all’allargamento delle tutele per anziani e disabilità, per il sostegno alle pensioni minime, a supporto delle potenzialità giovanili, a parità di risparmi insomma, sono veramente un danno per il salumiere del dott. Puccio?

Un conto è andare a debito per sostenere le famiglie e le imprese un conto per sostenere la rendita finanziaria, non siete d’accordo? Ovviamente son tutte cose – insieme a molte altre – che si possono fare, oggi, anche se non le ha dette il dott. Puccio.
C’è gente talmente povera che non ha nient’altro che il denaro, il guaio è che  governa, fa il commercialista o il salumiere

I SAGGI del turismo CHE DIMENTICANO I NUMERI

altan problema complesso Mi piace. Amo la prosa barocca di Scolari. Lo leggo sempre con piacere anche solo per… il gusto di leggerlo. L’arte dell’artificio. l gusto di quei trompe l’oil dove uno crede che ci sia un fondo, ma trova un muro. Coupe de theatre. Il fascino del barocco è, sopratutto, il fascino d’una declinazione artistica falsa. O meglio, CHE falsa. Giuochi di volute, di arzigogoli, di fantasie di nuvole e cieli, che, ahinoi, si specchiano/spaccano sugli intonaci delle cupole, per quanto esse siano ardite.

I conti con la realtà. Che non è fatta di pennellate nè, ahinoi, di parole, ma di fatti. Fatti, veri, e non fatte. E di fatti.

E le cifre, i numeri apprezzano molto meno l’intervento di Scolari sullo Sviluppo Turismo a Lecco

Prendono le distanze.

E quindi, a malincuore, tocca farlo anche a me. Anche perché Scolari questo suo intervento lo ha postato  nel Gruppo FB “Lecco La Città che Vorrei” già diverse volte e come un pendolo ipnotizzatore prima o poi dovevo rimanerne colpito anch’io.

Ma è un problema di numeri e non di sogni. A sognare sono bravi tutti, a voler venderti la Fontana di Trevi ci ha provato solo Totò.

E ritenere gli operatori sia amministrativi che politici delle mezze seghe, miopi e giusto brave al compitino, è sempre una cosa che fa prolassare le gonadi anche se chi lo fa ha claque e più che mestiere linguaggio forbito.

Come già detto in altri commenti sulla stessa proposta – ai tempi aveva addirittura un esempio concreto Il Festival di Bregenz in Austria – che infatti poi ha cercato di rimescolare il tutto, o si parla con numeri e realismo oppure la Lecco dei desideri è un mero esercizio autopromozionale ma non utile alla collettività.

Diffondere saperi senza costruire porteri tantomeno di autoguru e autosaggi 

Allora un elemento di forza per fare assolutamente il Festival a Lecco sul Lago – che le assessore alla Cultura e al Turismo dovevano solo ringraziarlo e invece chissà perché erano ancora assenti – sventolato come uno splendido stendardo del Palio d Siena del Maestro Stefanoni  – usato da Scolari, era che “ogni 1 euro investito ne generava 8 di ritorno”. E l’investimento prima paventato e poi ridimensionato era di 8/10 milioni di euro.

Con queste cifre da lui annunciate come se fosse Soho il profeta o Soros il profitto, l’invitai a presentare in Banca il progetto e le garanzie, che chiunque, anche la Banca più scalcinata, avrebbe finanziato sull’unghia il Progetto. Avrebbe potuto poi elargire parte di questi soldi guadagnati (70 milioni, vi ricordo) alla Sua Città. Che ancora non lo riconosce per quanto vale. Un Brunello Cucinelli del Lario.

Avremmo così avuto, Teatri di Prosa da 1500 posti, Lungolago come gli Dubai e Bendogi, trasporti gratuiti per tutti, Traghetti come le macchine alle rotonda del Caleotto all’ora di punta, e così tutti gli anni a venire…

Invece fece, va ricordato, passi indietro, dicendo, finalmente dopo 10 post e il doppio delle infografiche, che non c’era nulla di garantito. Altri – del settore – fecero notare che il Festival austriaco, molto bello, ha anni di vita e consolidamento, oggi sarebbe improponibile iniziare ex novo anche li.

Oggi nel “nuovo” post ripete ipnotico lo stesso tutto uguale, togliendo solo riferimenti e cifre vere. Così da renderlo più affascinante e teoricamente più solido. Teoricamente 

Io credo che non vada bene verso gli altri lettori, ovviamente è un parere personale. Ma non va bene a me. E tanto basta per ricordargli cifre, numeri e dati. 

E allora entriamo ancora più nel merito del “nuovo” scritto di Scolari, che utilizza un linguaggio forbito e accattivante, ma che non sta in piedi, purtroppo.

Innanzitutto va fatto notare che parla della Città di Lecco, nemmeno del territorio provinciale o del Lago di Como tout court. Solo di Lecco.

E allora è buono che supporti il suo sogno con numeri, cifre, dati, fatti e fonti. Altrimenti restiamo nei dintorni della Fontana di Trevi.

Quali sono i numeri di oggi:

Dice: un più dieci o quindici per cento di visitatori, che è sempre meglio di niente, può forse ottenerlo in cinque o sei anni se alle cose che va facendo ne aggiungerà alcune della stessa caratura media”

I dati veri invece dicono – fonte Camera Commercio, Banca d’Italia, Ufficio studi Confindustria e Amministrazione Provinciale – che c’è in corso una crescita complessiva che interessa la città di Lecco con il 7,38% di arrivi in più e il 6,63% di presenze in più rispetto al 2014: [arrivi stranieri (+10,11%) connazionali (+8,87%).] (dato su 9 mesi)

e ancora la crescita continua ancora. Quella minore si è registrata nel capoluogo dove gli arrivi sono aumentati del 6,5% arrivando a quota 39mila ovvero il 17% del totale provinciale (Gli arrivi provinciali nel 2015 hanno superato quota 225.000 contro i 196.000 dell’anno precedente».) Questi sono i dati forniti da Daniele Riva, presidente della Camera di Commercio nell’ambito della 14esima giornata dell’economia, che Scolari deve aver saltato perché era a teatro. Non c’è nessun bisogno di aspettare lustri ne abbagli, quindi.

I posti di lavoro nel turismo, seppur in crescita, rappresentano ancora – dati Istat e Banca d’Italia – una quota marginale (5%) sfiorando gli 85 mila addetti.

Eppure forbito e affabulatore Scolari parla di recuperare 100.000 presenze in più a Lecco città. Solo a Lecco città. Manco fossero profughi.

E sto PIL del declino industriale, perché non ci dà delle cifre e delle fonti? E poi intende PIL industria e basta o anche manufatturiero, artigianato, servizi o cosa?

E poi Scolari, lo sa che il PIL è una cosa il fatturato delle aziende è un altro? Su, vivaddio, almeno qui non facciamo confusione.

E lo sa che il fatturato non è un indicatore unico se preso da solo così tanto per fare il figo nei post? Lo insegnano già in prima ragioneria nel disastrato Parini

E i margini, e i guadagni? La Sacchi Giuseppe di Barzanò (la più grande azienda che abbiamo in provincia) lo sa che per esempio ha avuto un fatturato di 441.692.303 euro contro 390.089.735 euro dell’anno precedente, ossia un +13,23% ma l’utile ha avuto un calo del 2,39% da 15.384.853 euro a 15.017.719 euro.

E questo vale per altre decine e decine di aziende?

Glielo compro io l’accesso ai database attendibili, poche centinaia di euro servono, ma può spendere anche solo 1,7 euro, da solo, e comprarsi il Report delle prime 400 aziende lecchesi. Lo trova in edicola.  

E ancora il PIL

 Il pil procapite è calato del 16% (fonte istituto Tagliacarne e CCIA) tornando ai livelli del 2004; (che non vuol dire che ogni anno perde il 16%) ma negli ultimi 15 anni, come ci ricorda Gianni Manicatti, ricercatore del Clas ne convegni CCIAA,  “l’economia lecchese ha conosciuto due fasi una buona espansione fino al 2008, poi una fase di contrazione. Il saldo di questi 15 anni, nonostante tutto, è positivo.” dei 110 indicatori economici presi in esame, 55 restano in crescita, 44 invece sono negativi”.

Ma i soldi poi per lo show che scegli lui sempre il pubblico deve metterceli? Per un ’Eventone con dentro shows sui Beautiful People?”

E’ per non parlare della quasi copertura totale dei posti letto ricettivi in città già con il turismo di adesso.

Sti cazzo di 100.000 presenze – e tutti nel periodo estivo, – in più dove li mettiamo? A casa o nel teatro di Scolari?

Sempre a disposizione per parlare di cifre, idee ma basta Fontane di Trevi. Fermiamoci a un bicchiere alla volta di buon Lambrusco grapparossa. Quello delle terre dei Cervi.

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UNA REGGIA DI CAZZATE DENTRO LO SPAZIO DI UN EDITORIALE

altan sacrificiCaro Vittorio Colombo
Spettacolare editoriale del suo Direttore  Diego Minonzio di oggi, domenica 6 marzo ” in fila per i diritti deserto dei doveri
Una sequela di luoghi comuni, triti e ritriti, partendo da un pretesto, la critica alla lettera comunicato dei sindacati della Reggia di Caserta per “eccesso di lavoro” (e molto altro) imposto dal nuovo direttore di quel sito Culturale e spettacoloso che è appunto al Reggia di Caserta, per fare, come conviene all’informazione che sposa una stesi e ci confeziona il pacchetto, che non sa separare, o anzi, peggio, non vuol separare, il grano dal loglio e fa di tutta l’erba un fascio.
Una minchiata di un gruppo, chi esso sia, diventa la stella polare, la minchiata di tutti.
Tutti colpevoli. E già si eleva il “te l’avevo detto, io”

E giù allora, facile come il vomito dei repressi, dei torti vecchi dell’oratorio e delle braghette corte come “il pallone è mio e tu non ci giochi” che ti sei tenuto dentro, hai somatizzato e non vedevi l’ora di una lettera ingenua più che sbagliata del sindacato per una slavina di palloni addosso a tutti quanti.

Ed il Comunicato diventa, per il Direttore, addirittura in stile bierre, e giudice di Pinocchio, basta riempire l’editoriale, il tronfio fondo del Direttore, in una epopea di cazzate pazzesche.

E allora giù bastonate ai sindacati, al loro corporativismo, al loro lassismo, alla loro schiena molle, ai loro diritti senza nessun dovere e ancora, più che un direttore ed un editoriale, un esagitato piacere davanti al sangue della mancanza di misura, trova il gusto e il desiderio di metterci dentro in questa gogna che non ha ragione e potrebbe non aver replica, gli impiegati pubblici, i professori, la scuola, l’università, e ovviamente le biblioteche, i musei, le imprese editoriali, tutto quello che serve per parlare alla pancia del lettore che come si sa è più vicina ai coglioni che al cervello, ma le parole vomitate arrivano prima, e ecco il male supremo: quello schifo degli anni settanta, secondo lui, il megadirettore.

Quegli anni zavorra per il Paese che ha visto lo Statuto dei lavoratori prendere forma e Legge ma per lui, permette ai sindacati e a tutta la pletora ricordata prima, di essere ciechi a tenersi stretti i diritti mentre le imprese chiudono – ce lo ricorda come se fosse la pistola fumante della sua teoria – perchè lo sappiamo tutti no, che  chiudono le imprese per colpa dei sindacati, forse addirittura dei lavoratori. Minchia il capitale finanziario, la finanziarizzazione, i bilanci farlocchi, la sottrazione di ricchezza dalle imprese, l’evasione fiscale, la carenza e incapacità di innovazione, i marchionne che è dentro ognuno di questi speculatori, per il Direttore questo per colpa dei Sindacati e dei lavoratori, è evidentemente filantropia.
Beh ci ha messo dentro tutti, ma proprio tutti. Si è dimenticato solo, gurdacaso, una categoria: i giornalisti.
I Direttori di giornale.
Ma è un suo diritto, ecchecazzo, mica un suo dovere.
Lui ci mette dentro chi vuole e lascia fuori chi vuole lui.

E fa nulla che meno diritti per i meno tutelati significa più privilegi per qualcun altro.
Fa nulla che i doveri per chi non ha diritti sono ingiustizie a cui è pure complicato potersi ribellare.
Non c’è nessuna vera libertà senza prima esserci giustizia. No lui è per abbattere i sindacati.E’ per la Tolleranza zero! Finché non gli entra in redazione, nelle buste paghe dei freelance, della magia che fa sparire i diritti dei lavoratori precari della stampa e i doveri degli editori, delle veline del politico, della claque.., di quella stampa che si guarda bene dal pubblicare notizie che possano disturbare chi investe in pubblicità, di quella stampa che oggi ha come cliente del giornale non più, da tempo, il cittadino che compra il quotidiano, ma chi investe in pubblicità che è quella che nei quotidiani oggi di fatto paga il lauto stipendio del direttore e sottopaga quello dei giornalisti freelance. Già la tolleranza.
Va bene la tolleranza zero, ma devo proprio parlare dei giornali?